Pubblicato su politicadomani Num 81/82 - Giugno/Luglio 2008

Costosi, pericolosi, desueti
Il ritorno al nucleare? Costerebbe 50 miliardi di euro
Nucleare? No grazie. Legambiente, Greenpeace e WWF bocciano la proposta Scajola. Il nucleare costa troppo e non riduce le emissione di CO2. Allora meglio insistere sul mix tra fotovoltaico, sole e eolico e sull'efficienza energetica

 

Proprio nel giorno in cui il premier Berisha mette a disposizione il territorio albanese per la costruzione delle centrali nucleari italiane, Legambiente, WWf e Greenpeace bocciano senza appello la nuova deriva nuclearista del ministro Scajola.
Il problema non è solo ideologico. Il ritorno all'atomo costa troppo e non riduce la bolletta energetica. In più blocca lo sviluppo delle fonti alternative, senza assicurare una riduzione delle emissioni globali di CO2.
Secondo il dossier [scaricabile dal sito di Vita, www.vita.it, n.d.r.] presentato a Roma dalle tre associazioni ambientaliste, riaccendere i reattori costerebbe tra i 30 e i 50 miliardi di euro, tra istallazioni di centrali e costruzione da zero dell'intera filiera. All'incirca due finanziarie che verrebbero sostenute quasi esclusivamente con soldi pubblici; "per un sistema che andrebbe a regime, facendo effettivamente risparmiare, solo tra trent'anni cioè circa sette anni dopo la normale durata di un reattore nucleare", spiega Giuseppe Onufrio, direttore delle campagne Greenpeace. Non basta. Gli investimenti statali nel settore toglierebbero risorse alle altre fonti rinnovabili, con tanti saluti agli accordi comunitari e alle dinamiche di libero mercato.
Secondo le stime dell'Agenzia internazionale dell'energia, infatti, dal 1992 al 2005 nei paesi Ocse il nucleare da fissione ha usufruito del 46% degli investimenti per ricerca, mentre alle rinnovabili è stato destinato solo l'11%. In più, nei paesi come gli Stati Uniti e Finlandia il rilancio del settore sarà possibile grazie a cospicui investimenti pubblici. "Nonostante questo, il consorzio finlandese che sta sperimentando il nucleare di quarta generazione, è attualmente in forte perdita", aggiunge Onufrio. Così persino l'Aiea - l'Agenzia internazionale per l'energia atomica - nel suo rapporto "Energy, electricity, and nuclear power estimates for the period up to 2030" ha previsto per i prossimi anni una riduzione del peso dell'atomo nella produzione elettrica mondiale, dal 15% del 2006 a circa il 13% del 2030.
Ma allora perché il governo insiste sul ritorno all'uranio? Per il direttore del Wwf, Michele Candotti si tratta semplicemente di una provocazione che "in realtà ha altre mire - spiega - L'idea di fondo è quella di dare libero spazio agli investimenti sul nucleare all'estero e dall'estero, ma soprattutto avere un forte potere negoziale sul futuro del carbone in un eventuale piano energetico nazionale". Una teoria che si spiega guardando all'attuale contesto italiano, "ad oggi, per pensare seriamente al nucleare, ci vorrebbero un sistema decisionale forte e centralizzato e una gestione efficiente del territorio - continua Candotti - ma mi sembra che l'Italia sia ancora lontana da queste condizioni". Ancora più duro Vittorio Cogliati Dezza, presidente nazionale Legambiente. "Il piano del governo ha come semplice obiettivo quello di permettere all'Enel di entrare massicciamente nel mercato mondiale - accusa - Non c'è un vero programma perché oggi è impossibile da realizzare". Così le tre associazioni continuano a promuovere un sistema diverso "Dobbiamo puntare su una produzione distribuita attraverso un mix flessibile di fotovoltaico, solare ed eolico - conclude Dezza - Ma non si può prescindere da una seria politica di efficienza energetica".

[Fonte: Vita, 30-05-2008]

 

Homepage

 

   
Num 81/82 Giugno/Luglio 2008 | politicadomani.it