Pubblicato su politicadomani Num 63 - Novembre 2006

Finanza sostenibile
Etica d'impresa e rendicontazione
Esistono strumenti capaci di controllare la qualità sociale dell'impresa, il bilancio è uno di questi

di Romeo Ciminello
Professore presso la Pontificia Università Gregoriana

Un'entità quasi del tutto priva di valenza sociale ed orientata all'unico obiettivo della massimizzazione del profitto, era questa l'impresa sino a qualche decennio fa. Nel secondo dopoguerra, con l'evoluzione del livello di benessere generale si è verificato un cambiamento nelle abitudini di consumo: piuttosto che alla quantità dei beni da acquisire molti sono diventati attenti alla qualità reale, percepita anche in riferimento ad uno standard rappresentato dal livello di qualità della vita. Contemporaneamente, la sensibilità collettiva a grandi questioni quali l'esclusione sociale, la pace, la salvaguardia ambientale, la tutela della salute e della sicurezza e degli altri diritti dell'uomo, ha determinato la nascita di nuovi bisogni e nuovi valori.
Non sempre però i Paesi economicamente avanzati, e i sistemi politico-legislativi hanno reagito prontamente. Al ritardo legislativo il mondo imprenditoriale ha reagito adeguando i propri strumenti di gestione e di comunicazione alle nuove istanze provenienti dalla società. Sono nati così degli standard, di gestione della qualità, dell'ambiente, della salute e della sicurezza, volti a soddisfare le richieste di determinati gruppi di rischioesposti ("stakeholder", detti anche portatori di interessi).
Dagli scandali che, in Italia come in altri Paesi industrializzati, hanno minato alla base la credibilità della Governance delle imprese, sono sorte nuove istanze di trasparenza, di correttezza e di eticità dei comportamenti politici ed imprenditoriali. Anche il numero dei rischioesposti si è ampliato: oltre alle categorie convenzionali dei clienti, dei dipendenti, dei fornitori ci sono anche altri partner commerciali come la Pubblica Amministrazione e la comunità in senso lato, nonché i competitor, i gruppi di pressione, le associazioni non governative, e molti altri.
Oggi, interlocutori più numerosi ed influenti di un tempo, esterni ed interni alle imprese, rivolgono alle stesse richieste sempre più elevate e pressanti, e ben più generali e diversificate della semplice massimizzazione del risultato economico. Queste istanze non possono essere ignorate dal mondo imprenditoriale che, dopo le crisi morali vissute soprattutto in questi ultimi due anni - parliamo di Enron, Worldcom, Global Crossing ed altre negli Usa e nel nostro Paese, Cirio, Parmalat, Giacomelli unitamente allo scandalo BPI e dei cosiddetti "Furbetti del quartierino" Fiorani, Consorte, Ricucci, Gnutti ed altri - per sopravvivere e progredire ha bisogno di consenso e di legittimazione sociale.
Non sempre però le esigenze dei rischioesposti coincidono con quelle dell'impresa, né concordano tra loro; esiste quindi un problema di contemperamento tra gli interessi dell'impresa e le richieste degli stakeholders. Un problema che per essere risolto ha bisogno di adeguati sistemi di comunicazione. Da questi presupposti di comunicazione, di crescente armonizzazione delle istanze sociali e di integrazione tra queste e le esigenze imprenditoriali, sono sorti alcuni strumenti di gestione e di rendicontazione essenziali, quali il bilancio che, a seconda del livello di impatto e di integrazione sociale dell'impresa può essere collegato a tre diversi aggettivi che lo specificano e lo caratterizzano: ordinario, sociale ed etico.

Il bilancio ordinario
L'impresa, che opera sul mercato, deve cercare di raggiungere e mantenere condizioni di equilibrio patrimoniale, finanziario ed economico. Quanto all'aspetto economico, è necessario che i ricavi superino i costi, per evitare che azionisti e investitori siano indotti a disimpegnarsi dall'impresa.
Data questa premessa, come argomenta Rusconi, si potrebbe pensare che, se il mercato funziona bene e riflette in modo equo le aspettative dei soggetti che vi agiscono, "non resta che accettare quanto affermato coerentemente da M. Friedman, e ribadito anche qualche tempo fa dall'Economist (20 gennaio 2005), e cioè che il vero dovere sociale dell'impresa è cercare di ottenere il più possibile profitti", producendo, così, ricchezza e lavoro per tutti nel modo più efficiente possibile.
Le risultanze del bilancio ordinario, quale strumento per definizione riferito al mercato, giustificherebbero così il contributo sociale dell'impresa.
Esistono però diverse obiezioni a queste deduzioni.
Innanzitutto, che "le aspettative di un ampio numero di interlocutori non sono direttamente esprimibili attraverso valori di mercato in generale ed i risultati per gli azionisti in particolare". Basti pensare alle istanze presentate alle imprese da interlocutori quali movimenti di liberazione della donna, minoranze etniche, svantaggiati fisici e psichici, e così via.
Il bilancio ordinario, inoltre, non fornisce una valutazione completa dell'impatto economico dell'impresa sulla società, perché non tiene conto delle cosiddette esternalità negative, vale a dire dei costi che l'organizzazione scarica sull'ambiente senza pagarne il prezzo di mercato (diseconomie esterne) così come per le esternalità positive rappresentate dai benefici che la stessa genera per l'ambiente sociale il cui prezzo però non viene fatto pagare alla comunità (economie esterne).
Tali valori, non sono facilmente rilevabili in quanto si riferiscono a costi-ricavi extramercato pagati e incassati dalla società civile in relazione all'attività dell'impresa e non a costi-ricavi dell'impresa, conseguiti sul mercato, che sono gli unici rilevabili per legge dal bilancio ordinario,nonostante i primi possano essere anche drammaticamente rilevanti.

Verso il Bilancio sociale
I sistemi socio-economici e soprattutto finanziari, negli ultimi venti anni, hanno subito un'evoluzione talmente repentina ed incontrollabile tale da richiedere in maniera improcrastinabile, l'introduzione di regole morali più precise e stringenti e organismi di controllo imparziali, più vigili e più adeguatamente strutturati. Organismi e regole in grado di garantire il pieno rispetto dei principi etici nella gestione delle imprese, delle istituzioni e della vita socio-politico-economica in generale.
I fenomeni che tale insistente richiesta tende ad arginare sono soprattutto quelli della corruzione e della concussione, per non parlare di altre specie di malversazione di diverso genere, che seppur subdolamente striscianti ed invisibili, contribuiscono tuttavia a distruggere quelli che Lonergan chiama i "beni d'ordine", così faticosamente creati da uomini lungimiranti che ci hanno preceduto nella storia. Si tratta di comportamenti molto diffusi nella nostra realtà e che Giovanni Paolo II ha stigmatizzato come le "nuove strutture di peccato" quali la brama del potere per il profitto e la brama di profitto per il potere "ad ogni costo" (punto 36 della Sollicitudo rei Socialis).
Come in altri periodi storici, è evidente che anche in quello attuale si sta attraversando un momento di oscura confusione, un periodo di contraddizione cosi palese che non lascia spazi a dubbi di sorta. Siamo in presenza di un crollo di valori che si manifesta in molti modi: dai problemi scaturiti dalla globalizzazione dei mercati finanziari, al terrorismo, alla guerra, all'accaparramento delle risorse, all'inquinamento, alle sperimentazioni nucleari, alle manipolazioni genetiche ecc...
D'altro canto il "pensiero debole" da un lato ed il "pensiero unico" dall'altro sono lì a farla da padroni con le loro convinzioni di relativismo non solo storico ma anche scettico del primo e, quanto al secondo, con la ricerca esasperata del successo e dell'affermazione personale ed economica, e soprattutto mediatica di chiunque voglia in qualche modo differenziarsi dalla moltitudine di persone declassate pesantemente a semplici individui all'interno di una massa informe. Una moltitudine capace di far impallidire anche il primario concetto di "massa" di marxiana memoria.
In tale contesto appare ineludibile che il bisogno di trasparenza e di fiducia nelle transazioni economiche e nelle relazioni socio-politiche diviene pressante; la priorità viene data alla capacità di costruire una tessuto di fiducia nei processi di aggregazione fra persone come fra stati che, come nel caso dell'allargamento della Comunità europea, comporta l'esigenza di individuare procedure uniformi nei differenti segmenti, in grado di garantire il processo di stabilizzazione di una unione attualmente ancora solo monetaria ma rivolta verso una realtà politica in continuo e repentino divenire. II sentimento che anima tale divenire mira al rispetto dei principi di trasparenza nella rappresentazione dei risultati sia in termini politici che in termini sociali ed economici.
Tra questi ultimi viene sempre più privilegiata la realtà del cosiddetto Bilancio Sociale.

Bilancio sociale e marketing
II bilancio sociale cosi come concepito vorrebbe esprimere l'attitudine dell'impresa che lo compila a rispondere responsabilmente del proprio operato nei confronti dei cosiddetti stakehoders.
L'argomento del bilancio sociale è stato oggetto di studio e di elaborazione dottrinale fin dalla metà degli anni '80; il suo utilizzo da parte delle imprese italiane non solo è molto più recente, ma è anche problematico.
La nascita ed il progressivo utilizzo di questo strumento da parte delle imprese, pur se ancora da perfezionare e non completamente rispondente alle esigenze, è riconducibile, fra l'altro, al rilancio della business ethics, proveniente dagli Stati Uniti e alla connessa convinzione che l'eticità del comportamento imprenditoriale non si concretizzi solo nel mero rispetto della legge e delle norme della concorrenza.
Sappiamo bene infatti che il rispetto di queste due regole, non è condizione sufficiente ad impedire eventuali comportamenti opportunistici, quando non subdolamente illegittimi, resi possibili dal fatto che l'accesso alle informazioni di cui godono gli imprenditori o i manager, a seconda del tipo d'impresa, è invece negata o quanto meno resa molto difficile agli stakeholders (i portatori d'interesse). Per esempio, come le banche impiegano il denaro ad esse affidato è noto solo ai top-manager dell'istituto finanziario, ma non al cliente titolare di quel denaro.
Il bilancio sociale dovrebbe servire proprio a ridurre tali disparità di accesso alle informazioni.
Nel "vissuto popolare" il bilancio sociale è lo strumento al quale si attribuisce la facoltà di dare la certificazione di un profilo etico che legittima il ruolo di una impresa, comunicando affidabilità, capacità di investire e creare lavoro, dimostrando attenzione e sensibilità al contesto socio-economico in cui opera. In realtà ciò non è esatto.
Il bilancio sociale, cosi come esso è concepito attualmente, altro non è che la certificazione di una attitudine dell'impresa a muoversi nell'ambito del CRM (Cause Related Marketing) o Marketing Sociale.
L'impostazione del bilancio sociale infatti, così come concepito da coloro che ne reclamizzano l'uso, è più rivolto ad una manifestazione di facciata che non alla dimostrazione del rispetto di un preciso impegno nei confronti dei rischioesposti (gli stakeholders).
Poiché la pubblicità è l'anima del commercio ovviamente dimostrare attraverso tale strumento di essere attenti alle conseguenze della propria attività socio-economica verso i rischioesposti, è certamente importante; ma è assolutamente da non confondere con un discorso di responsabilità propriamente etico, sia sotto il profilo della teoria e della forma che sotto quello della sostanza.
L'idea di Bilancio sociale va molto di moda e sembra appartenere molto più alla sfera del marketing che non a quello dell'etica a cui la responsabilità sociale dell'impresa dovrebbe fare riferimento.
Il marketing necessita e si serve di una adeguata comunicazione. Il bilancio sociale, che costituisce un documento complementare al bilancio d'esercizio, è uno dei veicoli comunicazionali che consentono di far fronte a questa esigenza. La stesura del bilancio sociale non comporta rigide guidelines, né specifiche competenze ed ancora meno un percorso di formazione sia in chi lo propone, sia in chi lo elabora, sia infine in chi lo deve leggere ed esaminare. Tutto ciò dimostra, innanzitutto, la mancanza di un preciso impegno nei confronti dei rischioesposti e la mancanza di un criterio uniforme di redazione, che implichi anche un principio di comprensibilità e di correttezza redazionale, che sono i presupposti ineludibili della veridicità. Inoltre manca al bilancio sociale un riferimento a cui ricorrere in caso di risultati negativi, manca il riferimento del controllo e soprattutto di chi controlla il controllore.
Purtroppo siamo tutti corruttibili, perché come dice un antico proverbio "ciascun uomo ha il suo prezzo ". Inutile, allora, portare avanti uno strumento cosi strutturato, la cui autoreferenzialità è già perdente in partenza, se solo se ne sviluppa un'analisi anche appena superficiale.
Il prodotto non regge il confronto con la realtà.
In mancanza degli elementi su esposti, ciascuno sembra poter avere il diritto di dare tutte le informazioni sulle proprie "virtù sociali" decantandole senza poter essere sindacato, contando sia sulla buona fede di chi legge, sia sull'impunità. Il Bilancio sociale, infatti, non solo non è sanzionato, ma è sempre e soltanto espresso in positivo: se esistono elementi negativi, o si riesce a sorvolarli oppure è ovvio che il Bilancio sociale non si redige.
Per fare un bilancio sociale basta presentare una facciata che rispetti una scaletta mutuata dal marketing, di cui fanno parte regole quali:
- fornire informazioni sulla proprietà dell'impresa;
- evidenziare le caratteristiche della cultura aziendale comunicando il sistema di valori di riferimento della propria organizzazione;
- far risaltare l'azienda come organismo utile, operante nel rispetto delle condizioni ambientali e delle aspettative degli interlocutori interni ed esterni;
- illustrare il valore aggiunto prodotto e la sua distribuzione tra coloro che hanno contribuito al processo produttivo;
- far conoscere i mezzi impiegati per valorizzare le persone, l'innovazione tecnologica, l'attività di formazione, l'igiene e la sicurezza sul lavoro, la prevenzione dei rischi ambientali.

Bilancio sociale e bilancio etico
Invece, mi pare razionalmente condivisibile affermare che il Bilancio sociale, o meglio lo strumento attraverso cui si mette in mostra la responsabilità sociale dell'impresa, non deve essere un prodotto a sé, ma deve essere un complemento al Bilancio d'esercizio. Vale a dire che invece di Bilancio sociale si dovrebbe parlare di revisione etica di bilancio che implichi una chiara responsabilità sociale di chi lo redige.
Dunque il Bilancio sociale non è che un'aggiunta complementare al bilancio di esercizio.
La revisione etica va perciò praticata sulla base dell'impegno manifestato nei confronti di ogni rischioesposto adeguatamente individuato, con il quale poi alla fine dell'esercizio o anche durante, si tirano le somme per appurare se c'e stato un utile o una perdita sociale.
Ma come si attua questo bilancio etico? E, cosa non trascendentale, basta rispettare i principi di rilevazione contabile e quindi rispettare l'etica nelle scritture contabili, sia dal lato delle attività che delle passività, procedendo poi all'analisi dell'implicazione delle responsabilità e dell'impegno alla riduzione dei rischi esistenti nelle relazioni con i rischioesposti. L'obiettivo è la creazione di valore aggiunto nei loro confronti. Dopo aver rispettato tale principio etico in cui si apprezza non solo uno standard di processo ma anche di risultato si può aggiungere un bilancio sociale.
Per spiegare bene il mio concetto di Bilancio sociale vorrei prima riportare, quanto il Gbs (Gruppo di studio dei principi di redazione del bilancio sociale) indica come parti che compongono il bilancio sociale:
In particolare il Bilancio Sociale dovrebbe:
1) consentirci di comprendere il ruolo svolto dalle nostre attività nella società civile;
2) essere uno strumento che confrontando quanto realizzato con le esigenze sociali preesistenti, fornisce informazioni sul raggiungimento degli obiettivi sociali prefissati;
3) dimostrare che il fine dell'impresa, non è solamente quello di creare profitto ma anche quello di fornire un valore aggiunto per la comunità;
4) essere considerato come un fattore di cruciale importanza per lo sviluppo della democrazia e della trasparenza nell'ambito delle attività economico-imprenditoriali;
5) diventare uno strumento per rendicontare se le azioni sociali dell'impresa hanno delle ricadute in termini di utilità, legittimazione ed efficienza;
6) rappresentare un momento di riflessione sull'impegno che si ha all'interno dell'impresa per migliorare qualità di prodotto e servizio, rapporto con i consumatori, sicurezza sul posto di lavoro, rispetto dell'ambiente.
Ecco allora delinearsi il significato etico che assume il Bilancio sociale: non correre l'azzardo, misurando in maniera quanto più ragionevole il rischio esistente dietro ogni decisione gestionale e di misurarne l'impatto nei confronti dei rischioesposti.
È così che il Bilancio sociale diviene etico ed acquista un senso, vale a dire ha la forma del richiamo a un'etica applicata in cui la scelta delle alternative date a ciascuno di agire moralmente vengono attentamente vagliate per operare la scelta che possa sortire il massimo risultato a parità di rischi e a parità di risultato i minori rischi.

Il Bilancio etico
Per ottenere un Bilancio etico che può comprendere anche il Bilancio sociale, e che si potrebbe addirittura inserire nel bilancio stesso in una sorta di gestione aggiuntiva da inserire nella nota integrativa o nella relazione degli amministratori, occorre avere chiari alcuni punti di riferimento che pur rivestendo importanza fondamentale spesso sono negletti da coloro che si occupano di revisione.
Gli elementi minimi affinché possa sussistere un Bilancio etico a mio avviso sono i seguenti:
1) Almeno i responsabili della contabilità e del bilancio abbiano fatto un percorso formativo di coscientizzazione etica adeguatamente documentato ;
2) Identificazione dei rischioesposti (stakeholders) e dei rischioapportatori (stockholders) sulla base di principi uniformi di individuazione di questi ultimi in categorie ben distinte di Azionisti e "Top Management" che rappresenta una categoria a sé stante;
3) Valutazione dei rischi a cui ciascun rischioesposto (stakeholder) è esposto e misurazione dell'impatto del risultato negativo (minimax)
4) Misurazione della struttura finanziaria e del fabbisogno netto
5) Appuramento del valore aggiunto sociale prodotto
6) Comprensibilità di redazione e di lettura
7) Impegno ufficiale singolarmente preso con ciascuna categoria di rischioesposti (stakeholders)
8) Rispetto dell'impegno ufficiale e del codice etico di riferimento
9) Standard di processo e di risultato con cui misurare le performance;
10) Riferimento di natura arbitrale a cui fare ricorso in caso di violazione delle regole;
11) Unità di controllo interna ed esterna tipo "Ombudsman "
12) Controllo dei controllori degli standard.
In conclusione, si può riepilogare con una semplice definizione:
Il Bilancio etico come sopra impostato rappresenta lo strumento innovativo che permette la certificazione etica di un bilancio incentrato sulla corretta rilevazione delle scritture contabili determinate dai fatti e atti gestionali. Tale corretta rilevazione non deve fermarsi al semplice rispetto della norma giuridica, bensì deve approfondire l'impegno al rispetto della norma etica che sottende al principio contabile. Se ciò accade per effetto della formazione specifica delle maestranze, allora possiamo passare dalla redazione del Bilancio sociale a quella del Bilancio etico la cui funzione è quella di misurare il rischio, nel rispetto degli impegni presi e del codice etico applicato e, quindi, di evitare l'azzardo morale attraverso quattro elementi importanti: la conoscenza tecnica o competenza professionale; la coscienza delle responsabilità e dei limiti etici connessi alla propria attività; la trasparenza; la censura sociale.

Bibliografia - per approfondire

 

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