Pubblicato su politicadomani Num 80 - Maggio 2008

Intervista a Massimo Milone
Giornalisti - Responsabili e liberi
Riforma, non abolizione dell'Ordine professionale, abrogazione della legge Gasparri, eliminazione dei contributi pubblici all'editoria di partito e cancellazione dell'Ordine dei giornalisti: sono le tre proposte che si torna a presentare agli italiani sotto forma di referendum. L'Agensir (Agenzia Servizio Informazioni Religiose della Cei, Conferenza Episcopale Italiana) ha chiesto un parere a Massimo Milone, presidente dell'Ucsi (Unione cattolica stampa italiana)

 

Presidente, cosa pensa della proposta di abolire l'Ordine dei giornalisti?
Non abolizione, ma una riforma è certamente necessaria. Devono chiederlo all'inizio della legislatura e del rinnovo delle massime istituzioni del presidente di Camera e Senato gli stessi giornalisti. Il ritorno a prima del 1963 non risolve d'incanto i problemi. Occorrono una riforma adeguata allo tsunami informativo che c'è stato dal 1963 ad oggi, regole nuove, mentalità nuova, duttilità nuova. Il contesto è cambiato profondamente. Parliamo di riforma all'interno di un sistema d'informazione in crisi anche rispetto alle regole del gioco: basti pensare che siamo ancora senza contratto di lavoro, che i giornalisti sono mal sopportati e poco rispettati dalla classe politica, che gli editori tentano di restringere i margini di autonomia dei giornalisti. Una coscientizzazione da parte della categoria serve a inizio legislatura, dunque, per porre il problema in maniera seria agli editori, alla politica, ai cittadini.

Cosa dovrebbe prevedere una riforma dell'Ordine?
Il contesto di una riforma dell'Ordine va all'interno di una manovra più complessa che deve coinvolgere tutti i protagonisti del sistema mediatico: le proprietà, i giornalisti, i pubblicitari, la classe politica e tutte le aree di produzione (carta stampata, radio, tv e internet). Siamo ancora senza legge di riforma dell'editoria, senza legge di riassetto del sistema delle telecomunicazioni, senza legge di riforma del servizio pubblico radio-televisivo, senza legge di accesso nuovo alla professione. Siamo in mezzo al guado: sono nate le scuole di giornalismo, ma non c'è ancora l'obbligatorietà della laurea in giornalismo, per migliorare la qualità. Oggi, la maggioranza di quelli che sostengono l'esame di stato per l'accesso alla professione è ammessa grazie a praticantati di ufficio. Questo pone problemi alla qualità, alle regole e al mercato. C'è da ridefinire il ruolo dei pubblicisti e si potrebbe chiedere al legislatore di ridurre drasticamente il numero dei componenti del Consiglio nazionale dell'Ordine, un po' troppi rispetto ai compiti che ha l'Ordine. Ancora: chiedere di accelerare i tempi dei processi e dei ricorsi per rendere più efficace il provvedimento sanzionatorio. Anche quest'aspetto non è da trascurare: a chi sarebbe affidata la difesa della deontologia della professione con l'abolizione dell'Ordine?

Quale può essere il contributo dei giornalisti cattolici oggi?
Ci dobbiamo votare alla qualità e al recupero dell'eticità dell'informazione e del senso di un servizio civile al Paese da parte dell'informazione. I cambiamenti e la globalizzazione del sistema mediatico richiedono una sempre maggiore preparazione, da acquisire nelle Università, nei master riconosciuti, nei corsi di aggiornamento per chi già svolge la professione. Su questo abbiamo un grande ritardo. Come Ucsi riproporremo nelle prossime settimane, con forza, ai presidenti di Camera e Senato l'istituzione di un comitato nazionale per la "media etica", che, sotto l'egida del Capo dello Stato, possa vedere seduti insieme giornalisti, esperti di diritto, filosofi e psicologi della comunicazione, rettori delle Università, operatori di canali internet.

Sono pericolosi i continui attacchi di cui sono fatti oggetto i giornalisti?
Certo. Attaccare i giornalisti significa attaccare la libertà di pensiero, il pluralismo informativo, le culture e le sensibilità diverse, in una parola significa attaccare il Paese, la sua genetica più profonda. Oggi tutto è comunicazione. D'altro canto, i giornalisti devono responsabilizzarsi sempre di più, facendo i conti da una parte con la politica e dall'altra con il mercato. La minaccia è o di essere troppo sottomessi e tenere la bocca chiusa o di chiudere addirittura i giornali. Penso alla crisi di tanti piccoli e medi giornali, che rischiano di non avere più mercato, di fronte alla forte contrazione degli investimenti in editoria e ai poteri lobbistici. Questa è un male per l'informazione nel Paese.

A questo proposito, ritiene possibile contratti speciali applicabili a testate più piccole, come possono essere i settimanali aderenti alla Fisc (Federazione italiana settimanali cattolici)?
Certamente, di fronte ad un precariato sempre più diffuso, bisogna agevolare queste testate con la riforma dell'editoria e del riassetto delle telecomunicazioni. Una riforma intelligente deve tener presente ambiti territoriali, ambiti di mercato, dimensione dell'impresa e, di conseguenza, prevedere contratti differenziati nell'ambito di un alveo di diritti e doveri di carattere generale. Insomma, una differenziazione di contrattualistica è più che mai necessaria per non strangolare le testate piccole e medie. Tutto ciò potrebbe essere guardato con interesse dalle testate e dalle radio-televisioni di ispirazione cristiana, del mondo cattolico. Qui bisogna far sentire forte la voce degli interessi in campo, che sono anche gli interessi valoriali.

[Fonte: S.I.R., lunedi 28 Aprile 2008 - www.agensir.it]

 

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Num 80 Maggio 2008 | politicadomani.it