Pubblicato su politicadomani Num 78 - Marzo 2008

La decima Musa
Il matrimonio di Tuya
Le condizioni degli abitanti della Mongolia interna, che l'industria neocapitalista cinese sta sradicando dal nomadismo e dalla pastorizia, in un film che ne racconta la vita con grande cura di particolari

di Teresa Braccio
(Direttrice del Centro di Comunicazione e Cultura delle Paoline)

Il film
"Il matrimonio di Tuya", di Quanan Wang, descrive una situazione paradossale ambientata nella sconfinata zona semidesertica della Mongolia cinese. A causa dell'espansione industriale, molti pastori sono costretti a lasciare la vita nomade per stabilirsi vicino ai centri abitati. Tra coloro che non vogliono abbandonare i pascoli c'è Tuya, donna bella e forte, che rifiuta di allontanarsi dalla sua terra e continua instancabile a vivere nella steppa con due figli, cento pecore e il marito Bater, rimasto infortunato nel tentativo di scavare un pozzo per l'acqua. L'uomo, cosciente della sua infermità, propone alla moglie il divorzio per offrirle la possibilità di risposarsi ed avere così qualcuno che possa aiutarla nei lavori faticosi. Con i figli da crescere, il gregge da portare tutti i giorni al pascolo, in casa c'è bisogno dell'aiuto di un uomo per risolvere anche il problema dell'acqua. Per una donna è molto difficile vivere se il pozzo dell'acqua dista 15 chilometri dall'abitazione e il cammello è l'unico mezzo per raggiungerlo. Ma Tuya non vuole lasciare il padre dei propri figli e, quando anche lei si ammala a causa del pesante lavoro, con una concretezza tutta contadina riconsidera la proposta: sposerà solo chi si farà carico anche del primo marito, perché lei non intende abbandonarlo. Molti pretendenti si presentano per chiedere la sua mano, ma i problemi per la giovane donna sembrano non finire mai.

Per riflettere dopo aver visto il film
La storia, attraverso una struttura narrativa essenziale ci porta sulla soglia di una tragedia epocale, i ritmi lenti e un umorismo dolce-amaro narrano la vita di un popolo che in nome del progresso vede stravolgere la propria identità.
Le immagini, come una grande finestra aperta, ci proiettano su spazi sconfinati e brulle distese battute dal vento, dove sparuti raggruppamenti umani continuano a resistere in situazioni di indigenza e povertà estrema.
Nelle riprese più che i personaggi parlano i primi piani e le espressioni dei volti raccontando l'isolamento e le fatiche di tutti i giorni.
I lineamenti, dai tratti senza tempo, riempiono la scena e coinvolgono lo spettatore in una tormentata e sofferta metafora.
Un dramma tutto al femminile, che mette in evidenza l'impegno di conservare le tradizioni e le fatica del lavoro e della sopravvivenza.
Tuya, coraggiosa e forte, è costretta a divorziare dal marito invalido e risposarsi per assicurare un futuro alla sua famiglia. All'inizio del film, dopo un breve prologo della sua voce fuori campo, nel paesaggio desertico la vediamo arrivare su un cammello mentre incita un gregge di pecore. Non sappiamo ancora nulla di lei, ma leggiamo già sul suo volto il dramma di una donna divisa tra passato e presente, tra fatalità e amore.
Nel film tutto è riferito con intensa umanità, che si scontra con la decisione dura e sofferta che Tuya e Bater sono costretti a prendere: per portare avanti la loro vita devono cessare di vivere, devono rinunciare al loro passato, al loro amore, ai loro legami, al loro futuro.
Tuya rappresenta la simbolica incarnazione della forza femminile su cui poggia questo sperduto popolo come tanti altri popoli della terra.

Una possibile lettura
Non è la prima volta che il regista dissidente Wang Quan An ci offre un chiaro e intenso manifesto sui primitivi raggruppamenti delle alture mongole. Questo film, cinese per produzione ma mongolo per ambientazione, evidenzia una realtà fatta di cose e comportamenti che agli occhi di uno spettatore distratto possono risultare irrisori e fuori dalla logica comune. Una drammatica normalità, raccontata sotto forma di metafora, che ci accompagna negli usi e costumi di una civiltà, ma anche nella distruzione inesorabile di un'epoca. Nella Mongolia contemporanea lo sviluppo industriale procede inesorabile travolgendo quelle attività legate al passato, come il nomadismo e la pastorizia, e spingendo le persone nelle anonime periferie di città. "Il matrimonio di Tuya" descrive la fatica del vivere umano, ma offre anche molti spunti di confronto tra tradizione e modernità. Una denuncia dura, chiara, lineare e affascinante nello stesso tempo. Tuya è una donna che vive in una società dominata dall'autorità indiscussa degli uomini, in questa società e con questa autorità deve lottare per difendere la propria dignità e quella del marito. Lo fa restando attaccata alla terra e ai valori profondi della sua gente, alla povertà esterna contrappone semplicemente la sua ricchezza interiore, che diventa l'anima stessa del film. Il regista sceglie la formula narrativa della favola per descrivere questa ricchezza e raccontarci la forza della donna di fronte alle avversità della vita, ma anche la lotta perenne contro la cupidigia e la sete di dominio dei propri simili. Le sue lacrime hanno il sapore di una resa finale, ma sono la chiave che ci consente di sentirla vicina, così vicina da condividerne il dolore e la fatica. Sono le lacrime di ogni donna che lotta per vivere e amare.

Note tecniche
Titolo Originale: Tu ya de hun shi
Genere: Drammatico
Regia: Wang Quan An
Interpreti: Yu Nan (Tuya), Bater (Bater), Sen Ge (Sen Ge), Zhaya (Zhaya), Peng Hongxiang (Baolier)
Nazionalità: Cina
Distribuzione: Lucky Red Distribuzione
Anno di uscita: 2007
Origine: Cina (2006)
Soggetto e Sceneggiatura: Lu Wie, Wang Quan An
Fotografia (Panoramica/a colori): Lutz Reitemeier
Musica: Mongolian Folk Song
Montaggio: Wang Quan An
Durata: 96'
Produzione: Yan Jugang
DVD: Euro 17.99
Tematiche: Famiglia; Matrimonio - coppia; Politica-Società

Valutazione del Centro Nazionale Valutazione film della Conferenza Episcopale Italiana:
Accettabile/problematico/dibattiti
Note: Orso d'Oro e Premio della Giuria Ecumenica al 57mo Festival di Berlino (2007)

 

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