Pubblicato su politicadomani Num 83/84 - Settembre/Ottobre 2008

Cultura
Storia contemporanea
Pio XII e la seconda guerra mondiale

In una mostra dedicata a Pio XII, attraverso una rassegna iconografica, documentaria e di oggetti legati alla vita privata e pubblica di Eugenio Pacelli, la memoria di un periodo tragico e senza precedenti per la storia dell’umanità

Matteo Luigi Napolitano*

La seconda guerra mondiale non riproduce nessun’altra guerra del Novecento; essa è una guerra tra sistemi ideologici contrapposti, con i sistemi democratici che faticano a prevalere su quelli totalitari. Ecco perché riteniamo che la figura di Eugenio Pacelli, asceso al Soglio pontificio col nome di Pio XII il 2 marzo 1939, sia una delle figure storiche più significative, e per certi aspetti più decisive, della storia del ventesimo secolo. Egli si trova ad essere papa di un'epoca senza precedenti: in una guerra in cui l'ideologia ha un peso fortissimo, e che si consuma anche con la tragedia della Shoah.
A Pio XII il Vaticano sta per dedicare una mostra, che si aprirà il prossimo 4 ottobre, e che resterà aperta fino al 6 gennaio, per poi trasferirsi a Berlino. Preparata dal Pontificio Comitato di Scienze Storiche (nato il 7 aprile 1954 proprio per volere di Pio XII), la mostra presenterà una ricca rassegna iconografica, documentaria e di oggetti legati alla vita privata e pubblica di Eugenio Pacelli; e si correderà di un prezioso catalogo con saggi di autorevoli studiosi.
La mostra è importante non solo per la ricorrenza del cinquantesimo anno della morte di Pacelli (che cadrà il 9 ottobre), ma anche perché questo anniversario ci riporta alla considerazione che Pio XII si trovò ad essere papa in un periodo tragico e senza precedenti per la storia dell’umanità. «Uomo di pace e papa di guerra», avrebbe detto Monsignor Tardini ricordandone più tardi la figura. Pio XII, infatti, ha visto i destini dell’umanità intrecciarsi tragicamente, assistendo, come sommo Pastore della Cattolicità, al compiersi di sofferenze inenarrabili.
Quando Pacelli diventa papa, egli non è uno sconosciuto. È un diplomatico di lungo corso, nonché Segretario di Stato di Pio XI. Gli archivi diplomatici testimoniano che, nell’imminenza del Conclave, proprio Pacelli è considerato il naturale successore del vecchio papa Ratti. E potrà apparire sorprendente il fatto che sempre gli archivi ci informano che l’elezione di Pacelli al pontificato è giudicata positivamente dalla gran parte delle potenze democratiche; mentre non poche critiche vengono riservate al nuovo Papa in primo luogo dal Governo nazista, e poi da quello fascista.
Appena asceso al Soglio, Pio XII si deve occupare dei temi della pace, ormai messa in pericolo dalla fine della Cecoslovacchia. La Gran Bretagna ha avvertito Hitler che un’aggressione alla Polonia significherà la guerra. La “crisi di Danzica”, dell’estate 1939, rende assai tangibile questo pericolo; mentre la conclusione, il 23 maggio 1939, del “Patto d’acciaio”, un'alleanza di natura offensiva tra Germania e Italia, comporta il rischio che anche quest'ultima sia trascinata in guerra.
Da qui scaturisce l’appello del Papa, diffuso da Castelgandolfo il 24 agosto 1939, mentre il mondo è ormai sull’orlo del baratro. Questo appello (di cui abbiamo il chirografo del papa con le correzioni di suo pugno) nella seconda stesura appare molto più drammatico rispetto alla prima versione, ma rimane purtroppo inascoltato.
Scoppiata la guerra, la prima enciclica di Pio XII, Summi Pontificatus, del 20 ottobre 1939, è un messaggio di solidarietà alla Polonia invasa e spartita tra Germania e Unione Sovietica, in virtù del protocollo segreto al patto Ribbentrop-Molotov. Non sembrerà strano, quindi, che anche la Germania nazista interpreti l'enciclica come una chiara critica all'aggressione alla Polonia.
Nel frattempo, Pio XII spera che la “non belligeranza”, proclamata da Mussolini, si trasformi in definitiva neutralità. Di ciò egli non fa mistero il Papa nell’udienza di accreditamento del 7 dicembre 1939, concessa al nuovo ambasciatore italiano Dino Alfieri. Richiamandosi alla sua prima Enciclica, Pio XII loda infatti il popolo italiano e la saggezza dei suoi governanti, che hanno preservato l’Italia dal trovarsi implicata nella guerra. È un chiaro invito a Mussolini a tenersi fuori della mischia.
Ecco perché, mentre il conflitto prosegue chiedendo un numero sempre più alto di vittime, la coalizione anti-hitleriana considera chiaramente il Vaticano un utilissimo e fidato interlocutore per le democrazie. Ne fa fede il rapporto intessuto da Pio XII con Myron Taylor, che dalla fine del 1939 è nominato rappresentante personale del Presidente Roosevelt presso il Papa.
Contrasta con la cordialità di questi rapporti l'atmosfera regnante fra il Papa e i rappresentanti dell’Asse. L'11 marzo 1940, il ministro degli esteri tedesco Joachim von Ribbentrop è ricevuto in udienza da Pio XII: udienza da cui il Papa «non spera molto», e che auspica «non sia sfruttata dalla malafede tedesca e produca buoni frutti». A Ribbentrop Pio XII chiede di consentire la partenza per la Polonia di un uditore della nunziatura a Berlino; richiesta ribadita da Monsignor Tardini.
L’entrata in guerra, annunciata da Mussolini il 10 giugno 1940, vanifica la speranza della Santa Sede in una definitiva neutralità dell’Italia. Il conflitto, divenuto “mondiale” dopo l’attacco tedesco all’Unione Sovietica e quello giapponese agli Stati Uniti, chiama la Santa Sede a moltiplicare il suo impegno umanitario. Lo scopo è quello di non chiudere alcuna via di comunicazione, onde servire anche da canale di dialogo fra le opposte fazioni.
Per conoscere meglio Pio XII occorre leggere anche i suoi radiomessaggi, in particolare quelli natalizi, summa del pensiero pacelliano e prova della sua costante attenzione ai temi della pace. In quei discorsi Pio XII prospetta la sua idea di “nuovo ordine” mondiale che vorrebbe si realizzasse alla fine del conflitto. Un nuovo ordine, come appare chiaro soprattutto nei radiomessaggi natalizi del 1941 e del 1942, che è basato sui valori della vera democrazia. Nel radiomessaggio natalizio del 1942 questi valori vengono ribaditi e rafforzati con una vera e propria enunciazione di principi, esaltando la persona e la dignità umana, la famiglia, il diritto al lavoro e il rinnovamento delle società statali su base cristiana. Questo radiomessaggio si pone in continuità ideale con la dichiarazione tripartita contro lo sterminio degli ebrei europei, che il 17 dicembre 1942 (ossia una settimana prima del discorso papale) gli alleati fanno conoscere al mondo. Si comprendono pertanto gli accenti del Papa in favore di coloro che soffrono «solo per ragioni di nazionalità o di stirpe»; accenti che il New York Times, nell’edizione del 25 dicembre, giudicherà ulteriore prova dell’efficacia e della chiarezza della parola pontificia.
Un altro aspetto dell'azione di Pio XII durante la guerra riguarda la difesa di Roma. Non deve stupire che un pontefice tenga alla sua Diocesi, e alla capitale della Cristianità. La caduta di Mussolini, il 25 luglio 1943, e l’armistizio dell’8 settembre successivo (cui seguono l’occupazione tedesca dell’Italia e di Roma e l’avanzata degli Alleati da Sud) impongono a Pacelli di far sì che Roma sia risparmiata dai combattimenti. Egli chiede ripetutamente, in numerosi messaggi ai belligeranti, di proclamare Roma “città aperta”, e preme soprattutto sui tedeschi, affinché trasferiscano altrove e al più presto il comando militare e i loro acquartieramenti. Tutto ciò, com'è noto, non risparmierà alla Città Eterna ulteriori sofferenze.
Un altro punto che andrebbe considerato, per valutare obiettivamente la figura di Pio XII, è il fatto che, nel corso del secondo conflitto mondiale, il Vaticano si trova a rivestire i panni di una potenza europea di riferimento e Pio XII di un “sovrano supplente”. L’annuncio dell’armistizio dell’8 settembre 1943 provoca l’immediata reazione dei tedeschi, che invadono l’Italia mentre il Re si dà alla fuga. Tale circostanza fa di Pio XII l’unico “monarca” a cui ormai gli italiani guardano per la salvezza del Paese.
Nondimeno, la posizione del Vaticano continua a essere di stretta neutralità. L’obiettivo principale dell’intervento vaticano è infatti il soccorso alle vittime della guerra, ai prigionieri e ai dispersi, con una rete di assistenza umanitaria che non fa distinzioni di credo religioso o di razza, e che copre rappresentanze pontificie, diocesi e parrocchie. Da qui la nascita dell’Ufficio Informazioni Vaticano, una grande centrale informativa e mirabile esempio di Inter Arma Caritas che mira a ricucire le vite e i destini di molti.
Un altro capitolo interessante dell'azione papale riguarda la salvezza degli ebrei. Tocca in modo particolare il cuore del Pontefice la salvezza degli Israeliti romani; lo si vede soprattutto in occasione dell’infame razzia ordinata da Kappler il 16 ottobre 1943. Dei 1259 ebrei arrestati, 1007 prendono la via di Auschwitz. Ma dei circa 9600 ebrei che si trovano a Roma in quel momento (ed è una stima del console israeliano Pinchas Lapide), 8500 trovano rifugio in conventi, case religiose, università pontificie e negli stessi appartamenti papali. Sono gli stessi archivi sionisti di Gerusalemme e quelli di Yad Vashem a documentare l’efficacia di quest’opera del Vaticano, che durante l’occupazione tedesca si estende a tutte le regioni italiane. Ma anche altri archivi, di istituzioni e case religiose (si pensi al Monastero dei Santi Quattro Coronati o al Pontificio Istituto Biblico, a Roma), documentano la grande portata di questi aiuti e il loro significato per gli ebrei.
Quando, il 4 giugno 1944, Roma viene liberata dagli Alleati, Pio XII è oggetto di unanime gratitudine da parte della popolazione civile, e degli stessi ebrei. La guerra non è ancora finita e l'Italia è ancora divisa in due. Ma la restituzione della Capitale alla libertà e alla sua dignità assume un enorme valore simbolico ed è felice presagio di definitivo riscatto dell'Italia dall'oppressione. L'opera del Vaticano procede intanto senza sosta in favore di quanti stanno ancora patendo gli effetti della guerra. L'approvvigionamento di pane e di altre derrate alimentari, soprattutto in favore dei più deboli e indifesi, diventa la prima esigenza, mentre al contempo proseguono la ricerca di nuove informazioni sui dispersi e gli sforzi per salvare gli ebrei nelle regioni italiane ancora controllate dai tedeschi.
Astraendo pertanto dalla pura polemica, e senza entrare nel delicato terreno teologico della causa di beatificazione, che sta proseguendo il suo corso in Vaticano, volendoci limitare a un giudizio storico in questa breve disamina, il bilancio che si trae su Pio XII, a cinquant'anni dalla sua scomparsa, è senza dubbio positivo. Una consistente quantità di documentazione consente di porre ormai le vicende illustrate su un terreno dell'analisi obiettiva, ricostruendo i fatti con pacatezza, documentando un'opera di pace ampiamente testimoniata dalle fonti, e senza attribuire a Pio XII virtù taumaturgiche di cui non godeva, e che pur avendo non avrebbe potuto esercitare, rispetto ai suoi contemporanei (che si chiamavano Hitler, Mussolini e Stalin). Ma questo è un errore di prospettiva in cui, non di rado, ancor oggi incorrono anche gli storici di mestiere.

*L’autore
Matteo Luigi Napolitano è Professore di Storia delle Relazioni Internazionali. Si occupa in particolare di diplomazia vaticana, di Guerra fredda e di politica estera italiana. È  delegato internazionale del Pontificio Comitato di Scienze Storiche per i temi di storia contemporanea.

 

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