Pubblicato su Politica Domani Num 8 - Novembre 2001

Difesa globale
Scudo spaziale: progetto sostenibile?
Le perplessità dei paesi dell'alleanza nord-atlantica

 

Laura Rinaldi

Con l'insediamento dell'amministrazione di G.W. Bush, nello scorso gennaio, sembrano messi in discussione gli assunti generali della politica estera e di sicurezza dell'era Clinton, partendo da una rivalutazione degli interessi fondamentali e delle nuove minacce.
Molto importante è il tentativo condotto dal segretario generale della Difesa Rumsfeld di rivedere profondamente la struttura delle Forze Armate per puntare a una massiccia applicazione di nuove tecnologie, dall'equipaggiamento della fanteria fino a un sistema di difesa antimissile, il cosiddetto Scudo Spaziale.
Proprio nelle settimane che hanno seguito l'attacco dell'11 settembre si dovevano definire gli ultimi elementi della Q.D.R. 2001 (Quadriennal Defense Review), una sorta di Libro Bianco della Difesa, che avrebbe dovuto dare inizio al programma di ristrutturazione delle Forze Armate americane. Fiore all'occhiello di questa nuova struttura sarebbe stato proprio il sistema di difesa antimissile comprendente anche la componente spaziale (sistema centralizzato di satelliti), e che sta crescendo rispetto alla più limitata concezione della presidenza Clinton. Tale sistema, che dovrebbe proteggere gli Stati Uniti e tutti gli alleati americani, necessita di una serie di basi (sia terrestri che navali) in grado di intercettare missili non appena questi entrino nell'atmosfera o si trovino nella fase di lancio.
Inutile dire che negli USA, e nell'ambito di tutta l'alleanza nord-atlantica, tale progetto è oggetto di discussione e di divisione politica. Ma, dopo l'11 settembre, tale sistema può ancora garantire, una volta messo a punto, un ampio margine di sicurezza?
Per gli Stati Uniti come per gli alleati europei il termine sicurezza è stato sinonimo di "ordine occidentale". Un ordine che abbiamo imparato a dare per scontato all'epoca del bipolarismo, quando la minaccia del nucleare ha contribuito al mantenimento di uno status quo, e soprattutto dopo il 1991, con l'eutanasia dell'Unione Sovietica. Da allora fino ad oggi la corsa alla proliferazione dei missili balistici o da crociera è stata, e continuerà ad esserlo, costante e inarrestabile: il fenomeno è incentivato dal basso costo dei missili, dalla loro efficacia come strumenti di ricatto politico, ideali per la distruzione di massa e capaci di superare sofisticati sistemi di difesa antiaerea. I sistemi antimissile, pertanto, anche se potrebbero garantire un certo margine di sicurezza, non hanno certamente capacità taumaturgiche, e quindi risulta indispensabile determinare dei criteri di scelta riguardanti la quantità e la qualità delle risorse da destinare allo sviluppo del progetto.
Oggi neanche gli Stati Uniti, con una spesa militare di oltre 310 miliardi di dollari l'anno, si possono permettere di concentrare le proprie risorse nella difesa antimissile, privilegiandola rispetto alle altre componenti, anche perché l'incremento degli investimenti non necessariamente accelera la messa a punto di sistemi operativi che necessitano di una così avanzata tecnologia. Contrariamente per i paesi "avversari" è relativamente semplice produrre missili utilizzando tecnologie reperibili senza sforzo e a costo limitato. Allora è perfettamente lecito chiedersi perché si dovrebbero investire centinaia di miliardi di dollari per sviluppare, incrementare e introdurre in servizio piattaforme e sistemi d'arma di nuova generazione, quando quelli attuali, o prossimi alla produzione di serie, sono già superiori a tutto ciò che eventuali avversari potrebbero acquistare o sviluppare in proprio. Persino i più pessimisti ritengono che non sia possibile l'emergere in tempi rapidi di un competitore globale militarmente preoccupante.

 

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Num 8 Novembre 2001 | politicadomani.it