Pubblicato su Politica Domani Num 9 - Dicembre 2001

Il governo rinuncia alla vendita della società
RAIWAY: mistero italiano
A rischio l'immagine dell'azienda pubblica

Raffaello A. Doro

A causa della drammatica situazione internazionale, nel nostro Paese è passata in secondo piano la decisione del governo di non vendere il 49% della società delle infrastrutture della RAI, decisione che ha scatenato forti polemiche tra maggioranza ed opposizione.
Antefatto: entro la mezzanotte del 26 ottobre 2001 scadeva il termine ultimo per chiudere l'operazione di vendita di quel 49% dell'azienda che raggruppa imprese di manutenzione, costruzione e fornitura di tralicci, antenne e ripetitori RAI (compresi anche alcuni chilometri sperimentali di fibra ottica), denominata Raiway; acquirenti di Raiway sarebbero stati i texani della Crown Castle International.
Il progetto era stato portato avanti, nella passata legislatura, dal centrosinistra e prevedeva un incasso di 729 miliardi di lire netti per l'azienda di viale Mazzini. L'assenso definitivo all'operazione spettava tuttavia all'attuale ministro della Comunicazione, Maurizio Gasparri, il quale ha posto un deciso veto alla vendita del pacchetto ed ha motivato la sua decisione dichiarando che il reale valore degli asset RAI era presumibilmente sottovalutato. Questa la dichiarazione testuale del ministro: "nel 1991 un documento dell'IRI valutava gli asset RAI, di cui ora stiamo discutendo, per un valore di circa 1700 miliardi, cioè più o meno lo stesso valore indicato nel 2001. Delle due l'una, dunque: o gli asset erano sopravvalutati allora o sono sottovalutati oggi".
Cosa si nasconde dietro questa faccenda?
Per il presidente della RAI Roberto Zaccaria è un colpo difficile da assorbire, al punto che a Gubbio, al Convegno nazionale della stampa, ha annunciato la presentazione di un "libro bianco" sulle "aggressioni politiche subite dalla RAI". Qual è il motivo di una reazione tanto forte del gestore della televisione pubblica nazionale ad una mancata vendita di una struttura pubblica ad un colosso privato straniero? La risposta è fin troppo facile: i circa 800 miliardi che la RAI si attendeva dalla Crown per la cessione delle infrastrutture, erano già stati accantonati in bilancio dall'azienda e sullo loro base erano già stati previsti investimenti di alto profilo. Quelli tecnologici, per esempio: novità entusiasmanti come il settopbox sperimentale, realizzato con Alcatel, grazie al quale sul doppino del telefono già esistente si riesce ad avere anche la tv interattiva; e intanto la sfida della TV digitale diventa sempre più attesa…Si tratta dunque un danno economico di elevato livello, aggravato, forse, anche dalla forzata rinuncia ai diritti per la trasmissione dei mondiali di calcio del 2002 in Giappone e del 2006 in Germania.
Tuttavia il mistero rimane. Il ministro Gasparri, e con lui il governo, chiedeva semplicemente più soldi o non voleva cedere una fetta così importante di Raiway all'estero?
Nelle reazioni del mondo politico a questa decisione si intravede l'ombra del conflitto d'interessi: Claudio Petruccioli, attuale presidente della Commissione Parlamentare di Vigilanza, ha affermato che ci saranno contraccolpi negativi su tutta la questione televisiva italiana come conseguenza della scelta intrapresa. È infatti difficile sfuggire all'impressione che si tratti di una scelta per svantaggiare la RAI e favorire le emittenti private, gestite in prevalenza, come è noto, dal Presidente del Consiglio.
Il servizio pubblico radiotelevisivo va certamente rafforzato e migliorato e non si può, per ragioni di democrazia, renderlo inferiore rispetto a quello privato: tuttavia è altrettanto evidente che occorre pianificare un'azione mirata e che occorre evitare di vendere risorse fondamentali per il nostro paese a imprese private e straniere (leggi americane).
La risoluzione di questo problema diventa sempre più urgente.

 

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Num 9 Dicembre 2001 | politicadomani.it