Pubblicato su politicadomani Num 89 - Marzo 2009

Editoriale
Liberare l'Italia

di Prof. Luca Meldoles

Il problema, diceva Carlo Cattaneo in polemica con Massimo D'Azeglio, non è fare l'Italia, che è fatta da gran tempo, ma è liberarla. Anch'io, si parva licet, per un cammino tortuoso sono giunto negli anni a questa conclusione chiave, e con essa al federalismo democratico prossimo venturo come inizio di un completamento indispensabile della lunga rivoluzione democratica italiana.
Sono nato come economista teorico e come storico del pensiero economico. Per chi non le conosce bene quelle discipline, aggiungo che si tratta di professioni d'ossessione. Si sta tanto tempo a pensare sempre alla stessa cosa (quale è la teoria più giusta, come è venuta al mondo, come costruire un determinato modello ecc. ecc.).

Dunque, la mia strada ha preso un curioso tornante: quello dell'ossessione, dell'oppressione e della ribellione. Alla fine degli "anni ruggenti" sono riuscito a liberarmi della soggezione intellettuale alla teoria economica (ed al marxismo) e ad invertirne i processi logici, ovvero sono riuscito ad anteporre la pratica alla teoria. Ed ho cercato, di conseguenza, un orientamento per applicare tale punto di vista. In tale ricerca, ho avuto la fortuna di imbattermi in Albert Hirschman.

Naturalmente, il mio intento è sempre stato di mettere in pratica, a vantaggio del Mezzogiorno, quelle idee concrete che egli aveva elaborato. Così, per circa un decennio, con i miei allievi dell'Università di Napoli, mi sono occupato di economia territoriale, formando giovani tesisti direttamente sul campo, a partire da ciò che vedevano attorno a loro, nei loro quartieri e nei loro paesi - incluse quelle zone a nord di Napoli che sono poi state immortalate come territori di micro-imprenditialità selvaggia (e/o come "terre dei fuochi") nella "Gomorra" di Roberto Saviano.
Così facendo, me ne accorsi in seguito, superavo d'un balzo la dimensione del consigliere, per perorare l'intervento diretto dell'università in collaborazione con gli enti locali.

Per me l'opzione federalista è nata innanzitutto dalla pratica di questo lavoro. Infatti, una volta compreso come stavano le cose e lanciato, nella seconda metà degli anni Novanta del secolo scorso, alcune campagne di stampa sull'occupazione e l'emersione, mi sono trovato, per un altro decennio e più, a mettere in moto forze giovanili e sociali significative e poi a dirigere il comitato per l'emersione del lavoro non regolare del governo. Per diverso tempo, dunque, ho potuto sperimentare (e quindi scoprire) cosa significa agire a favore di determinati territori, in modo ufficioso e/o ufficiale. Ho toccato con mano come possono lavorare gruppi di giovani operatori da me organizzati, in termini di sostegno delle PMI e della loro regolarizzazione, in termini di risanamento e di rilancio di zona, rispetto ad un apparato amministrativo (di ogni genere e grado), generalmente incapace ed impotente.
La conclusione è semplice. Il salto di produttività potenziale, consentito da un funzionamento federalista, di sprigionamento delle energie rispettive della realtà sociale e degli operatori, è semplicemente enorme.
Ed è questo il cuore della questione, perché lo sviluppo non dipende dall'applicazione tout court di una determinata tecnica economica, per quanto sofisticata; ma dalla attitudine concreta a richiamare, potenziare ed arruolare alla crescita democratica capacità e risorse inizialmente nascoste, disperse, o mal utilizzate.
In altre parole, ho cercato in tutto questo tempo di formare abilità direttive pubbliche e private e di metterle in moto per sprigionare capacità e risorse umane inizialmente bloccate. E, nel farlo, mi sono reso conto che lo sviluppo richiede anche la democratizzazione del sistema pubblico in senso federativo. In seguito, combattendo finalmente un po' della mia ignoranza coltivata, ho letto meglio Alexis de Tocqueville e mi sono accorto che il problema resta fondamentalmente il medesimo: da un lato esiste un abnorme apparato comandista tradizionale dai piedi d'argilla, dall'altro yes we can: è possibile (è stato possibile per anni ed anni) scatenare l'iniziativa di giovani operatori creativi, flessibili, entusiasti che hanno messo involontariamente alla berlina quello stesso apparato.

 

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