Pubblicato su politicadomani Num 81/82 - Giugno/Luglio 2008

Radiografia di un Decreto

 

La Questione Giuridica

Articolo 18 - Un decreto in deroga
L'art. 18 è l'apoteosi di questo decreto, firmato dal Presidente Napolitano, oltre che da Berlusconi e i ministri (Prestigiacomo, Alfano, Maroni, La Russa, Gelmini e Tremonti.
Il decreto è "in deroga" a tutta una serie di leggi a tutela del patrimonio ambientale, della salute dei cittadini e della sicurezza sul posto di lavoro. "Deroga" è il termine tecnico che, senza cancellarla, sospende una legge e che con un'altra legge rende legali violazioni del diritto e illiceità di ogni tipo.
Le deroghe riguardano 42 norme specificamente elencate, che coprono un arco di tempo di 85 anni (dal 1923 al 2008), più le "normative statali e regionali in materia di espropriazioni" e le "leggi regionali strettamente collegate agli interventi da eseguire". Il tutto, con la possibilità, cioè, di aggiungere al mucchio altre leggi di salvaguardia e tutela, ove fosse necessario (ma necessario a chi?).
Delle leggi più antiche e consolidate sono stati aboliti, per fare solo alcuni esempi:
- gli articoli 216 e 217 del Regio Decreto 27 luglio 1934 n. 1265 (un lungo complesso di norme sulla sanità pubblica), che riguardano la ammissibilità nei centri abitati di "manifatture o fabbriche che producono vapori, gas o altre esalazioni insalubri o che possono riuscire in altro modo pericolose alla salute degli abitanti" (art.216), e le attribuzioni al sindaco e alla provincia delle misure da prendere per prevenire danni e pericoli collegati ad esse collegate (art.217);
- gli articoli 1, 7, 8, 12 e 17 del Regio Decreto n. 3267 del 30 dicembre 1923, sulla legislazione in materia di boschi e terreni montani, dove all'art. 1 si legge: "Sono sottoposti a vincolo per scopi idrogeologici i terreni di qualsiasi natura e destinazione che, per effetto di forme di utilizzazione contrastanti con le norme di cui agli artt. 7, 8 e 9 possono con danno pubblico subire denudazioni, perdere la stabilità o turbare il regime delle acque".
Delle leggi più recenti sono stati aboliti per l'occasione:
- gli articoli 18, 46, 225 e allegati del decreto legislativo 9 aprile 2008 n. 81, Attuazione dell'articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro. Notare che è proprio nell'art. 18 (riportato in altra pagina su questo numero) che sono descritti gli obblighi del datore di lavoro e del dirigente a tutela del rischio, della incolumità e della informazione dei lavoratori.
La lunga lista di deroghe, sulle quali l'Europa ha già espresso serie perplessità, getta praticamente fra i rifiuti il lavoro di oltre tre generazioni di legislatori e di giuristi, oltre a quello di sindacati e associazioni civili, volto ad armonizzare l'azione delle amministrazioni con il rispetto del territorio, i diritti civili, la salute dei cittadini, la sicurezza sul lavoro.

Articolo 14 - Un decreto che si assolve da solo
L'art. 14 (Norme di interpretazione autentica) salva praticamente l'intero decreto dall'accusa di illegittimità. In poco più di quattro righe quest'articolo salvailleciti dispone che alcuni provvedimenti "non sono soggetti al controllo preventivo di legittimità". E precisamente o provedimenti previsti all'art. 5 della legge 24 febbraio 1992 n. 225, Attività e compiti di protezione civile. In quest'articolo (Stato di emergenza e potere di ordinanza) si enunciano le competenze del governo e se ne controlla l'operato, si specifica che le eventuali deroghe debbono essere circostanziate e motivate, e si precisa che negli eventi a cui si applica lo stato di emergenza le "attività di protezione civile devono armonizzarsi, in quanto compatibili con le necessità imposte dalle emergenze, con i programmi di tutela e risanamento del territorio". Orbene, relativamente a utti questi aspetti, le attività poste in essere non sono sindacabili. Inoltre, l'art. 5bis del decreto legge 7 settembre 2001 n. 343, sulle Competenze del Presidente del Consiglio dei Ministri in materia di protezione civile, va interpretato nel senso che le norme emanate dal governo debbono essere comunque applicate, anche se sono illegittime.

Articolo 4 - Un decreto inattaccabile
(Tutela giurisdizionale) Inevitabile che nella complessa questione della "monnezza campana" ci siano contrasti fra il governo (oppure i soggetti incaricati dal governo della gestione rifiuti), gli amministratori locali (che sono stati espropriati delle loro competenze), e i cittadini, singolarmente, in gruppo o in comunità intere. Tribunale competente, stabilisce l'articolo, è il Tar della Campania. Una giurisdizione che viene estesa anche ai "diritti costituzionalmente tutelati", recita l'articolo.
La norma carica il Tribunale amministrativo, che già esplode da sé, di un peso enorme. Un peso però di cui può agilmante liberarsi perché, in fondo, con tutte le deroghe previste nell'art. 18 il Governo e i suoi incaricati sono in una botte di ferro. Inattaccabili. E padroni…
Rimane l'Europa, a cui sindaci e cittadini comuni possono ancora appellarsi contro l'imprevidenza e la prevaricazione del proprio governo. Ultima ancora di salvezza, ultimo approdo.

 

Le Scelte

Articolo 8 - Termovalorizzatori a Napoli, ecoballe e stoccaggi
Non è facile la scelta dei siti a Napoli e provincia, un territorio limitato dove vivono oltre 3 milioni di persone, con una densità di popolazione di 2.632,6 abitanti per kmq, la più alta d'Italia, da 8 a 19 volte quella delle altre provincie campane (Tabella 1). Più facile e spedita è la via della forza. In deroga alle "previsioni edilizie e urbanistiche vigenti", sarà il governo Berlusconi a decidere dove fare il termovalorizzatore di Napoli, se entro il 24 giugno non avrà deciso il sindaco Jervolino.
Eppure, meno traumaticamente, si poteva decidere, per l'eccezionalità della situazione di una provincia così densamente popolata, di fare una deroga alla norma che prevede un sistema di smaltimento in ogni provincia - una disposizione ampiamente disattesa, visto che in Campania sono stati scaricati i rifiuti di mezza Italia - e di rispettare in tutte le provincie le leggi a tutela della salute e dell'ambiente.
E, invece, no. In deroga a norme vitali per la salute e il territorio, Napoli dovrà stoccare, sia pure in mezzo alle case e sotto gli ospedali, rifiuti strani e sospetti, individuati con i soli codici C.E.R. (altro esempio emblematico di non trasparenza e di tentativo di tenere all'oscuro il cittadino comune); lo stoccaggio nei siti già esistenti sarà prorogato per altri tre anni; e sarà possibile "il deposito dei rifiuti stessi presso qualsiasi area di deposito temporaneo".
Una roba da incubo.

Articolo 9 - Discariche a rischio disastro ambientale
Sono dieci le discariche individuate in provincia di Napoli dove saranno smaltiti gli 11 codici C.E.R. e i "rifiuti urbani oggetto di incendi dolosi o colposi" (altamente inquinanti). Nella discariche sarà possibile creare impianti per il trattamento del percolato, ciò che cola, cioè, dai rifiuti ammassati: il peggio del peggio.
La scelta è stata fatta sulla base dei "buchi" esistenti. Senza dare ascolto ai geologi che da tempo propongono soluzioni diverse più adatte, e senza prevedere un tempo adeguato per gli opportuni studi di Valutazione di Impatto Ambientale (V.I.A.).
Ecco, descritta nel comma 5, la procedura per la V.I.A.: Bertolaso convoca la commissione che dovrà dare la V.I.A. entro 7 giorni; se manca l'accordo sarà Berlusconi ad avere 7 giorni di tempo per farlo (un semaforo verde che il decisionismo movimentista del Presidente certamente non farà mancare). La decisione spetterà comunque a lui anche nel caso di parere negativo della commissione. Dopo 14 anni di non decisioni in 14 giorni sarà tutto deciso. Con buona pace dei timori e delle preoccupazioni dei cittadini, e in spregio di ogni buon senso.
Perché le cave di Chiaiano a Napoli (fra i 10 siti proposti) si trovano in pieno centro abitato, con una densità di popolazione, abbiamo già detto, la più alta d'Italia. Perché sono a 2 km e meno dai grandi ospedali di Napoli. Perché appartengono al Parco Metropolitano delle Colline di Napoli, che è zona protetta, in quanto è l'unico polmone verde a nord della città. Perché la struttura del terreno è friabile e a rischio di frane. Perché il materiale di cui sono fatte è poroso. Perché sono a fossa e quindi sul fondo raccolgono le acque piovane e quelle che scorrono convogliandole, attraverso il materiale poroso di cui è fatta la fossa, alla riserva idrica che esiste là sotto. Perché la falda sottostante "presenta un alto dovuto alla massima infiltrazione idrica in corrispondenza della collina dei Camaldoli; da tale alto, in corrispondenza delle cave a fossa avviene il deflusso idrico sotterraneo radiale. L'inquinamento della falda proprio nella zona di principale ricarica idrica costituirebbe una seria minaccia per coloro che utilizzano la falda anche a distanza di chilometri" (Prof. Franco Ortolani, ordinario di Geologia Università Federico II di Napoli).
Una eventualità, questa, da disastro ambientale certo, a meno di un corretto isolamento (che potrebbe durare non più di 20 anni), di un tempestivo svuotamento e di una corretta bonifica. Tutte condizioni che, la storia delle amministrazioni di Napoli e della Campania insegna, sono lontane dal poter essere garantite.
Un disastro ambientale ampiamente annunciato che avverrebbe, peraltro, nel periodo di grande emergenza idrica per mancanza di precipitazioni atmosferiche (anche l'Italia è interessata ai processi di desertificazione dovuti ai cambiamenti climatici in corso), per cui il ricorso alle acque sotterrane diventerebbe sempre più indispensabile.
Una situazione da paura nella quale unici beneficiari sarebbero le grandi multinazionali dell'acqua. Milioni di tonnellate di acqua, da pagare a caro prezzo, e per di più contaminata dalle sostanze chimiche che si sprigionano per il contatto con la plastica delle bottiglie esposte alla luce e alle alte temperature. Bottiglie di plastica altamente inquinanti, provenienti da altre regioni lontane con grossi tir, altrettanto e peggio inquinanti.
Per gli abitanti dei siti localizzati per le discariche ci saranno "benefici fiscali e contributivi", ma solo "previa individuazione di specifica copertura finanziaria". Vale a dire: forse vi daremo un bonus per il danno e il fastidio, ma solo se ci saranno i soldi.

Articolo 10 - I mostri
Impianti di depurazione, di questo tratta l'art. 10 del decreto. Un manipolo di esperti statali e regionali, "senza alcun compenso", avrà il compito di giudicare dell'impatto sull'ambiente e sugli uomini della immissione nella fognature (i "corpi idrici ricettori") degli scarichi provenienti dagli impianti di depurazione. Non oltre il 50%, precisa l'articolo, che però non può prevedere l'ammontare assoluto di quel 50% e, quindi, il grado di inquinamento di quegli scarichi di fogna. Scarichi che, poi, dove andranno a finire?
Contaminazione e pericolo. Un comportamento criminale che mette a rischio enorme salute della gente e integrità del territorio diventa lecito per decreto.

 

Fuori dall’Europa

Articolo 5 - Inceneritori. Si ad ogni costo
(Termovalorizzatori di Acerra (NA), Santa Maria la Fossa (CE) e Salerno) L'articolo autorizza l'apertura, per la termodistruzione di vari codici C.E.R. (il nuovo eufemismo per "rifiuti vari" sui quali è bene mentenere un certo riserbo), dei termovalorizzatori di Acerra (per 600mila tonnellate di rifiuti l'anno) e di quello di Santa Maria La Fossa.
Quest'ultimo è ancora da costruire e non sarà pronto prima del 2012, anno in cui è prevista in Europa la dismissione di tutte le discariche. Il primo, il termovalorizzatore di Acerra, non è mai entrato in funzione. La gigantesca struttura, pensata per ridurre in fumo al ritmo di 800mila tonnellate all'anno gli 8 milioni di tonnellate di indistinti rifiuti stoccati in Campania (la media di smaltimento di un termovalorizzatore in Europa è invece di 100mila tonnellate l'anno), è stata bloccata. Ragioni di salute pubblica e protezione dell'ambiente che sono tutelate sia dalla Costituzione che dall'Europa.
E invece l'articolo 5 del decreto parla ancora di deroghe: deroga al rapporto di V.I.A. del 9 febbraio 2005, e deroga all'articolo 5 del decreto legislativo n. 59 del 18 febbraio 2005 (Attuazione integrale della direttiva 96/61/CE relativa alla prevenzione e riduzione integrate dell'inquinamento).
Quest'ultimo descrive il lungo, complesso e dettagliato elenco di procedure necessarie ad ottenere la cosiddetta Autorizzazione integrata ambientale.
L'Autorizzazione fa seguito a una domanda che deve descrivere (comma 1):
" a) l'impianto, il tipo e la portata delle sue attività;
b) le materie prime e ausiliarie, le sostanze e l'energia usate o prodotte dall'impianto
c) le fonti di emissione dell'impianto;
d) lo stato del sito di ubicazione dell'impianto;
e) il tipo e l'entità delle emissioni dell'impianto in ogni settore ambientale, nonché un'identificazione degli effetti significativi delle emissioni sull'ambiente;
f) la tecnologia utilizzata e le altre tecniche in uso per prevenire le emissioni dall'impianto oppure per ridurle;
g) le misure di prevenzione e di recupero dei rifiuti prodotti dall'impianto;
h) le misure previste per controllare le emissioni nell'ambiente;
i) le eventuali principali alternative prese in esame dal gestore, in forma sommaria;
j) le altre misure previste per ottemperare ai principi di cui all'articolo 3 (calendario delle scadenze n.d.r.)".
L'articolo 5 del decreto 59 è composto di ben 20 commi che danno attuazione alle disposizioni europee in materia di tutela ambientale e di salute pubblica. Esso prevede anche "specifici accordi" fra "lo Stato, le regioni, le province e i comuni territorialmente competenti e i gestori, al fine di garantire, in conformità con gli interessi fondamentali della collettività, l'armonizzazione tra lo sviluppo del sistema produttivo nazionale, le politiche del territorio e le strategie aziendali" (comma 20).
La deroga a queste precise e puntuali disposizioni, insieme alle altre deroghe, farebbe aprire nei confronti dell'Italia una procedura di infrazione alle norme comunitarie a tutela della salute dei cittadini, del territorio e dell'ambiente. Con conseguente pesanti multe che ricadrebbero su tutti i cittadini italiani, senza distinzione fra Nord e Sud.

 

Tabella 1 - Acqua prelevata per tipologia e fonte di approvvigionamento - Anno 1999 (migliaia di mc) - Dati ISTAT

 

ATO

Acque sotterranee

Acque superficiali

Totale

Sorgente

Pozzo

Corso d'acqua

Lago naturale

Bacino artificiale

CAMPANIA

 

 

 

 

 

 

ATO CI - Calore Irpino

266.333

16.681

-

-

-

283.014

ATO NV - Napoli Volturno

127.265

169.965

-

-

-

297.230

ATO SV - Sarnese Vesuviano

50.549

119.547

-

-

5

170.101

ATO S - Sele

128.228

21.726

-

-

920

150.874

Totale

572.375

327.919

-

-

925

901.219

 

Tabella 2 - Popolazione, comuni e territorio nelle provincie della Campania

Provincia

Abitanti (dati 2007)

Estensione (kmq)

Comuni

Densità di popolazione (abitanti/kmq)

Napoli

3.082.756

1.171

92

2.632,6

Avellino

438.935

2.792

119

157

Caserta

892.354

2.639

104

338

Benevento

288.572

2071,2

78

139

Salerno

1.102.374

4918

158

224

 

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