Pubblicato su politicadomani Num 78 - Marzo 2008

L'altra storia
Episodi di brigantaggio dopo il 1799
Dopo la Rivoluzione Napoletana cambiò l'assetto politico del Regno ma non il suo stato di agitazione permanente sociale e politica. Con il ritorno del re a Napoli, Bonaparte prima e Murat dopo, gli episodi di brigantaggio diminuirono ma non cessarono

di Raffaele Gagliardi

Dopo l'episodio breve, ma intenso, della Rivoluzione del 1799, il sovrano borbonico riprese con vigore le redini del Regno. Gli eventi internazionali però avevano ormai preso il sopravvento: la guerra in Europa non era mai terminata e, con Napoleone imperatore, i francesi si riaffacciarono nel Regno di Napoli. Questa volta (1806) il governo non fu affidato ad un generale, ma fu il fratello dell'Imperatore in persona ad essere incoronato re di Napoli. Giuseppe Bonaparte divenne, però, re di uno Stato a metà, perché, come già era accaduto con il generale Championnet, la Sicilia restava ai Borbone, che erano protetti dalla flotta inglese.
Nel nuovo contesto il brigantaggio subì colpi mortali. Le sue fila diminuirono vertiginosamente. Briganti passati alla storia (e alla leggenda) come Michelangelo Arcangelo Pezza, più noto col nome di Fra Diavolo, e Giovanni Carlozzi, di Montagano, detto "Furia", per esempio, ebbero vita difficile. Molti caddero sotto i colpi delle baionette francesi. La guerriglia riprese fiato, non più grandi manovre con centinaia di uomini da schierare in battaglia, ma poche decine di armati che, con rapidi assalti a guardie isolate, colpi di mano che prevedevano razzie, uccisioni e ruberie, riuscivano a mettere in difficoltà l'esercito franco napoletano del nuovo re. Sono tanti, nelle varie regioni del Regno, i nomi dei briganti che si ricordano: da Taccone e Quagliarella, che operarono in Basilicata, a Carmine Antonio e Mascia che agirono nel distretto di Castrovillari.
Fra coloro che in qualche modo hanno lasciato un ricordo fra la gente c'è Antonelli. Il brigante occupava il territorio del chetino e poiché Giuseppe Bonaparte non riusciva a liberarsene, decise di accordarsi con lui e lo nominò colonnello. L'Antonelli potè così rientrare a Chieti con grandi onori. L'episodio, insignificante dal punto di vista militare, dimostra invece come la lezione del re Borbone avesse fatto scuola. Due anni più tardi, nel 1808, saliva sul trono di napoli Gioacchino Murat che riuscì non solo a catturare e ad umiliare l'Antonelli, divenuto ormai facile preda a causa della sua nuova posizione e visibilità: battuto e catturato, fu condotto a dorso d'asino nella stessa Chieti che aveva visto il suo ingresso trionfale. In Basilicata, invece, un altro bandito, Pancrazio Taccone, entrato trionfante a Potenza condusse via una fanciulla con il beneplacito delle autorità cittadine. Un sacrificio, quello della fanciulla, che ricorda il mito greco del Minotauro. Il bandito italiano. Noto per la sua crudeltà, operò dapprima a sostegno della reazione borbonica contro i giacobini napoletani durante la Repubblica Partenopea (1799), così come fecero molti passati alla storia del brigantaggio - Michele Pezza (Fra Diavolo), Gaetano Mammone, Nicola Gualtieri (Pane di Grano) e altri - continuando poi alla macchia la lotta contro i Francesi di Napoleone. Durante un'incursione su Potenza (1810) venne catturato e passato per le armi.
Gli anni prima e subito dopo la breve parentesi della Repubblica partenopea (dal 23 gennaio al 13 giugno del 1799) furono funestati da episodi di resistenza e di attacco violenti. Ma non si trattava di un esercito organizzato che si muoveva allo scopo di cacciare l'invasore: erano episodi di vero brigantaggio, nel senso tradizionale del termine, condotti con ferocia distruttiva. I responsabili di questa guerriglia vennero poi distrutti e i loro tentativi di ribellione furono resi vani dalla repressione del generale Manhès che, senza esitare come racconta il Colletta, usò tutti i mezzi a sua disposizione per sradicare il brigantaggio dal regno di Napoli su cui ormai governava saldamente Gioacchino Murat. Vennero usate tutte le armi: la violenza e anche, e soprattutto, l'arguzia e la profonda conoscenza dell'animo umano, servivano spesso ad aizzare la popolazione contro i malfattori. Il caso di Serra in Calabria fu emblematico: di fronte all'ennesimo caso di assassinio multiplo il generale, invece di ricorrere alla rappresaglia armata, decise di interdire il paese facendo allontanare tutto il clero e chiudendo la cittadina: niente rapporti con i paesi vicini e niente sacramenti. In breve tempo i colpevoli dell'eccidio furono trovati e uccisi dalla popolazione stessa.

 

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Num 78 Marzo 2008 | politicadomani.it