Pubblicato su politicadomani Num 76 - Gennaio 2008

All'amico Gianluca

di Maria Mezzina

Protagonista, leader, sempre sulla ribalta. Uno che istintivamente occupa il centro della scena e cattura l'attenzione. "Bello e dannato, come James Dean" ha detto di lui Patrizia, del bar in piazza a Giulianello. In realtà Gianluca era questo e molto altro ancora. Chi ha avuto modo di conoscerlo e di scendere in profondità nei suoi pensieri, di conquistare la sua confidenza, e ha avuto la pazienza e la curiosità di seguirlo nei suoi disegni e di condividerli (sia pure con riserva, giacché il gusto e la sfida per l'impossibile era una caratteristica tutta sua e di pochi altri che gli assomigliano) non poteva non rimanere affascinato dallo sprigionarsi di tanta energia positiva: un vulcano di progetti pensati e velocemente portati a termine; un turbine capace di trascinare con sé persone e idee mettendole al servizio di una comunità che, dai tempi della scuola, si è allargata al gruppo degli amici e poi all'intera cittadina. E non sarebbe finita neanche lì.
Uno, Gianluca, che non aspettava che le cose accadessero: le faceva accadere. Per piegarle possibilmente, con tenacia, ai suoi disegni, alle sue visioni. Eppure uno così era un "moderato": niente esaltazioni, nessun disegno o progetto impossibile. Ciò che ad altri sarebbe sembrato irrealizzabile veniva da lui sezionato e sottoposto ad un'analisi implacabile di fattibilità; esaminate tutte le possibilità, dato peso prevalente alle circostante e agli aspetti più favorevoli, diventava lucidamente e realisticamente possibile. E, da quel momento, diventava realtà.
Per uno così qualsiasi costrizione esterna diventava un limite a cui ribellarsi, una catena di cui liberarsi. Così la scuola. Non era questione di studio per lui: semplicemente la scuola era un palcoscenico dove esercitare la sua prorompente esigenza di protagonista assoluto. Era il luogo dove mettersi alla prova per non essere risucchiato dalla tentazione della omologazione, ed affermare la sua libertà, che non era solo libertà di fare ma, soprattutto, era libertà di pensare. Sia pure nella ricerca continua del confronto, aspro, a volte, ma sempre rispettoso.
Quello che più mi ha sempre colpito di Gianluca era la sua incrollabile particolarissima fede. Una fede che, nel profondo e in quel suo modo di mettersi in gioco ogni volta, fino in fondo, aveva il sapore del cristianesimo autentico delle origini: un credere nei valori della libertà, dell'amicizia, della famiglia, della lealtà, della compassione (intesa nel senso etimologico del termine di provare intensi sentimenti insieme agli altri e per gli altri) che si trasforma in autentica solidarietà.
Di tanti Gianluca avrebbe bisogno il nostro Paese: positivi, tenaci e instancabili costruttori, pronti a rischiare e a rimboccarsi le maniche. Con il gusto delle sfide e della dialettica, con la curiosità intellettuale e la passione per la cultura (che lui aveva a suo originalissimo modo) e per il bello. Uno così non può che vivere al massimo della intensità concessa ad essere umano, con il massimo della libertà, mitigata solo dal rispetto dei valori più profondi. Uno così, quando se ne va, lo fa lasciando incredulità e stupore.
L'eternità non appartiene a questo mondo, non è appannaggio di una persona. Però può essere donata, l'eternità, tessendo attorno reti di amicizia e di solidarietà, costruendo per il futuro senza risparmiarsi nel presente, avendo chiaro davanti uno scopo condiviso, lasciando in eredità, più che il rimpianto, il desiderio e il senso profondo di portare avanti un lavoro iniziato, avviato e che deve essere completato e, possibilmente, anche ampliato e migliorato. Come avrebbe voluto e fatto lui, che adesso guarda dall'alto e può aiutare solo da lì, magari, come dicono gli amici, nei ritagli di tempo fra una discussione e l'altra con Dio su come rendere più bello il Paradiso per il giorno in cui tutti ci ritroveremo lassù.

 

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