Pubblicato su politicadomani Num 83/84 - Settembre/Ottobre 2008

Editoriale
Valenze positive di una crisi
La sindrome del PIL

Il PIL è uno strumento utile ma, se usato grossolanamente, diventa un feticcio che domina e distorce la nostra cultura economica
di Marco Vitale

Tempo fa Caracas è stata tappezzata da manifesti che dicevano: “Fai bene i tuoi conti”, e ponevano a raffronto la crescita zero dell’Italia nel 2008 con la crescita di oltre il sette per cento del Venezuela. È un dato di fatto non contestabile. Ma è contestabile lo spirito, la prospettiva e i commenti con i quali questo manifesto è stato pubblicato su alcuni giornali italiani. In sostanza il commento diceva: vedete, ormai siamo persino peggio del Venezuela di Chavez. Io non ci sto a questa lettura disfattista.
Il PIL misura, in modo grossolano, l’aumento dei beni materiali disponibili più il costo di produzione dei servizi della pubblica amministrazione, in un dato arco di tempo. Esso ignora tutti gli aspetti qualitativi e la composizione del PIL. E ciò può portare fuori strada. Se siamo peggio del Venezuela, perché le esportazioni italiane nel corso del 2008 sono state brillanti, perché l’occupazione (escluse le classiche aree malate non da oggi del Sud, rovinate da decenni di assistenzialismo) si mantiene a livelli elevati, perché indagini ad hoc condotte su varie migliaia di imprese medie, confermano che oltre il trenta per cento delle stesse ha in corso vigorosi programmi di assunzione di giovani?
Bisogna smontare il PIL e leggerlo nelle sue componenti. Vi è un’Italia produttiva, rappresentata fondamentale dalle medie imprese sane che resiste ai colpi, si adatta, si ristruttura, evolve, crea. Questa produce un PIL sano e in crescita. Ma poi vi è un’altra economia profondamente malata. Parlo dell’economia dei ladri, dei tangentari, dei trivellatori dei bilanci pubblici, degli speculatori immobiliari irresponsabili che, con la complicità di amministratori pubblici sprovveduti o corrotti, stanno distruggendo quello che resta del Bel Paese creando danni immensi alla sua competitività turistica. Parlo dei trafficanti di droga, dei trafficanti di voti, dei trafficanti di schiavi, dei trafficanti di potere bancario, degli accaparratori di compensi spropositati - soprattutto nel settore bancario - privi di ogni senso e giustificazione economica, professionale e morale. Il peso di questa economia illegale e neofeudale è enorme. E noi dovremmo essere pronti ad accettare una temporanea riduzione del PIL, persino auspicarla, pur di sgonfiare questa economia malata.
Questa crisi internazionale è anche una resa di conto e, come tutte le crisi, ha delle importanti valenze positive. Non dovrebbe interessarci una ripresa del PIL purchessia ma solo una ripresa del PIL che venga da un reale rinnovamento morale e sociale del Paese, una ripresa che sia frutto di uno spostamento di risorse, intangibili e tangibili, a favore dell’Italia produttiva, sana e coraggiosa che esiste e che dalla crisi internazionale deve emergere più forte e più consapevole del suo valore.

 

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