Pubblicato su politicadomani Num 79 - Aprile 2008

Ripensare la polis
"Ben essere" nella città. Esempi e linee guida per amministratori ed enti locali
"L'amico economista Sylos Labini diceva di aver stimato che il reddito medio del quartiere Zen di Palermo era superiore a quello di Siena, ma lui preferiva vivere a Siena. Io aggiunsi che se la Sicilia si fosse riempita di fabbriche di lupara il PIL sarebbe fortemente cresciuto, ma la qualità della vita in Sicilia sarebbe peggiorata"

 

A questi va aggiunto un quarto fattore: il fattore istituzionale. La serietà, l'equilibrio e il buon funzionamento delle istituzioni è, infatti, decisivo nel suscitare, potenziare, stimolare i fattori e le forze dello sviluppo o nel soffocarle, nell'animare e nel deprimere lo spirito dei cittadini. Grande è, dunque, la responsabilità delle persone elette o chiamate a questi compiti e fondamentale è il ruolo degli enti locali, ed in primo luogo dei comuni, singoli o, ancor più, in forma associata o aggregata. Perché sono loro che presidiano la qualità del territorio e sono loro che devono trovare un fruttuoso equilibrio tra le spinte del mercato ed il dovere, costituzionalmente fondato dall'Art. 9 della Costituzione, di tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico della Nazione. Negli ultimi anni questo equilibrio, in molti luoghi anche prestigiosi, è stato violentato

di Marco Vitale
Presidente della Fondazione Istud per la cultura d'impresa e di gestione

Negli ultimi dieci, quindici anni lo studio dell'economia urbana ha segnato grandi progressi. E questo perché ci si è accorti che il vero motore dello sviluppo sono le città e i territori e le strategie delle città e dei territori. Pensiamo a cosa sarebbe l'Italia se Napoli, Palermo, Agrigento avessero un processo di trasformazione e di sviluppo come quello che ha avuto Genova, e che sta avendo Torino.
Ogni città ha le sue specificità. Ma l'accumularsi e l'incrociarsi di esperienze ha permesso il formarsi se non di una vera e propria teoria, di un insieme di conoscenze sistematiche, che servono come metro di misura e di raffronto, come guida.
Io sintetizzo tali conoscenze in cinque punti chiave:

Il patrimonio storico-culturale e la bellezza del paesaggio urbano come fattori di sviluppo; centralità del concetto di abitabilità
È sempre più chiaro che la valorizzazione del patrimonio storico-culturale delle città e la bellezza del paesaggio urbano non sono in contrasto con lo sviluppo economico ma ne sono un ingrediente.
Mettiamo da un lato Siena, Bergamo, Mantova, Salisburgo, Vienna, ma anche Genova, dove una provvidenziale decisione comunale dei primi anni '80 ha impedito ogni nuova costruzione sulle colline e dove negli ultimi dieci anni c'è stato uno straordinario recupero qualitativo del paesaggio urbano, e dall'altra mettiamo Gela, Palermo, Alcamo Marina, Agrigento. Quale di questi due gruppi di città ha avuto il maggiore e migliore sviluppo? Nel primo gruppo di città si è costruito ma, insieme, si è edificato; nelle seconde si è forse costruito di più, ma si è solo costruito, non si è edificato (nel termine edificare vi è la radice di aedes, dimora, che indica qualcosa di accogliente, di gradito, che "induce al bene", da cui edificante). Il patrimonio storico-culturale è identità, ricerca e valorizzazione del proprio saper fare, cioè della propria cultura. La bellezza del paesaggio urbano è lo specchio dei rapporti sociali ed economici. Non può esserci buona vita sociale ed economica nella Gela contemporanea.
Questa visione è sostenuta soprattutto da un filone di pensiero francese nel quale spicca Hugues de Varine, teorico e pratico dello sviluppo locale e del ruolo centrale nello stesso del patrimonio storico-culturale delle città e in genere dei luoghi. Il suo ultimo libro, tradotto in italiano, è significativamente intitolato: Le radici del futuro ("Le racines du futur". In edizione italiana 2005 Clueb, Bologna). Non esiste futuro senza radici. Come non esiste futuro buono senza bellezza. La Piazza del Campo a Siena non nasce per caso, ma come visione concreta di cosa è, anzi di cosa deve essere una città, di cosa è il buon governo. Non è un accidente; è una consapevole scelta.
Le città in forma si sono date l'obiettivo centrale di realizzare una nuova abitabilità. Il concetto di abitabilità è un concetto denso di significati. Mentre il concetto di vivibilità è sul filo della sopravvivenza (un luogo dove si può sopravvivere) il concetto di abitabilità indica un luogo dove si vive bene, dove la vita non è una lotta continua ma uno stare assieme con gioia, dove la città aiuta i suoi cittadini a vivere e rispettarsi reciprocamente e non li opprime, dove si viene e si sta volentieri, dove si sa come attrarre i giovani, i creativi ed i talenti, e dove la bellezza e il bene vivere è un obiettivo della città.

La città rete
Un secondo importante filone di pensiero sviluppatosi negli ultimi anni è la visione della città rete. Lo sviluppo e la collocazione di una città non si misura più secondo la sua grandezza o secondo una gerarchia di appartenenza territoriale, ma secondo la sua capacità di inserirsi in una molteplicità di reti internazionali. Bergamo, ad esempio, è una città piccola ma poderosamente inserita nella rete internazionale delle attività manifatturiere di qualità. Ciò non è frutto del caso, ma di una visione lucida e coerente della sua classe dirigente. Ed oggi Bergamo conta almeno dieci imprese che si collocano ai vertici mondiali nella rispettiva categoria. Più recentemente Bergamo si è inserita, con vigore, anche nella rete del turismo culturale-gastronomico ed è diventata oggetto di visita da parte di molti cittadini europei che amano passeggiare nelle strette vie medioevali, mangiar bene in piazza Colleoni, assistere ad un buono spettacolo.
Anche questo sviluppo è frutto di una lucida strategia cittadina che ha saputo valorizzare la sua storia ed i suoi doni, ma anche di una scelta operativa precisa. La città ha puntato sul proprio aeroporto, facendolo diventare un terminale importante di una delle maggiori compagnie aree europee di low cost. Sono stati il low cost e l'ampio numero di collegamenti aerei che hanno, in pochi anni, collocato Bergamo nella grande rete dei visitatori europei per brevi visite (i turisti del week-end), con un impulso all'economia cittadina di grande portata.

La città creativa
Vi è un terzo filone di pensiero, ancora più recente, che non contraddice la teoria della città rete (la cui rappresentante principale resta Saskia Sassen) ma la integra e la arricchisce. È il filone di pensiero sulla città creativa. Questo pensiero parte dalla osservazione che il 21° secolo sarà, come non mai, il secolo delle città. Per la prima volta nella storia umana più della maggioranza delle persone vivrà in città, mentre venti anni fa solo il 29 per cento viveva in città. Già oggi, in Europa, il 75 per cento della popolazione vive in città. Tuttavia la maggioranza degli abitanti non è felice di vivere in città nel modo in cui ci vive attualmente (l'unica eccezione a me nota è Vienna, dove un'indagine di alcuni anni fa evidenziava che oltre il 95 per cento dei viennesi era felice di vivere a Vienna, una percentuale straordinaria). Un'indagine inglese del 1997 evidenziava, invece, che l'84 per cento dei cittadini vorrebbe vivere in piccoli villaggi, mentre solo il 4 per cento viveva effettivamente in un villaggio. Scrive Charles Laundry*: "Noi non possiamo creare un numero sufficiente di villaggi per soddisfare queste aspirazioni. Ma possiamo invece agire per rendere le nostre città un luogo dove sia desiderabile vivere". Per questo ci vuole pensiero ed azione. Per questo ci vuole la "Creative City" dove amministratori e cittadini affrontino e risolvano i problemi e le prospettive in modo creativo. Vi sono ormai numerose città nei posti più diversi del mondo (da Barcellona a Bangalore, dal cluster lungo il fiume Emscher nella Ruhr a Sidney, da Vienna a Monaco di Baviera, da Bergamo a Mantova) che hanno imparato a cavalcare e guidare i cambiamenti e gli sviluppi della vita socio-economica. Ma la maggioranza "sembrano vittime passive del cambiamento, semplicemente accettando che esso avvenga". Riscoprire la creatività urbana è un compito complesso e non facile, ma molti esempi stanno a dimostrare che è possibile. Imparare da questi esempi e dalla buona teoria sviluppata sugli stessi è necessario e utile. E una delle domande fondamentali da porsi è: per quali ragioni i creativi che, in gran parte, coincidono con i giovani, dovrebbero essere attratti dalla nostra città e venire nella stessa o, almeno, non lasciarla?

* Il testo più importante sulla città creativa è di Charles Laundry, The Creative City: a Toolkit for Urban Innovators, Earthscan Publications Ltd., Londra, prima edizione 2000, poi ripubblicato ogni anno.

 

La metropoli policentrica: la Città di Città
La visione della città metropolitana dalla quale tutto emana e che tutto dirige e che, caso mai, si degna di dare, via via, qualche aiuto alle sue desolate periferie, è obsoleta.
Oggi si parla di "Polycentric Metropolis"*, secondo la terminologia messa a punto nell'ambito di una grande ricerca sviluppata con il sostegno dell'Unione Europea. Secondo questa ricerca il nuovo fenomeno che caratterizza il XXI secolo è il passaggio dal concetto di "Metropolis" a quello di "Polyopolis" o "polycentric mega-city region". Mentre gli studi pionieristici su questo filone risalgono agli anni '60 e '70, solo recentemente, e grazie soprattutto allo studio di Hall e Pain ed al forte impulso ricevuto dall'Unione Europea, il tema è diventato di grande attualità. La città policentrica è rappresentata da una vasta area con uno o più centri di riferimento, ma formata da un insieme di città di varia dimensione, interconnesse tra loro attraverso una serie di connessioni ("networked"), ma ciascuna dotata di una propria autonoma funzione e vocazione nella prospettiva di una nuova divisione funzionale del lavoro ("It is a new form: a series of anything between 10 and 50 cities and towns, phisically separate but functionally networked, clustered around one or more larger central cities, and drawing enormous economic strenghts from a new functional division of labour"**).
È su questo filone che si sta muovendo anche il Professor Balducci, direttore del dipartimento di urbanistica del Politecnico di Milano, che sta conducendo un'affascinante e importante ricerca sulla Lombardia milanese, definita come "Città di Città". Non più centro e periferia. Non più singola metropoli. La realtà lombarda evidenzia un sistema di singole città, ciascuna dotata di una propria identità; di una propria storia; di proprie caratteristiche e specializzazioni inserite in reti locali o internazionali che si intrecciano tra loro in un processo di specializzazione e di mutuo arricchimento. Scrive il Prof. Balducci nel rapporto "La Città di Città, un Progetto strategico per la regione urbana milanese": "Parlare di Milano come metropoli, pensare politiche e progetti per la città contemporanea, significa oggi confrontarsi con questa nuova dimensione territoriale: la regione urbana milanese".
E le sfide fondamentali da affrontare sono: competitività, attrattività, coesione sociale, coesione territoriale, abitabilità. E l'enfasi è posta proprio sul concetto di abitabilità, che sembra a me un concetto affascinante e fertile: "Ma la sfida fondamentale per il futuro della metropoli e della regione urbana dalla quale dipenderanno anche gli esiti delle precedenti è rappresentata dalla necessità di conseguire un miglior livello di abitabilità complessiva. Solo se saprà offrire una buona qualità della vita, assicurare un livello di salute ambientale adeguato a garantire un contesto sociale attivo e attento alle trasformazioni, divenendo un luogo nel quale vivere e lavorare sia meno difficile e faticoso di quanto non appaia oggi, Milano potrà continuare ad essere un centro propulsore dello sviluppo". Tutto ciò vale per tutti (...).

* The Polycentric Metropolis. Learning from Mega-City Regions in Europe, Peter Hall and Kathy Pain, Earthscan Publications Ltd., Londra, 2006.

** "Si tratta di una nuova forma: un insieme che va dalle 10 e le 50 cittadine e paesi, fisicamente separati ma funzionalmente collegati, stretti attorno ad una o più città centrali più grandi, che, grazie a una nuova funzionale divisione del lavoro, muovono enormi forze economiche" (trad.d.r.)

 

Fare leva sulla città
Negli anni '80 fu chiesto al sindaco di una media città americana, che l'aveva guidata da una crisi profondissima negli anni '70 ad una vera e propria rinascita economica e sociale, quale era stato l'ingrediente principale di questa rinascita, su quali risorse aveva potuto contare. La sua risposta, semplice ed efficace, mi ha sempre colpito: ho fatto leva sulla città ("Have leveraged the city"). È nella città che ci sono le risorse intellettuali, professionali, imprenditoriali, finanziarie, necessarie per lo sviluppo, per affrontare i cambiamenti, per disegnare il nuovo volto della città. Il politico e l'amministratore accorto non cerca di succhiare tali risorse per fare poi lui stesso le cose che i cittadini possono fare meglio, ma cerca di suscitare, esaltare, guidare queste energie. Egli cerca di elaborare la rotta comune e di far crescere il consenso sulla stessa; egli può fare sintesi; può battere il tempo, ma poi, solo se tutti e ognuno al proprio posto remano con ordine e convinzione, la città va avanti. Non si crea sviluppo economico senza gli imprenditori, agenti primi dello sviluppo economico; non si edifica senza i costruttori; non si fa il nuovo stadio senza finanza privata e questa non si muove se lo stadio non viene concepito come il centro di un progetto più complesso; non si abbellisce il panorama urbano senza la partecipazione dei cittadini; non si migliora la vita civile senza coinvolgere le persone di cultura; non si utilizzano in modo intelligente al servizio della città le nuove aree urbane liberate dal cambiamento delle attività senza coinvolgere i grandi architetti ed urbanisti e i grandi finanziatori ed affidandole solo agli uffici comunali o agli architetti di partito o alle vuote casse pubbliche; non si ripensa la città senza pensiero.

(*) Articolo tratto da uno scritto di Marco Vitale per il volume in onore di Gianfranco Dioguardi, in via di pubblicazione.

 

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