Pubblicato su politicadomani Num 80 - Maggio 2008

120 dollari al barile
Petrolio, perché ci costi tanto?
Alcune considerazioni a proposito del costo del petrolio

di Paolo Tomasi e Maria Mezzina

Che, come ogni bene, il costo del petrolio greggio e, quindi, dei prodotti da esso raffinati, derivi dalla fondamentale legge economica dell'equilibrio tra domanda ed offerta è oggettivamente vero, purché siano chiari i molteplici fattori che ne determinano e ne complicano la formazione.
Vogliamo qui prendere in esame questi fattori, andando con ordine.

UNA MISCELA DI IDROCARBURI
Il petrolio è una miscela naturale di idrocarburi - carbonio e idrogeno, soprattutto - estratti da giacimenti che si trovano sotto la costa terrestre a profondità variabili, sino a diverse migliaia di metri. La sua formazione è dovuta alla decomposizione, avvenuta attraverso milioni di anni, di organismi marini e piante che crescevano e crescono sui fondali marini. È noto che milioni di anni fa gli oceani ricoprivano quasi l'intera superficie del pianeta, prima dell'emersione della terraferma (l'iniziale Atlantide, poi geologicamente separatasi per originare gli attuali continenti). I sedimenti prima depositati sul fondo del mare e poi sulla terra successivamente emersa, aumentando di spessore e di peso, affondavano sui fondali. Questi sedimenti, attraverso catene di processi di trasformazione fisico-chimiche, generavano gli idrocarburi che troviamo ora nei giacimenti con elevate pressioni e temperature. Sia ben chiaro che non esistono "laghi" di petrolio, ma che lo stesso rimane disperso in "chioccioline tra loro contigue", tra le rocce. Le elevate pressioni, a seguito della perforazione dei giacimenti, portano ad emergere questa preziosa risorsa. Sono queste le cosiddette "riserve", distinte in certe, probabili e possibili. Certe, laddove siano state scoperte e sfruttate; probabili, nelle zone da cui è possibile estrarle attraverso la moderna tecnologia; possibili là dove se ne sospetta l'esistenza, avendo già individuato le aree favorevoli (cfr. box in questa pagina ndr).

PESSIMISTI E OTTIMISTI
Vista la lentissima formazione degli idrocarburi, questi costituiscono una risorsa di per sé finita e, quindi, soggetta a prezzi crescenti. Sulle dimensioni delle riserve i pareri degli esperti sono contraddittori: vi sono gli ottimisti e i pessimisti. "I primi fanno riferimento ai risultati dell'U.S. Geological Survey che dopo uno studio durato circa cinque anni ha concluso che il mondo ha riserve sufficienti per tutto il secolo, circa 2300 miliardi di barili, anche se è necessario precisare che gran parte di esse devono essere ancora scoperte. Tra i secondi, invece, ci sono i geologi del King Hubbert Center della Colorado School of Mines che ritengono che la produzione del greggio avrà il suo massimo in questo decennio, con 85 milioni di barili al giorno, per poi calare drammaticamente a 35 milioni nel 2020. Una previsione che non trova d'accordo molti altri esperti che la ritengono errata." (Enciclopedia Treccani, "Il tesoro Sepolto. Risorse e riserve petrolifere", di Gian Paolo Borghi, Paolo D'Antona/Eni Tecnologie, pg. 20)
Anche prendendo per buona l'ipotesi degli "ottimisti", per sfruttare le riserve è necessario prima scoprirle. È recente la notizia che sarebbe stato scoperto al largo del Brasile un enorme giacimento. La notizia è da accertare ma farebbe molto bene al mercato.

LA POLITICA DELL'OPEC
È bene rammentare, a proposito di questi ultimi, che sin dagli anni '20 le principali compagnie produttrici (le cosiddette "Sette Sorelle") monopolizzavano il mercato, lasciando ai paesi produttori solo le briciole dei loro guadagni.
Proprio al fine di riappropriarsi delle loro risorse, nel 1960 cinque paesi arabi, Iran, Iraq, Kuwait, Arabia Saudita e Venezuela, decisero di fondare l'OPEC "Organization of Petroleum Exporting Contries" (Organizzazione dei Paesi Esportatori di Petrolio). Il numero si è poi allargato agli attuali quattordici. Negli anni 1971-1972 Algeria, Iraq e Libia, proprio per limitare l'ingerenza delle compagnie straniere, nazionalizzarono il loro petrolio, ergendo quindi una forte barriera a protezione contro le medesime compagnie. Seconda finalità dell'OPEC era di concordare tra i Paesi aderenti, anche in funzione delle sopraddette riserve, un prezzo comune da offrire sul mercato. Finalità, questa, cui spesso taluni Paesi hanno derogato, in funzione della necessità o meno di incrementare le proprie entrate finanziarie. All'OPEC viene attribuito ben l'80% delle riserve accertate e la sua produzione si attesta a poco meno della metà circa dell'intera produzione mondiale. È evidente, quindi, che il disporre di abbondanti o scarse riserve condiziona il prezzo del petrolio, ciò soprattutto perché i paesi produttori tendono a renderle più o meno disponibili, al fine di meglio valorizzare le loro risorse.

I FATTORI POLITICI E LE GUERRE
Nella formazione del prezzo del petrolio greggio intervengono anche fattori di ordine politico, ideologico e perfino religioso, fattori che condizionano la stabilità socio-politica dell'area e che sono alla base delle guerre e delle tensioni proprie del Medioriente: dalle tensioni fra Iran ed Irak, alle più recenti guerriglie tra arabi ed israeliani. Da più di dieci anni, a seguito delle crescenti tensioni e guerre nell'area medio-orientale, le compagnie produttrici hanno sospeso gli investimenti in ricerca (proprio per l'accresciuto rischio di ricevere danni piuttosto che profitti). Una sospensione che, limitando nuove scoperte di riserve e produzioni aggiuntive, provoca un tendenziale aumento del prezzo del greggio.
Tutti ricordano come il prezzo del greggio si sia impennato dai pochi dollari a barile del dopoguerra, sino ad oltre 20 dollari nel '73 (guerra del Kippur), con nuove impennate nella seconda crisi medio-orientale del '79, sino ad arrivare a circa 40 dollari il barile nel '90, in occasione della guerra del Golfo; fino ai massimi livelli attuali.
Un prezzo insostenibile che sta spingendo molti paesi verso la ricerca di energie alternative capaci di sostituire il petrolio. Una iattura per i paesi produttori. Tanto che l'OPEC ha di recente annunciato prossimi incrementi di produzione, al fine di una costituzione di un "surplus" di produzione per meglio raccordarsi con l'iniziale e fondamentale legge della ricerca di nuovi equilibri tra domanda ed offerta.

I MERCATI E IL PREZZO DI GRANO E RISO
Di fatto, ormai da decenni, siamo testimoni sconcertati delle turbolenze che stanno influenzando i mercati. Le tensioni nelle aree medio-orientali turbano i mercati e non consentono di mantenere stabili i prezzi del greggio, trascinando nella instabilità anche quelli di altre importanti materie prime che utilizzano il petrolio sia per le loro lavorazioni, sia per il trasporto.
Sempre in conseguenza della legge della domanda e dell'offerta, il caro-petrolio ha conseguenze importanti anche sul costo del grano e del riso. Riguardo l'impennata dei prezzi che ha colpito i generi alimentari di prima necessità andrebbe precisato che, sull'onda dei crescenti prezzi del petrolio, numerose aree agricole sono state trasformate per produrre biodiesel. Per contrastare questa tendenza negativa è da segnalare la recente inaugurazione in Germania di un grande impianto, in grado di produrre energia (biodisel), utilizzando gli scarti della lavorazione del legno (cosiddette "biomasse"), senza più sottrarre aree per la produzione agricola. Altra significativa iniziativa è quella dell'ENEL, che sta realizzando a Marghera (VE) un impianto di produzione di energia elettrica a partire dagli eccessi di produzione di idrogeno da parte dell'industria petrolchimica. Due significativi esempi di diversificazione per calmierare i mercati.

I MERCATI FINANZIARI E LA CRISI DEI SUBPRIME
Influiscono sul prezzo del petrolio anche le turbolenze dei mercati finanziari, come, per esempio, la crisi delle banche americane (con evidenti riflessi anche nei mercati europei ed asiatici, atteso che le banche in tutto il mondo si sostengono tra di loro più o meno fortemente) dovuta ai recenti mancati rimborsi di mutui e prestiti concessi da banche statunitensi soprattutto a privati cittadini, senza avere attentamente valutato né rischio dell'operazione, né l'effettiva capacità di restituzione del debito. Le perdite attese sono valutate a livelli enormi, non ancora esattamente quantificabili negli USA, ma che nella sola Europa sono preliminarmente indicate in ben 43 miliardi di dollari, una frazione minima rispetto alle prospettate perdite americane. È chiaro che simili terremoti comportano pesanti effetti sulla valutazione del dollaro (moneta che regola da sempre il prezzo del petrolio), inducendo nuove spinte all'insù del barile (che conta circa 158 litri) di petrolio greggio, al fine di consentire ai paesi produttori di non vedersi svalutate le proprie risorse. Tesi questa sostenuta con energia dal Presidente iraniano Ahmadinejad.

LA CRESCITA DEI PAESI EMERGENTI
Non è finita qui, in quanto andrebbero a questo punto fornite ulteriori notizie riguardanti il livello e la velocità di sviluppo di molti paesi emergenti, per arrivare a determinare, in linea di massima, la formazione del costo del barile. Non dimentichiamo, infatti che la vertiginosa crescita di India e Cina assorbe crescenti quantità di petrolio, spostando l'equilibrio verso incrementi della domanda, che comporta incrementi di prezzo.

LA SPECULAZIONE COMMERCIALE E LA CORRUZIONE POLITICA
Ma c'è ancora dell'altro. Sul totale della produzione di greggio e relativi prodotti raffinati, una quota di poco meno del 10% è in mano alla "speculazione commerciale" in alcuni mercati specializzati (Rotterdam in primo luogo, poi Singapore ed altri) che acquistano intere partite (esempio petroliere in navigazione) a prezzi superiori, per rivenderli a mercati, occasionalmente in maggiore congiunturale fabbisogno (da qui il termine "spot" di detti mercati speculativi).
Un sistema, questo adottato anche in Italia, naturalmente "all'italiana". Ha fatto scalpore infatti da noi quanto fu scoperto dall'allora giovane pretore Mario Almerighi, che durante l'inverno del 1973-74 (durante la guerra del Kippur), quando si andava a piedi ed erano spenti i riscaldamenti di case, uffici, scuole e ospedali per mancanza di greggio, messo in allarme da alcune segnalazioni della Guardia di Finanza, su una ipotetica mancanza di petrolio, scoprì con le sue indagini un diabolico intreccio tra multinazionali del petrolio, politica e affari. Messo però rapidamente a tacere, il giudice Almerighi racconterà questa vicenda con dovizia di particolari in un suo libro, "Petrolio e politica" (Editori Riuniti, giugno 2006, pgg. 430, 18 euro), anch'esso boicottato dal "sistema".

LA SPECULAZIONE FINANZIARIA
A questa "speculazione commerciale" si aggiunge quella cosiddetta "finanziaria", attraverso i cosiddetti "strumenti derivati" (vere e proprie "scommesse" sugli andamenti dei prezzi) che influenzano anch'essi il prezzo finale. Fatto 100% ad esempio (parliamo di media delle medie di tutto il mondo) il prezzo del petrolio e suoi derivati, si calcola che i profitti dei Paesi produttori siano del 23%, quello delle compagnie (che provvedono anche al costo del trasporto e raffinazione) del 13%, circa l'8% va a coprire costi di distribuzione secondaria (trasporto, ammortamento, oneri finanziari e commerciali), margine del gestore, ecc..., per un totale di cosiddetto prezzo industriale pari al 43,70%, mentre se ne vanno in tasse al consumatore (accise e Iva) ben il 56,30%*, per un totale alla pompa di 1,4 euro al litro di benzina.

 

* I dati sono del Ministero dello Sviluppo Economico, Direzione Generale per la concorrenza e i Consumatori, Osservatorio prezi e tariffe e si riferiscono alla settimana del 14 aprile 2008.

 

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