Pubblicato su politicadomani Num 79 - Aprile 2008

Storia del Mezzogiorno
Prove di unità nazionale: l'esercito napoletano
È merito di un sovrano spagnolo la prima emancipazione italiana dal predominio dello straniero

di Ciro LaRosa

Nella tumultuosa Europa del XVIII secolo la Spagna ricoprì un ruolo da protagonista espandendo la propria influenza nel Mediterraneo e assicurandosi territori specialmente in Italia. L'operazione più importante fu quella di riconoscere "l'Infante" Carlo, figlio del re Filippo V di Borbone e di Elisabetta, ultima di casa Farnese, quale erede del Ducato di Parma (possedimento dei Farnese) nel 1731, poi, sette anni dopo, sovrano del Regno di Napoli e Sicilia. Riconoscimento, quest'ultimo, che ha dato al Regno, che fu per 134 anni la più grande nazione della penisola e la terza potenza europea, una dinastia attenta alle esigenze dei suoi sudditi.
Per raggiungere questo traguardo Carlo non risparmiò energie. Durante la guerra di successione polacca prese il comando delle truppe spagnole in Italia riuscendo ad occupare l'Italia meridionale - ex vicereame spagnolo che dal 1704 al 1734 era stato dominio austriaco -, scacciandone gli Asburgo. Nel 1738 venne riconosciuto re di Napoli con il nome di Carlo VII dal trattato di Vienna.
Durante la guerra di successione austriaca, fu di nuovo avversario degli Asburgo. Condusse una fortunata campagna militare in Italia Settentrionale e nel 1744, a Velletri, batté definitivamente gli "Imperiali" che avevano tentato di nuovo di invadere il Regno. Fu questo, per l'esercito di Carlo, un vero e proprio collaudo della fusione fra autoctoni e stranieri. La battaglia, in se stessa, segnò la prima grande vittoria dell'Esercito Borbonico perché vi parteciparono reggimenti interamente napoletani: il Reggimento "Corona" e il "Terra di Lavoro", comandati dal duca di Ariccia, nulla ebbero da invidiare ai reggimenti stranieri di più consolidata tradizione.
Carlo, che durante il periodo "Napoletano", dal 1734 al 1759, mostrò grandi capacità organizzative e dinamismo, si dedicò a rinnovare sia lo Stato e che le Forze Armate privilegiando l'inserimento degli Italiani nella gestione pubblica.
Alla morte del fratellastro Ferdinando IV, rientrò in Spagna per essere incoronato Re con il nome di Carlo III, lasciando a terzogenito Ferdinando il Regno di Napoli, non senza avere prima organizzato l'esercito. Già nel 1750 era stato dato un grande impulso in senso "nazionale" all'esercito napoletano, anche se lo stile delle divise era spagnolo e spagnola era la lingua in cui erano impartiti gli ordini militari. In spagnolo erano scritti anche i "Libretti di Vita e Costumi", ossia i fogli matricolari di ogni militare. L'uso dello spagnolo verrà poi definitivamente abbandonato nel 1800.
Le milizie erano in prevalenza "Italiane" (napoletani o figli di nativi del Regno) e mercenarie (svizzeri, albanesi, inglesi), essendo la componente spagnola, che era venuta in Italia seguendo il Sovrano, rientrata in Patria, al contrario degli ufficiali che erano rimasti per istruire i reparti e garantirne fedeltà e lealtà.
I provvedimenti tesi ad avviare la nazionalizzazione dell'Armata risalgono al 1735. L'obiettivo principale era di affrancare il Regno dalla Spagna sia in campo militare che civile, in modo da formare così uno Stato Nazionale "Napoletano". Furono potenziate le unità ed arruolati "regnicoli" in numero crescente. Vennero poi costituiti, nel novembre del 1743, i "Reggimenti Provinciali" - in servizio per alcuni periodi di tempo - che dovevano essere vere e proprie "scuole militari" di disciplina e attaccamento a casa Borbone.
L'Esercito e la Marina divennero il fiore all'occhiello dell'intensa attività riformatrice voluta da Carlo. Tanto più apprezzabile in quanto le condizioni sociali ed economiche in cui versavano le province del Regno prima della conquista Borbonica erano semplicemente terribili.

 

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