Pubblicato su politicadomani Num 79 - Aprile 2008

Le donne nel mondo del lavoro
Maternità condizionata ed emancipazione ingabbiata
La mancanza di servizi sociali e ruoli professionali dequalificati e sottopagati costringono le donne ad una posizione marginale in famiglia anche quando lavorano

di m.m.

A dispetto dei numerosi contratti atipici che ora è possibile stipulare nell'ambito dei lavori parasubordinati, non c'è ancora un mercato del lavoro abbastanza flessibile per le lavoratrici madri. La rigidità del mercato del lavoro, sorprendentemente, è accentuata specialmente nelle forme di lavoro atipico, e si riflette in maniera negativa sia sulla vita personale della lavoratrice, sia sui rapporti di coppia, sia nella scelta della maternità. Tutti condizionamenti negativi che si riflettono sul sistema economico e sociale del Paese.
Le donne hanno difficoltà a conciliare gli orari di lavoro con le esigenze della famiglia. Scelgono il lavoro interinale per "necessità", per entrare e per rientrare nel mondo del lavoro. Sono però occupate con contratti di lavori di breve e brevissima durata (da uno a tre mesi i primi e inferiori a un mese i secondi) in lavori poco qualificati e sottopagati. A parità di paga, nella fascia dei salari più bassi (fino a 1.000 euro mensili), lavorano un numero di ore maggiore degli uomini. Con retribuzioni inferiori a quelle maschili e con un reddito per molte di loro (il 36,9%) al di sotto dei 5.000 euro l'anno, diventa difficile programmare una famiglia con un numero di figli superiore a uno.
"Il lavoro delle donne e la famiglia non sono affatto in contraddizione quando il tessuto socio-economico in cui si sviluppano è conciliante" (Indagine IRES 2008 su "Donne e lavoro atipico"). Che significa orari flessibili, asili nido e aiuti economici. La carenza di questi fattori, specialmente al Sud, spinge le donne ai margini del mercato del lavoro e "produce nuove forme di segregazione" perché sminuisce il lavoro della donna all'interno della coppia "generando così nuove disuguaglianze". Perché "Le differenze di genere nelle opportunità di lavoro e di guadagno rafforzano la tradizionale divisione del lavoro nella famiglia". Se i coniugi "contribuiscono nella stessa misura al bilancio familiare lavorando entrambi con continuità e a tempo pieno, la condivisione diviene necessaria e questo ha delle ripercussioni sulla visione stessa dei ruoli familiari, dei modelli di famiglia ed educativi (Altieri, 2007)". Quando la moglie lavora il marito tende a condividere gli impegni domestici superando così gli stereotipi sul ruolo femminile radicati nella cultura italiana. Al contrario, se il lavoro della donna è discontinuo e di basso profilo, l'uomo è indotto a delegare le responsabilità familiari, soprattutto nella conduzione delle faccende domestiche (meno nella cura dei figli)".

Fra le famiglie con figli al di sotto dei 15 anni e i genitori ambedue occupati, il 49% delle madri svolge un lavoro part time (ricerca IRES del 2007). C'è la tendenza a ridurre ancora di più il numero di ore in questi contratti. L'occupazione è possibile, quindi, per la metà delle lavoratrici madri solo se a tempo parziale: questo si riflette negativamente sul reddito, sulle prospettive di carriera, sulla capacità di maturare un'adeguata pensione.
Le donne di età compresa fra i 25 e i 49 anni, che lavorano con contratti a progetto e prestazioni occasionali sono madri conviventi con i propri figli solo per il 19%, contro il 31% delle madri occupate. Questo significa che, tra il continuare a svolgere il proprio lavoro rinunciando alla famiglia oppure scegliere l'esperienza della maternità rischiando un ritiro dal mercato, le donne preferiscono diventare madri più tardi. La percentuale di chi ha figli, fra le lavoratrici interinali, aumenta decisamente per le donne fra i 30 e i 39 anni (il 34,7%). Fa comunque riflettere il dato che in questa fascia di età siano ben il 65,2% le donne che non hanno figli.

Conciliare la famiglia con l'orario di lavoro, è questa la condizione per la partecipazione delle donne al mercato del lavoro. Sono quindi il tempo parziale e l'impiego nella pubblica amministrazione gli sbocchi preferiti (nel settore privato è "ancora difficile far valere le prerogative previste dalla legge in materia di maternità e congedi parentali").
Le donne contribuiscono con il lavoro al benessere economico della famiglia: una maggiore quota di reddito va per l'istruzione e per i consumi dei figli. Tuttavia, l'esigenza di cura dei figli allontanano la donna dal lavoro (le famiglie numerose sono spesso monoreddito). Ciò crea un circuito perverso: proprio quando ce ne sarebbe più bisogno la donna è costretta a lasciare il lavoro, cresce così il rischio di povertà e si accentuano le differenziazioni sociali perché mancano le risorse per garantire ai figli un futuro di benessere e di opportunità.
Sono i gruppi "popolari" con livelli bassi di scolarizzazione e di capitale sociale quelli più penalizzati in assenza di supporti e di servizi a costi contenuti. E inoltre, si osserva nel Rapporto "portare stabilmente al lavoro anche le donne con basso titolo di studio significherebbe affidare meno univocamente alla famiglia lo sviluppo delle competenze relazionali e cognitive dei figli, evitando così di riprodurre le disuguaglianze attraverso le generazioni". Osservazione questa che, almeno in parte, ci sentiamo di condividere.

 

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Num 79 Aprile 2008 | politicadomani.it