Pubblicato su politicadomani Num 70/71 - Giu/Lug 2007

Lavorare nei Beni culturali
La Formazione che vale un patrimonio
Un mercato del lavoro difficile dove è più facile fare volontariato che trovare un'occupazione retribuita e stabile

di Costantino Coros

Lavorare nel settore dei Beni culturali è più un miraggio che una certezza. A mettere in evidenza, senza peli sulla lingua, le luci e le ombre di questo settore è il VII Rapporto dell'Associazione Civita dal titolo "La Formazione vale un Patrimonio. Beni culturali, saperi, occupazione" (Giunti editore). Nel comparto dei beni culturali, che rappresenta solo una parte del più ampio settore della cultura, spiega il Rapporto, si registra uno strutturale eccesso di offerta: i posti di lavoro che annualmente si creano sono in grado di dare occupazione solo ad una piccola parte dei giovani laureati che nello stesso periodo vengono immessi sul mercato del lavoro. In parole povere, nell'ipotesi più favorevole, solo 16 laureati su 100 troveranno, in un prossimo futuro, occupazione nello specifico settore dei beni culturali, mentre quelli che possono sperare in una occupazione nel comparto pubblico del settore sono ancora meno: 5 su 100. Le stime più recenti, riconducibili comunque al 2004, dicono che l'occupazione complessiva dei laureati impiegati nelle funzioni tecniche del settore dei beni culturali oscilla, tra le 70 mila e le 89 mila unità. La gran parte della domanda di lavoro proviene dal settore pubblico, che come minimo, dà lavoro al 63% degli occupati. In rapporto all'occupazione complessiva, gli impiegati nei beni culturali rappresentano nel migliore dei casi appena lo 0,37% del totale. Secondo il Rapporto Civita gli addetti nei beni culturali potrebbero però essere sottostimati per due motivi. Il primo è riconducibile alla crescente esternalizzazione, anche da parte anche dei soggetti pubblici, di molte delle funzioni tecniche del settore e il secondo invece si riferisce ai neo laureati che non appaiono richiesti dalle istituzioni e dalle imprese del comparto perché vengono assunti sulla base di forme contrattuali precarie che ne rendono difficile l'assegnazione ad un particolare settore di attività. Questa è un'altra piaga che colpisce i Beni culturali. Infatti, esso si caratterizza rispetto agli altri per una maggior incidenza del lavoro volontario e di quello atipico e per il diffuso ricorso a forme di lavoro part-time o stagionale. Però, sottolinea ancora il VII Rapporto Civita, la realtà potrebbe essere ancora più nera (come comunemente si dice: il peggio deve ancora venire) a causa di una probabile propensione da parte dei committenti di far ricoprire i posti vacanti anche a laureati provenienti da altri indirizzi. Ovviamente, tutto ciò determina anche un basso livello delle retribuzioni. Secondo i calcoli dell'ISTAT, confermati dai dati Almalaurea, il reddito medio mensile netto di un generico laureato era pari, nel 2004, a 1.257 euro, mentre quello di un laureato in "beni culturali" si aggirava intorno ai 1.087 euro, inferiore del 13,5% rispetto alla media. Malgrado tutte queste difficoltà i laureati in "beni culturali", stringono eroicamente i denti e non si perdono d'animo: infatti, la percentuale di abbandono del mercato del lavoro è pari all'11,1%, contro il 13,4% del totale dei laureati. La situazione è molto difficile anche per gli storici dell'arte. Francesco Negri Arnoldi, Direttore del Dipartimento di Beni Culturali, Musica e Spettacolo, Università degli Studi di Roma "Tor Vergata", con una punta di sarcasmo mette in evidenza che la ragione di questa criticità risiede nell'avere lentamente esautorato i funzionari tecnico-scientifici a vantaggio di un "elefantiaco apparato burocratico-politico-amministrativo".

Rapporto Civita (Formazione - Lavoro - Occupazione)

 

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