Pubblicato su politicadomani Num 83/84 - Settembre/Ottobre 2008

Esteri
Caucaso-Georgia-Occidente
La posta in gioco

Cambiamenti geopolitici in atto a partire dalla crisi georgiana. Stati Uniti, Russia, Georgia e, sullo sfondo, il controllo delle fonti di energia verso l’Asia e la ricostituzione dell’Impero Sovietico

di Maria Mezzina

Quando Mikeil Saakashvili andò al potere in Georgia, in Europa tirarono tutti un respiro di sollievo. Gli auspici non potevano essere migliori: era diventato Presidente il leader di quella “Rivoluzione delle rose” che aveva fatto della lotta alla corruzione la sua bandiera. Un curriculum di studi prestigioso: Columbia Law School di New York, George Washington University, Istituto Internazionale dei Diritti Umani a Strasburgo in Francia. È un giovane e brillante politico. È stato Ministro della Giustizia durante il governo Shevardnadze. Fautore del libero mercato. Ammiratore di Zviad Gamsakhurdiail, il primo Presidente della Georgia e fiero oppositore del regime sovietico. È vicino all’Occidente e agli Stati Uniti. È convinto della necessità per la Georgia di entrare nell’Unione Europea e nella NATO, una eventualità a cui la Russia guarda come ad una mosca in un occhio.
Inevitabile che George Bush jr. abbia visto nel giovane Presidente georgiano un ottimo baluardo contro la Russia di Putin, la cui influenza stava (e sta) intanto crescendo: economicamente, politicamente e strategicamente. “Grazie alla sua nuova ricchezza petrolifera la Russia è ora un paese forte sotto vari aspetti più di quanto lo sia mai stata nella sua storia”. Lo afferma in un’intervista alla Pravda  Marshall Goldman, professore americano esperto in economia russa (www.english.pravda.ru, 14 agosto 2008), che spiega: “Grazie alla esportazione del suo gas naturale la Russia ha assunto un enorme potere politico. Basti pensare al fatto che la Germania dipende per oltre il 45% dalla importazione di gas naturale dalla Russia, cosa questa che dà alla Russia un’arma politica molto efficace”.
La crisi georgiana di agosto potrebbe quindi essere l’avvio di una fase di rivalità fra Russia e Stati Uniti, l’inizio di una nuova guerra fredda.
I Russi vengono da un lungo periodo di incertezze e di umiliazioni, subite durante la presidenza Eltsin, e non sono disposti ad accettare sfide di nessun genere da nessuno dei paesi nati dalla dissoluzione dell’ex impero sovietico. “La Georgia - nota il prof. Goldman - ha costruito un oleodotto e subito dopo un gasdotto che porterà petrolio e gas dall’Asia Centrale. Ciò porrà fine al monopolio della Russia sul controllo dell’accesso all’energia dell’Asia Centrale. Già questo, da solo, fa della Georgia un bersaglio della Russia. La Russia, in qualità di controllore e protettrice sia di Gazprom che di Transneft [nelle cui mani si trovano estrazione e produzione di gas e petrolio (Gazprom) e la gestione degli oleodotti e gasdotti (Transneft) n.d.r.], potrebbe non tollerare questa sfida”.
D’altra parte esiste per gli Stati Uniti la necessità che la Russia non possa ricostruire l’antico impero sovietico. Una necessità obiettiva che non dipende dal Presidente in carica. Per questo è importante che la Georgia, ricevendo appoggio dagli Usa e dal resto del mondo non sia intimidita dalla Russia. “Se la Gorgia fosse intimidita dalla Russia - spiega Goldman -  c’è il pericolo che lo siano subito dopo di lei anche l’Ucraina, i Paesi Baltici e perfino quelli dell’Asia Centrale”.
Il riconoscimento formale da parte della Russia delle Repubbliche indipendenti di Abkhazia e Ossezia Meridionale e l’inizio di trattative diplomatiche con i due Paesi, viene naturalmente vissuto dalla Georgia come una indebita variazione dei confini di uno stato sovrano da parte di un altro stato. Si tratta in realtà di una partita a scacchi fra Russia e Stati Uniti in cui il resto del mondo fa da arbitro e di volta in volta decide l’esito del gioco.
Per giustificare il riconoscimento dell’indipendenza delle due regioni georgiane la Russia si è appellata alla vicenda del riconoscimento della indipendenza del Kosovo dalla Serbia (17 febbraio 2008). Il Kosovo è stato infatti riconosciuto subito da Stati Uniti e Albania e da alcuni Stati dell’Unione Europea (Italia compresa). Fortemente contrari, oltre naturalmente la Serbia, sono Russia, Cina e alcune nazioni europee. “Un caso unico” è stato definito quello del Kosovo dagli Usa quando la diplomazia russa ha fatto notare la contraddizione fra l’impegno al riconoscimento dell’indipendenza del Kosovo e quello della protezione della integrità delle linee di confine della Georgia. “Due casi unici” hanno risposto i diplomatici russi alle recriminazioni degli Stati Uniti a proposito del riconoscimento di Abkhazia e Ossezia del Sud.
In realtà su questa disputa si gioca una partita molto più grande: la perdita di influenza degli Stati Uniti sullo scacchiere internazionale e la contemporanea crescita della Russia. I tentativi di far condannare la Russia per questo riconoscimento si sono infatti scontrati con i veti incrociati di molti paesi che ormai con la Russia hanno stretto importanti relazioni economiche.
Oltre un decennio di errori strategici e politici compiuti dagli Stati Uniti - a cominciare dalle guerre per le risorse energetiche per finire con la improbabile visione di un impero americano padrone del mondo - hanno eroso consenso all’interno e all’esterno del grande paese. È come se dopo venti anni dal 1989 la forza degli Usa si stia sgretolando (anche a causa dell’affacciarsi di nuovi attori come l’India e la Cina sullo scenario mondiale). La sua ricostituzione sarà complessa e probabilmente, essendo gli USA un paese democratico, più lunga e difficile di quella della Russia. E non sarà solo questione di scelta fra democratico o repubblicani, fra Obama e McCain.

 

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