Pubblicato su politicadomani Num 78 - Marzo 2008

Roma - Convegno del SEAC
Carcere: una risalita faticosa
Fra certezza della pena e necessità di reinserimento, giustizia e volontariato debbono essere sempre dalla parte della persona detenuta

di Valentina Casciaroli

Si è tenuto dal 29 novembre al 1 dicembre u.s. un convegno dal titolo "Il volontariato e la persona: 40 anni del Seac". La sigla che sta ad indicare il coordinamento di enti e associazioni di volontariato penitenziario. "Non c'è niente da festeggiare". Esordisce così il presidente dell'associazione, Elisabetta Laganà, che pone l'accento sui passi indietro che si sono fatti da quando è stata approvata la legge Gozzini, nel 1975: "Si va sempre più verso una politica di tolleranza zero e di emarginazione. Eppure è proprio l'esclusione il trampolino per la criminalità". A livello costituzionale il carcere si propone di essere rieducativo prima che punitivo. Ciò presuppone la centralità del detenuto e l'individuazione di un percorso individuale di ri-socializzazione reso tuttavia impossibile per mancanza di operatori. Sono perciò i volontari i mediatori fra normalità e marginalità. Occorre evitare pericolose semplificazioni, poiché la mancanza di risorse non giustifica la violazione dei diritti. I dati non possono far dubitare: i tentati suicidi sono passati dai 489 del 1990 ai 640 del 2005. "Senza mai disconoscere il reato, bisogna superare la concezione del carcere come luogo di "vendetta sociale", continua la Laganà, e cita Don Milani, parlando di "passione civile come virus endemico. Ognuno deve sentirsi responsabile di tutto, per non essere costretti, un giorno, a vergognarci del nostro silenzio".
Il capo del Dipartimento Amministrazione Penitenziaria, Ettore Ferrara, dice che tra un anno le carceri saranno di nuovo piene. Ma la costruzione di nuovi edifici non è la risposta a questa emergenza. Si parla tanto di costi, eppure ben pochi sanno che le pene alternative (che consistono nell'affidamento del detenuto ai servizi sociali) comportano una spesa pari a 1/10 di quella tradizionale. Inoltre, la recidiva per coloro che usufruiscono di trattamenti alternativi è di 2 casi su 10. Allora perché le pene alternative vengono applicate in misura sempre minore? "Se lo scopo è di far soffrire chi ha fatto soffrire, ci siamo fermati alla legge del taglione" afferma l'ex consigliere di Cassazione Gherardo Colombo. Tamburino, coordinatore nazionale dei Magistrati di Sorveglianza, spiega le difficoltà del mestiere: "Durante i periodi di semilibertà un numero bassissimo di detenuti torna a delinquere, eppure i mass media si concentrano su questi rari casi, dando adito a un bisogno di sicurezza disposto a passare anche sopra alle garanzie costituzionali".
Nella 2a sessione del Convegno sono stati istituiti veri e propri gruppi di lavoro, che proponevano interventi concreti e possibilità di lavoro, differenziando le realtà mafiose, quelle dei sex-offenders, dei malati mentali e degli immigrati. La specificità del rapporto con la persona è, infatti, il punto di forza del volontariato. Non è possibile prescindere dall'individuo per costruire un percorso di reinserimento; questo, per il volontario è il punto di partenza, per le istituzioni un obbiettivo ancora molto lontano da raggiungere. La giornata conclusiva del convegno si è svolta presso il carcere di Regina Caeli. Qui i detenuti hanno sottolineato come spesso arrivi "una condanna sociale ancor prima che vi sia quella giudiziaria: la giustizia mediatica emette i suoi verdetti senza aver accertato nessun tipo di prova". Scrivono, inoltre, in un documento: "Siamo certi che la società può dirsi protetta, mettendo sotto chiave i suoi problemi?". Alla certezza della pena, oggi tanto invocata, dovrebbe affiancarsi la certezza del reinserimento.
Nonostante l'eterogeneità del Seac, dal cattolico che scorge nel detenuto il volto di Cristo al laico che pratica una cittadinanza attiva basata sulla gratuità del doveroso, il Convegno trova tutti d'accordo nell'affermare che il carcere, così com'è, è totalmente diseducativo. "C'è bisogno di una battaglia etica che superi la spersonalizzazione del detenuto e che abbandoni quell'assurdo securitarismo che crea imprenditori della paura" afferma Palidda, sociologo dell'università di Genova. Una battaglia contro il binomio pena-carcere, e soprattutto per il rispetto dei basilari diritti attraverso "silenziosi ma costanti interventi diretti, puntando sul fenomeno e contemporaneamente su ciascuno, attraverso ascolto e attenzione". Saluta così la Presidentessa dell'associazione al termine dei tre intensi giorni di lavoro.
Poche volte le istituzioni sono andate al di là delle parole. I volontari, invece, suppliscono quotidianamente le mancanze dello Stato il quale, senza giustizia cessa di essere Stato e si riduce a semplice apparato di organizzazione. E la giustizia deve coinvolgere tutti, indistintamente.

 

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