Pubblicato su politicadomani Num 79 - Aprile 2008

Editoriale
Pane amaro

di Maria Mezzina e Costantino Coros

Dal 1985 il prezzo del pane è aumentato di circa il 419 per cento, mentre quello del grano è continuamente diminuito e oggi risulta addirittura inferiore al prezzo pagato venti anni fa agli agricoltori, denuncia Coldiretti. Nel passaggio da chicco a pagnotta, baguette, ciabatta, rosetta, panino, più della farina lievita il prezzo. Perché sono in tanti a "girare" attorno a questo prodotto: consorzi agrari, cooperative, mediatori, trasportatori, addetti allo stoccaggio, compratori, mugnai; e poi, quando i chicchi sono diventati farina, ancora trasportatori, panificatori; e, infine, distributori e commercianti. Inevitabile che in tutti questi passaggi il prezzo del pane aumenti fino al 66% (ben oltre la media dei paesi UE, dove l'aumento è del 42%).
Il prezzo medio del pane raddoppia da Napoli (1,74 eu/kg) a Milano (3,51 eu) con forti variazioni: 3,34 euro a Bologna, 2,42 a Palermo, 2,20 a Roma. In molte città, dice la Coldiretti, il prezzo medio è di 3 eu/kg.
Altroconsumo denuncia che l'aumento progressivo del prezzo del pane è il risultato di un cartello. Racconta Federconsumatori Toscana: l'anno scorso a Firenze era stato deciso un aumento del prezzo del pane di 50 centesimi. L'aumento si è puntualmente verificato il 1 febbraio del 2007 in tutte le panetterie: una anomalia, perché il prezzo del pane è libero e i commercianti possono decidere di modificarlo quando vogliono. Questo rincaro collettivo e simultaneo, di cui si sta interessando l'Antitrust, ha il sapore di una strategia imposta per bloccare la concorrenza.
Ogni famiglia italiana spende per alimentari e bevande circa 467 euro al mese di cui il 51% (238 euro) va al commercio e ai servizi, il 30% (140 euro) va all'industria alimentare, e solo il 19% (89 euro) va alle imprese agricole. I prezzi dei prodotti sulla tavola aumentano, cioè, cinque volte nel passaggio dalla terra alla tavola (oltre il 400%).
I rincari del pane non dipendono dal prezzo del grano, che è uguale su tutto il territorio perché è fissato su valori internazionali e incide solo del 10% sul prezzo finale. Anzi, "il prezzo del grano crolla e raggiunge le quotazioni minime dall'inizio dell'anno pari a circa 0,22 eu/kg alla chiusura settimanale del Chicago Board of Trade, che rappresenta il punto di riferimento del commercio internazionale delle materie prime agricole" (Coldiretti, comunicato del 12/04/2008).
Alla diminuzione delle materie prime agricole non fa seguito una diminuzione dei prezzi al dettaglio che, invece, per gli alimentari tende sempre a aumentare. I rincari si verificano nel percorso che porta gli alimenti dal campo alla tavola, dice la Coldiretti.
L'andamento delle quotazioni del grano in questo momento è fortemente condizionato dalle speculazioni internazionali, che dai mercati finanziari in crisi si sono spostate su mercati delle materie prime. Sulle quotazioni alte pesano, a livello internazionale, "le incognite sui raccolti per gli effetti dei cambiamenti climatici nei principali paesi produttori, l'aumento dei consumi nei paesi emergenti come Cina e India, e lo sviluppo delle bioenergie". Si aggiungano a questi fattori la concentrazione di strati sempre più vasti della popolazione negli agglomerati urbani e l'aggravarsi della situazione alimentare nel mondo: il numero di persone sottonutrite nel mondo (854 milioni), che si sarebbe dovuto dimezzare entro il 2015 (il primo degli Obiettivi del Millennio) aumenta, invece, di 4 milioni l'anno.
Dato questo scenario, in casa nostra, nella ricca Europa e negli opulenti Stati Uniti è necessario cambiare gli stili di consumo ed è più che mai urgente riconsiderare e riformare le politiche agricole internazionali e quelle di supporto ai paesi poveri. Serve un "bagno d'umiltà" delle nazioni sviluppate per evitare che si finisca schiacciati da una crisi alimentare dalle conseguenze catastrofiche.

 

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Num 79 Aprile 2008 | politicadomani.it