Pubblicato su politicadomani Num 77 - Febbraio 2008

Una inchiesta di Medici Senza Frontiere
Una stagione all'inferno
Le condizioni drammatiche dei lavoratori immigrati clandestini e non, nelle campagne del Sud d'Italia testimoniate da MSF presentano caratteristiche riferibili a contesti di crisi umanitaria dove il valore della vita dei più vulnerabili è pressoché nullo

di Maria Mezzina

92% vivono in alloggi privi di riscaldamento; 69% non hanno luce elettrica; 64% non hanno accesso all'acqua corrente; il 72% si lava all'aperto o in docce improvvisate.
Non siamo in un paese povero del Sud del mondo, né in un campo profughi del Darfur, ma nella civilissima Italia: siamo nelle regioni del Sud, fra gli immigrati che portano avanti l'economia agricola del nostro Mezzogiorno. Gente che è venuta in Italia sfuggendo alle miserie e alle guerre, spesso alla persecuzione di regimi violenti e sanguinari, con l'obiettivo di lavorare e mandare un po' di denaro anche a casa, alle famiglie lasciate nei paesi d'origine. Il 38% però non riesce a farlo, riesce a stento solo a sopravvivere in condizioni miserrime. Che altro si potrebbe fare con soli 240 euro al mese? È la stima fatta dagli operatori di Medici Senza Frontiere (MSF) sulla base di questi dati: una media di otto giorni lavorativi al mese con una paga di circa 30 euro al giorno per 8/10 ore di lavoro, da cui bisogna ancora sottrarre dai 3 ai 5 euro destinate ai "caporali".
Una condizione da semischiavitù degna dei peggiori campi di sfruttamento come ce ne sono tanti in Africa e in America Latina, dei quali, ipocritamente, ci scandalizziamo quando ne sentiamo parlare da giornalisti (pochi) e missionari (di più) che da quelle regioni ci inviano notizie che fanno male allo stomaco; oppure quando ci capita di vedere gli sconvolgenti reportage di fotografi come, per esempio, Sebastiao Salgado, che della gente del Sud del mondo testimoniano la lotta per la sopravvivenza con le loro foto.
"Una stagione all'inferno" è il nome del Rapporto di Medici Senza Frontiere sulle condizioni degli immigrati impiegati in agricoltura nel Sud Italia, da cui sono stati presi i dati presenti in questo articolo. La stagione è quella da luglio a novembre 2007, quando è stata fatta l'inchiesta. È la stagione della raccolta di pomodori, pesche, fragole, zucchine, meloni, kiwi, uva e agrumi. L'inchiesta è stata condotta nelle regioni di: Lazio (provincia di Latina), Campania (a piana del Sele), Puglie (provincia di Foggia), Basilicata (provincia di Matera e Potenza), Calabria (piana di Gioia Tauro) e Sicilia (valle del Belice), su un campione di 643 immigrati che hanno risposto a 600 questionari.
Il rapporto - che è diviso in due parti: Analisi generale dei dati e Schede regioni - segue uno analogo del 2004 e rivela tutta la drammaticità di una condizione che in tre anni non è affatto cambiata.
"Pur contribuendo in maniera fondamentale al settore agricolo del Sud Italia, i lavoratori stranieri stagionali sono costretti a condizioni di vita disumane che li relegano a uno stato di povertà estrema e di esclusione sociale, vittime di sfruttamento, soprusi e atti di intolleranza", si legge nel Rapporto. Ne esce un quadro drammatico che si riflette tutto in questa affermazione "Sebbene arrivino in Italia in buone condizioni di salute, i lavoratori stranieri si ammalano per le durissime condizioni lavorative. Si ammalano perché quando rientrano dai campi non hanno acqua potabile da bere, né luoghi asciutti e salubri in cui stare". Una vergogna su cui governi e amministrazioni locali preferiscono chiudere ipocritamente gli occhi, nascondendo la testa sotto la sabbia, perché è su questi immigrati irregolari, su questi lavoratori in nero che si regge l'economia agricola del Sud. E quando la realtà diventa troppo ingombrante si alzano muri, si chiudono ghetti, si spianano baraccopoli. Dal punto di vista politico si preferisce parlare di "quote", di "pulizia" e di "espulsioni", colpendo gli sfruttati piuttosto che gli sfruttatori.
"Un costo sociale e umano altissimo necessario per assecondare i meccanismi perversi di economie di mercato", dove ciò che conta non è la persona, ma la produzione e il profitto.

CHI SONO
Per il 97% sono uomini di età compresa fra i 20 e i 40 anni (84%). Irregolari (72%) o con permesso di soggiorno (28%) per motivi di lavoro, umanitari, perché rifugiati o perché hanno presentato richiesta di asilo: sono in 10.000 ogni anno a presentare richiesta a fronte di 2.500 posti disponibili nel 2006, secondo lo SPRAR (Servizio di Protezione per i Richiedenti Asilo e Rifugiati).
Al momento della visita di MSF hanno dichiarato di trovarsi sul luogo da meno di 4 mesi il 66,5%, ma in alcune località (Latina, Eboli, Battipaglia) sono più stabili, risiedendovi da più di 12 mesi.
Lavorano nell'agricoltura (80%) nei campi e nelle serre, nell'edilizia, nel commercio e in altri comparti (10%); il 10% non ha mai lavorato e di questi il 67% sono in Italia da meno di 4 mesi.

LE CONDIZIONI DI LAVORO
Il 90% non possiede alcun contratto di lavoro, quindi niente tutele né di salario, né previdenziali, né per gli infortuni sul lavoro. Lavorano in nero anche gli immigrati con regolare permesso di soggiorno (68%).
Gli immigrati stagionali lavorano in media 4 giorni a settimana, per 8/10 ore al giorno.
"La giornata tipo di uno straniero impiegato come stagionale inizia verso le 4.30 del mattino quando si reca nei luoghi del reclutamento. Piazze, incroci e strade sono il punto di incontro tra domanda e offerta di lavoro nero. Decine, a volte centinaia di stranieri stazionano nella speranza di essere reclutati da un caporale o dallo stesso proprietario terriero. Chi non viene scelto torna a "casa", in attesa di un'altra "occasione"" dice un operatore MSF.
Sul lavoro non usano particolari protezioni: guanti (95,2%), ma sono solo guanti da cucina inadatti per proteggere dagli agenti tossici; stivali da lavoro (20%); una mascherina (8%). Tutta roba che non è fornita dai datori di lavoro e che comprano loro stessi (97%).
Guadagnano dai 26 ai 40 euro al giorno, ma più di un terzo guadagna meno di 25 euro.
La paga è a giornata o a cottimo, e cioè per numero di cassette raccolte (risulta che nel foggiano un bracciante straniero guadagni da 4 a 6 euro per raccogliere 350 chili di pomodori). Il 37% dice che dalla paga sono trattenuti dai 3 ai 5 euro per i "caporali".
Il pagamento è irregolare. "Il pagamento avviene sempre in ritardo, a volte aspetto fino a 40 giorni. Non siamo trattati bene, ci fanno fare il lavoro più difficile senza vestiti di protezione, ci pagano poco e addirittura qualcuno non paga per niente e siccome siamo senza documenti non possiamo fare nulla", è la testimonianza di un lavoratore marocchino a MSF.

LE CONDIZIONI DI VITA
Nel Rapporto si legge: "La maggioranza degli stranieri impiegati come stagionali vive in condizioni igieniche e sanitarie drammatiche, in un stato di povertà estrema e di esclusione sociale. Questa condizione espone gli stagionali ad atti di violenza e intolleranza".
Si arrangiano in "alloggi di fortuna, ruderi di campagna o fabbriche abbandonate, strutture fatiscenti prive di ogni servizio minimo (acqua, luce, bagni), senza infissi e serramenti, con i muri portanti e il tetto spesso pericolanti o parzialmente distrutti".
Una situazione indecente a cui si somma il sovraffollamento: negli alloggi di fortuna "oltre la metà divide lo spazio con 4 o più persone, il 21% deve condividere il proprio materasso con una o più persone e il 53% dorme per terra sopra un cartone o un materasso". Se sono in affitto, il 69% divide la stanza con 3 o più persone.
Disastrose e allarmanti le condizioni igieniche. Il 62% non dispone di servizi igienici nel luogo in cui vive: si arrangiano nei campi per le proprie funzioni fisiologiche. Non hanno accesso all'acqua corrente il 64% e se la procurano presso fonti di fortuna come tubi d'irrigazione e rubinetti esterni (44%), fontane pubbliche (31%), la comprano (25%). Conservano l'acqua potabile in taniche (40%). Si lavano all'aperto in docce improvvisate (72%).
Niente riscaldamento (92%). Niente luce elettrica (69%), solo candele. Niente raccolta e smaltimento rifiuti nei luoghi in cui vivono (66%).
Cucinano con un fornello da campo (46%) o su fuoco fatto con legna da ardere (14%). In buona parte mangiano solo la sera, cibi poveri e non conservati - solo il 20% possiede un frigorifero - e allora si ammalano.

LE CONDIZIONI DI SALUTE
Malattie osteomuscolari (22%), infezioni della cute (15%), malattie respiratorie (13%), malattie gastroenteriche (12%), malattie del cavo orale (11%), malattie infettive (10%) sono i gruppi di malattie più diffuse. All'interno di questi le patologie più diffuse sono le lombosciatalgie (52%), le micosi (34%), le infezioni delle vie aeree superiori (59%), le gastriti (35%) le carie (74%), e fra le malattie infettive le enteriti (57%), le malattie sessualmente trasmissibili (15%), la tubercolosi (8%). Manca, inoltre, l'informazione corretta sui loro diritti in fatto di salute: i regolari non vengono avvertiti che possono iscriversi al Servizio Sanitario Nazionale al momento del rilascio della carta di soggiorno; non ci sono abbastanza centri di assistenza sanitaria STP (Straniero Temporaneamente Presente) per gli irregolari; mancano sufficienti intermediatori culturali in grado di dare le necessarie informazioni.
Così la debolezza fisica e la malattia si aggiungono all'intolleranza e alla violenza di cui sono vittime. Uno stato di estrema esclusione sociale, che subiscono per paura di essere allontanati, se vanno alla polizia o in ospedale.

Questa situazione li priva di dignità umana ed è in contrasto con i principi di uguaglianza sui diritti fondamentali alla libertà e alla salute sanciti dalla nostra Costituzione, la quale "riconosce" tali diritti come diritti naturali e non come diritti concessi per legge. Ma, poi, le autorità locali e nazionali non fanno nulla per garantire a questi lavoratori del Sud il diritto alla salute e alla libertà.
"MSF auspica la responsabilizzazione da parte delle autorità locali e nazionali, associazioni di categoria e sindacati affinché vengano fornite risposte concrete per il definitivo superamento di un'intollerabile condizione che lede la dignità umana.
MSF chiede che vengano garantiti standard minimi di accoglienza a tutti i lavoratori stranieri impiegati in agricoltura a prescindere dal loro status giuridico", si legge nel Rapporto.

 

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