Pubblicato su politicadomani Num 81/82 - Giugno/Luglio 2008

L'intervista
Imparare le lingue straniere per essere pienamente europei
Pietro Petrucci, portavoce della Commissione Europea, responsabile per il multilinguismo risponde alle domande di politicadomani

di Silvio Nocera

Europa e multinguismo: quanto contano le lingue in Europa?
Le lingue rappresentano la spina dorsale dell'Unione Europea perché ne riflettono la diversità antropologica, culturale, sociale e ovviamente linguistica. L'Unione d'altronde si è sempre posta l'obiettivo di tutelare la propria eterogeneità culturale e di trasformare in opportunità quello che poteva benissimo rappresentare un ostacolo alla coesione dei suoi popoli. L"Europa è infatti l'unica istituzione al mondo a contare 23 lingue ufficiali, ovverosia tutte le lingue nazionali dei suoi Paesi membri. Questo fa sì che i suoi cittadini abbiano il diritto di rivolgervisi nella propria lingua madre e ottenere risposte nella stessa lingua.

La varietà linguistica rappresenta dunque un'opportunità o una minaccia?
Io direi entrambe le cose: in linea di massima molto dipende da come viene affrontato questo tema, perché si tratta di un ambito delicato e strategico che va gestito con lungimiranza. La conoscenza di più lingue è oggi un'esigenza per un'Europa che aspira a diventare un modello istituzionale in sede internazionale. Il compito della Commissione è quello di cercare i mezzi e i modi adatti per promuovere la varietà linguistica e indirizzare le politiche degli Stati membri. Questo significa, rispondere alle esigenze manifestate nelle consultazioni dai cittadini in maniera mirata, invitando gli Stati membri a adeguare le loro politiche linguistiche... È bene anche ricordare che ci sono Paesi che contano minoranze culturali e linguistiche che fanno sentire il loro peso, come in Spagna.

In questo contesto frastagliato, quanto incide il nodo linguistico sull'identità e sull'omogeneità dell'UE?
Qui entriamo in un terreno che rientra in un vecchio dibattito avviato in seno alle istituzioni europee. Che identità abbia l'Europa non è domanda da poco: se partiamo dall'assunto che l'identità sia frutto del crearsi e del consolidarsi di un'opinione pubblica europea, la lingua e il problema della sua unità sono fondamentali. È vero che l'inglese è la lingua veicolo principe nel nostro continente, ma i dati dell'Eurobarometro hanno mostrato quanto siano variegati i contesti nazionali e come sia comunque frammentato il panorama linguistico. L'inglese è una grande lingua veicolare, ma non ci sono assolutamente i presupposti perché assurga ad un ruolo maggiore in Europa. Io trovo che, se vi è un fattore che veramente nuoce all'integrazione, e dunque all'identità europea, debba essere ritrovato, da una parte, nella mancata circolazione delle informazioni, spesso dovuta anche ai naturali problemi che comporta la traduzione, e, dall'altra, nel basso scambio di conoscenze culturali reciproche da parte dei singoli Paesi membri. Inoltre gran parte di coloro che hanno partecipato alla recente consultazione hanno sottolineato come molti media non siano capaci di fare rimbalzare questa enorme ricchezza costituita da panorami culturali nazionali e regionali tanto vari.

Quanto abbiamo bisogno come europei di un'identità linguistica forte?
Umberto Eco ha scritto che la lingua dell'Europa è la traduzione. Le lingue rappresentano inoltre lo strumento maggiormente democratico che l'uomo abbia mai sperimentato: una lingua non può essere imposta, è un istituto duttile e malleabile per definizione, cambia nel tempo e nello spazio e si adatta alla relativa comunità di parlanti. È perciò inimmaginabile pensare di adottare un'unica lingua. La riflessione che possiamo fare e che deve tradursi in strumenti concreti di lavoro è il prendere coscienza dei vantaggi insiti in questa diversità. Apprendere le lingue è oggi più che mai una necessità per eliminare le sacche di quell'elitarismo linguistico che contribuiscono a creare emarginazione, scarsa partecipazione, e ancor minore mobilità, con il risultato di rallentare lo sviluppo della società della conoscenza. In questo senso bisogna cercare di democratizzare la conoscenza delle lingue. Al giorno d'oggi un operaio specializzato ha, almeno in teoria le stesse possibilità di lavorare all'estero di un quadro. Sempre che conosca diverse lingue. E con i costi del lavoro e della manodopera che variano da un Paese all'altro non è un dato che deve essere preso in scarsa considerazione.

Lingua adottiva personale: un'onda lunga di sviluppo e rispetto delle identità o un passo verso la proverbiale torre di Babele?
Il concetto enucleato dal Gruppo di Alto livello è un modo più letterario ed elegante per indicare la previsione di "una lingua materna + altre due" già abbozzato a Barcellona. Si tratta di una formula che ha il pregio di valorizzare anche le lingue degli immigrati e delle numerose minoranze linguistiche presenti nel nostro continente. Niente torre di Babele quindi, ma solo una strategia per la gestione della complessità: il punto cruciale è creare dei serbatoi linguistici differenziati che mettano in grado enti ed imprese di avvalersi di competenze linguistiche specifiche. La cosa su cui non sono consentiti errori e ritardi è l'avvio di un processo che, se correttamente innescato, è in grado non solo di auto sostenersi, ma anche di autosvilupparsi. Se è vero che una lingua veicolare è utile, competenze ulteriori, e più salde e approfondite sono comunque essenziali.
Mr. Orban porta spesso l'esempio di una valigetta 24 ore: così come la 24 ore va benissimo per due giorni di viaggio, la lingua franca rappresenta un ottimo puntello che resta comunque provvisorio. Anche perché le lingue veicolari cambiano: il cinese è destinato a diventare una di queste.

L'esistenza di più lingue nell'Europa dei 27 ha accresciuto i costi del servizio di traduzione in seno alle istituzioni europee in termini finanziari, sociali e di appesantimento burocratico. Quali sono questi costi?
Effettivamente bisogna ammettere che i costi hanno subito un incremento a seguito degli ultimi allargamenti.
Già la relazione speciale n. 9/2006 della Corte dei Conti europea sulle spese per la traduzione sostenute dalla Commissione, dal Parlamento e dal Consiglio indicava che il costo complessivo per la traduzione nel 2005 era pari a 257 milioni per la Commissione, 128 milioni di euro per il Parlamento e 126 milioni per il Consiglio. Lo stesso anno i costi medi per pagina ammontavano a 194 euro per la Commissione, 119 euro per il Parlamento e 276 euro per il Consiglio, con un costo medio di 197 euro per pagina. Costi questi che, è bene dirlo, nel 2003 raggiungevano i 150 euro circa per pagina.
In realtà, l'aumento dei costi e l'ammontare della spesa dopo l'allargamento a 27 non hanno nulla di spaventoso, anche se questo delude un po' i giornalisti ansiosi di far notizia. Per dare un'idea dell'ordine di grandezza, tutte le traduzioni nelle 23 lingue ufficiali fatte alla Commissione costano poco più di mezzo euro l'anno ad ogni cittadino europeo. Non si tratta certo di un lusso!

Insegnare e apprendere bene un'altra lingua significa prestare particolare cura alla qualità e all'efficacia dei programmi di insegnamento. Quanto è importante l'adozione di una politica linguistica strategica di lungo periodo?
È imprescindibile. Il valore aggiunto dell'Unione Europea sta proprio nel favorire lo scambio di buone pratiche e il coordinamento dei singoli Stati membri, come peraltro già in atto con il Piano di azione di promozione delle lingue. Tra i cantieri aperti ricordiamo i sistemi di certificazione basati sul Quadro comune europeo di riferimento per le lingue, la questione del mentoring di assistenza agli insegnanti più giovani e l'introduzione di sistemi di riconoscimento reciproco o plurimo degli insegnati di lingue.

 

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