Pubblicato su politicadomani Num 77 - Febbraio 2008

Per una politica della responsabilità
Lettera aperta a Savino Pezzotta

 

Caro Pezzotta,
scusami se mi rivolgo a te in questa forma così colloquiale per una preghiera che vorrei rivolgerti e che troverai alla fine di questa lunga lettera.
Ho avuto modo di ascoltarti non solo in televisione, dove sei spesso invitato - sorprendentemente, perché il tuo modo di fare è molto lontano dallo stile aggressivo e ciarliero proprio della nostra Tv - ma, soprattutto, nei tuoi interventi in terra di Calabria nei quali ribadisci ogni volta, con la forza della lucidità e della passione POLITICA (quella con tutte le lettere maiuscole), l'importanza strategica del Sud per il progresso dell'intero Paese.
Confronto gli scopi e le strategie di cui ti sento parlare con le mie idee e con le aspirazioni e il pensiero di moltissimi in questo Paese che non vogliono rinunciare al loro ruolo nel decidere del proprio destino. Mi ritrovo nel tuo pensiero al novanta per cento, direi pure al cento per cento, quando ciò che dici non viene strumentalizzato come pensiero "unico", ma accettato come pensiero "forte". Mi riferisco alla tua posizione a difesa dei diritti della famiglia fondata sul matrimonio, all’accoglienza e al rispetto per la vita, diritti fondamentali per chi come te e me e moltissimi altri sono stati educati ai principi dell'umanesimo cristianamente ispirato, ma che non sono gli unici: perché accanto ci sono il rispetto della dignità del lavoro, la cura per gli ultimi, il principio della sussidiarietà, il rifiuto del liberismo che sacrifica la persona sull'altare del mercato, la salvaguardia del creato fatta in forma attiva e che non può risolversi in sterili campagne e manifestazioni "contro".
Sono tanti, impossibili da elencare, i principi a cui la corretta gestione di un Paese, cioè la POLITICA, dovrebbe ispirarsi. Principi enunciati, nel corso di oltre un secolo, nella Dottrina Sociale della Chiesa: un insegnamento che non è solo per i cristiani, ma è, soprattutto, punto di incontro e terreno comune per tutti. E linea guida per costruire il futuro, cattolici e non cattolici insieme.
Troppo a lungo il nostro Paese è stato lacerato da differenze ideologiche, spinto sul baratro del muro contro muro da abili strateghi interessati. Eppure sono ancora molti in Italia quelli che non si sono lasciati irretire da questo gioco al massacro, e che negli ultimi 15 anni (quasi una generazione) hanno assistito sconcertati a quanto andava accadendo.
Ora, con una legge elettorale che ha scippato i cittadini del loro diritto a scegliere i propri rappresentanti, si torna a votare. Votare per chi e per che cosa ci chiediamo, probabilmente a milioni. È qui che entra in gioco ancora una volta la strategia: superare questa fase per ritornare alla gente in modo che sia possibile governare il Paese.
È sconcertante come sia stato difficile prendere alcune misure capaci di dare un segnale forte all'opinione pubblica: una legge contro il conflitto di interessi, generalizzato ormai a tutto il Paese; una legge sulle televisioni; la "messa a riposo", per incompetenza palese, di tanti politici e pubblici amministratori, a cominciare dalla Campania; un taglio netto alle mostruose e inutili spese degli apparati dello Stato, inclusi comuni, province e regioni. Una "prudenza" che l'esigua minoranza al Senato non può giustificare del tutto.
È sconcertante come una sinistra, che aveva appoggiato la maggioranza al governo, si sia poi defilata, tradendo così il mandato degli elettori che, più che un partito, avevano scelto un modo nuovo di governare. Lo hanno fatto alla ricerca di una "identità" che ha ragione di esistere in ambito europeo, dove (vale la pena ricordare) si vota con il sistema proporzionale. Ma diventa un suicidio in Italia, dove il sistema maggioritario è stato ed è interpretato come conflitto permanente fra due parti che siedono in un parlamento (in lettere minuscole) in cui non ci riconosciamo più. Un muro contro muro che costringe a votare tutti nello stesso modo - pena la caduta del governo - e secondo le direttive del partito, magari proprio per far cadere il governo di cui si è parte. Una follia. Un obbligo imprescindibile visto che i parlamentari, che sono stati scelti dalle segreterie di partito e non dai cittadini, in Parlamento non rappresentano più la Nazione, ma il partito. E quindi non possono più decidere secondo la propria coscienza ma solo secondo le decisioni del partito, in violazione dettato costituzionale "senza vincolo di mandato" (art. 67 "... ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita la sua funzione senza vincolo di mandato"). Una situazione che porta a scelte obbligate e innaturali, ad un mercato di voti in cui partiti minuscoli tengono in scacco la maggioranza - tanto più se essa è risicata - con buona pace del dialogo, della collaborazione, del lavorare tutti insieme per il bene del Paese, della democrazia. Una povera "democrazia" svuotata di ogni significato.
Come uscire da questo groviglio evitando di consegnare il Paese a forze che lo hanno portato sull'orlo del fallimento economico e lo hanno umiliato di fronte alla comunità internazionale, che ride di noi? Come evitare che diventi ancora preda di singoli, pronti ad usarlo come grimaldello per aggiustare le loro vicende: personali, economiche o giudiziarie che siano? Come far sì che ritorni in qualche modo una coscienza etica del governare, un anteporre il Paese al partito, un guardare al bene dei cittadini piuttosto che obbedire ai diktat delle grandi corporazioni, delle banche internazionali, delle multinazionali pronte ad allungare gli artigli su beni e servizi vitali per la gente?
Sono in attesa di una novità vera, di una "ventata d'aria fresca". Svecchiare. Dove "vecchi" si è non per età anagrafica, ma per assuefazione e allineamento ai modi correnti di fare politica: un atteggiamento comune anche in molti cosiddetti "giovani" che ho avuto modo di conoscere. Novità sarebbe portare in Parlamento una ventata di etica, per cui non è condannabile chi è condannato, ma colui che, solo sfiorato dalla possibilità di una condanna, rimette il suo mandato, come avviene in tutti i paesi civili del mondo. Non a caso l'Italia risulta nelle classifiche CPI del 2006 ad un misero 45° posto, con un punteggio di solo 4,9 su 10, dopo paesi come Emirati Arabi, Botswana, Isole Mauritius, Corea del Sud, Malesia (il CPI è l'Indice di Percezione della Corruzione, ed è un "voto" attribuito ai vari Stati che misura quanto un paese sia considerato immune da corruzione). Novità sarebbe spezzare questo sistema di "caste" per cui le posizioni di responsabilità si tramandano all'interno della famiglia, fra gli amici, nel giro dei soliti che "contano".
È per questo che ti invito a rinunciare ancora una volta a te stesso, come hai fatto quando eri operaio e hai deciso di entrare nel sindacato, per raccogliere la richiesta, che da molte parti credo ti giunga, di fondare un movimento che, senza essere cattolico, si ispiri ai principi dell'insegnamento sociale della Chiesa per raccogliere attorno ai valori, alle idee e alle strategie di cui vai da tempo parlando tanta gente che, altrimenti, non saprebbe più cosa fare per questo Paese.
Un altro partito? No. Un modo per radunare tanti dispersi delusi da questa politica attorno all'idea di sobrietà, pazienza e duro lavoro, e un modo, anche, per dare a gente "giovane", preparata e "nuova" l'opportunità di cimentarsi nel governo di un Paese difficile, a volte impossibile, ma comunque splendido.

per la redazione,
Maria Mezzina

 

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