Pubblicato su Politica Domani Num 9 - Dicembre 2001

A quattro anni dalla convenzione di Ottawa
UCCIDIAMO I PAPPAGALLI VERDI
Come si sentirebbe Bush se una mattina si accorgesse di averne uno sotto il letto?

Maria Cristina Conti

Tranquilli, questo non è un articolo contro gli animali e non sono in preda ad una crisi del mio profondo senso animalista, i pappagalli verdi sono mine anti-uomo, o almeno così vengono chiamate dai vecchi afghani che le vedevano planare giù dal cielo. Queste mine, di produzione russa, vengono sganciate dagli elicotteri e poi, essendo dotate di due ali, planano andandosi a posare dolcemente sul terreno; il loro atroce compito è quello di attirare l'attenzione dei bambini attraverso colori sgargianti (rosa, verde, azzurro) e di non esplodere subito, ma dai venti ai sessanta minuti dopo la loro attivazione provocando ferite al torace, mutilazioni degli arti superiori e cecità. Potrei raccontarvi l'orrore provato nel vedere tante fotografie o nel leggere tanti racconti mentre mi documentavo, ma non lo farò, non sarebbe la stessa cosa che se le vedeste o leggeste con i vostri occhi; per questo dico che bisognerebbe metterne qualcuno sotto il letto del nuovo presidente degli Stati Uniti, il quale, prima di sottoscrivere il trattato di Ottawa per la messa al bando delle mine anti-uomo, si è fatto due conti e davanti alla perdita economica che questo avrebbe significato per gli USA non ha siglato il trattato.
Il trattato (del 4 dicembre 1997 - sottoscritto da 120 paesi) prevede l'interruzione della produzione di mine anti-uomo nelle fabbriche belliche e un programma di distruzione delle mine che fanno parte degli arsenali dei paesi aderenti, un programma di sminamento dei territori minati in vari paesi del mondo e un programma di assistenza alle vittime. Se gli Stati Uniti avessero siglato il trattato, molti paesi sarebbero stati costretti a seguirli e questo avrebbe significato una maggiore facilità di azione per le organizzazioni governative e non che da anni si battono in questa guerra. Gli Stati Uniti, però, da bravi difensori delle libertà violate da chi perpetra orrori su innocenti con guerre ingiuste non dichiarate, stanziano considerevoli fondi ogni anno per l'assistenza delle vittime delle mine. L'Italia che fino a pochi anni fa era uno dei paesi maggiori produttori di mine anti-uomo del mondo (media di produzione annua 15 milioni di mine), con la firma del trattato di Ottawa ha fortunatamente cambiato rotta: le industrie sono state riconvertite ed è stato iniziato un programma per lo smaltimento degli arsenali bellici che prevede la distruzione di 11 milioni di mine al giorno. Altri paesi però come la Cina, attualmente uno dei maggior produttori di mine, e come la Russia continuano a mantenere attive le loro fabbriche di orrore e tengono nascosti chissà dove milioni di pezzi che potrebbero entrare nel traffico clandestino delle armi in qualunque momento.
Esistono mine che stanno nel palmo di una mano, eppure riescono a ferire ad una distanza di 200 metri; mine progettate per produrre amputazione degli arti inferiori, per provocare lesioni al torace e alla testa, per attirare bambini; sono mine che restano attive per più di 50 anni. Secondo i dati di Emergency il costo di una mina non è superiore ai 2,5 euro; il costo di una protesi per l'arto di un bambino (che deve essere cambiato ogni sei mesi per seguirne gli sviluppi della crescita) va dai 250 ai 500 euro. Così solo una piccolissima percentuale della vittime (il 90% civili e di questi il 20% sono bambini) può tornare ad avere una vita quasi normale e ad essere in qualche modo autosufficiente.
Che dire? Nulla, perché non ci sono parole per commentare l'orrore al quale assistono quotidianamente le popolazioni vittime degli orrori della guerra, i volontari e i medici impegnati in questa lotta. Per averne una sia pure pallida idea, per una volta, mentre navigate in internet per divertimento o per lavoro, andate a visitare il sito di Emergency (www.emergency.it), oppure collegatevi con www.theperfectsoldier.com, o andate a cercare informazioni su www.cnnitalia.it.

 

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