Pubblicato su politicadomani Num 76 - Gennaio 2008

Piacenza, 7 dicembre 2007
A 50 anni dai Trattati di Roma
Cinquant'anni fa, furono firmati i Trattati di Roma che istituivano la CEE e l'Euratom. L'Europa stava risorgendo dalle ceneri di un conflitto che aveva provocato milioni di morti. Era necessario avviare processi di superamento dei nazionalismi. L'On. Sen. Nicola Mancino, Vice Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura, ricorda in un discorso celebrativo storia, strategie e valori dell'Europa che cresce. L'articolo è una sintesi della sua relazione

di Nicola Mancino
(Vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura,
dopo una vita spesa in politica. Le sue origini sono umili ...Continua)

Le cronache raccontano che quel 25 marzo 1957 era, a Roma, una giornata uggiosa. Al momento della firma, nella Sala degli Orazi e Curiazi, un violento temporale si scatenò sulla città; eppure la piccola folla che si era assiepata nella piazza del Campidoglio non si disperse né ripiegò le bandiere dei sei Paesi che stipulavano i Trattati: Italia, Belgio, Francia, Germania occidentale, Lussemburgo, Olanda.
Sui giornali dell'epoca si faceva riferimento alle ridotte dimensioni geografiche dell'organismo che nasceva. Il "Corriere della Sera" titolava: "Il primo governo provvisorio della 'piccola Europa' istituito a Roma". Eppure il termine Europa era stato scelto consapevolmente a indicare la vocazione continentale della Comunità e l'ansia di superamento della frattura che si era determinata con l'alzarsi della "cortina di ferro".

De Gasperi, padre dell'Europa
L'Italia era rappresentata dal Presidente del Consiglio Antonio Segni e dal ministro degli Esteri Gaetano Martino. Non era, purtroppo, presente alla cerimonia Alcide De Gasperi, uno del Padri dell'Europa unita, che si era spento nel 1954, proprio mentre la Francia si apprestava a silurare la Comunità Europea di Difesa che avrebbe dovuto costituire il primo nucleo della Comunità.
È sua la visione delle istituzioni dell'Europa unita: anche a lui va il merito della firma di quei primi Trattati, dopo la comprensibile battuta d'arresto seguita al voto negativo di Parigi.
Diceva De Gasperi (Strasburgo, 10 dicembre 1951), che l'obiettivo dell'integrazione europea era il superamento della "funesta eredità di guerre civili", quell'alternarsi di aggressioni e rivincite, di spirito egemonico, di avidità di ricchezza e di spazio, di anarchia e di tirannia che ci ha lasciato la nostra storia, per il resto così gloriosa. Ed era la lotta "contro quei germi di disgregazione e di declino, di reciproca diffidenza e di decomposizione morale" per salvare "con noi il nostro patrimonio di civiltà comune e di esperienze secolari".

L'Europa 50 anni dopo: un faro di pace e di democrazia
Un obiettivo pienamente conseguito. Da allora in Europa non ci sono state più guerre e il vecchio Continente agisce positivamente, e con qualche efficacia, contro i conflitti al di fuori dei suoi confini, a cominciare dai Balcani (anch'essi in Europa), e anche più lontano: in Medio Oriente, in Afghanistan, in Africa, in Estremo Oriente. Nonostante i successi solo parziali negli scacchieri più a rischio del pianeta, l'Europa rapresenta un grande fattore di stabilità e di pacificazione a livello mondiale. Il "modello europeo" di esportazione pacifica della democrazia - con il dialogo, la cooperazione economica, la difesa dei diritti umani, la tolleranza - si è rivelato alla lunga più efficace di ogni altro, perché, anche nella sua politica estera, l'Europa unita ha utilizzato il metodo indicato dallo statista trentino.

Già allora per De Gasperi i sei Paesi che avrebbero firmato i Trattati di Roma, quella "piccola Europa", erano solo "il nucleo centrale di un'associazione più vasta che si svilupperà attorno ad essa". Egli vedeva una "Unità politica comune", governata da "un'autorità politica centrale" in grado di resistere alle "tendenze separatiste e individualistiche" sempre in agguato, a partire dal superamento della divisione in due dell'Europa del dopo seconda Guerra mondiale. Per combattere queste tendenze e per preservare la sua tradizione, già da allora, nel dopoguerra, l'Europa democratica si faceva carico del peso, anche economico, dell'integrazione di quei paesi in cui la dittatura politica aveva compromesso anche la crescita economica e sociale delle popolazioni.

L'Unione economica e monetaria
Cinquant'anni dopo quel 25 marzo 1957, gli obiettivi di allora sono in buona parte stati realizzati, e soprattutto sono ancora validi. La dimensione economica dell'Europa, ha fatto passi da gigante e, con l'adozione dell'Euro, ha compiuto un salto di qualità gigantesco.
Dal 1 gennaio 2008 l'Euro è moneta comune di quindici dei 27 Stati dell'Unione; l'Eurozona conta oltre 317 milioni di abitanti, e con i cittadini dei Paesi terzi che utilizzano divise legate all'Euro si sale ad oltre 480 milioni di persone, non tutte in condizioni di eguaglianza sul piano economico e sociale.
Tuttavia, la forza dell'Euro sui mercati e la contemporanea debolezza del dollaro, se sta trasformando in alcuni casi significativi la moneta europea in valuta di riserva, sta anche creando problemi alle nostre esportazioni. Ma, se è crisi, si tratta di una crisi di crescita, non di un declino.
È vero che il Regno Unito, rimasto fuori dall'area euro, presenta parametri economici migliori di molti paesi dell'Eurozona, e che Londra resta una piazza finanziaria preminente, ma ciò è dovuto soprattutto a tre concomitanti fattori: il positivo retaggio dell'impero coloniale, le cui strutture commerciali e produttive mantengono l'antica efficacia nel Commonwealth; il permanente rapporto privilegiato con gli Stati Uniti rispetto all'Europa, pagato però pesantemente sul versante della politica internazionale (vedi il disastro iracheno e lo stallo del processo di pace in Medio Oriente); e, non ultimo, la scoperta di importanti giacimenti petroliferi nel Mare del Nord.

Dal Mercato unico all'Unione
La Comunità economica si è trasformata, con l'Atto unico del 1987, in Mercato unico interno. La dimensione politica, diventava realtà con il Trattato di Maastricht (1992), che alla Cooperazione economica aggiungeva i "pilastri" della cooperazione in materia di Difesa e di Giustizia e Affari interni. Intanto con il Trattato di Nizza (2001), si è avviata la macchina per la ridefinizione del funzionamento delle istituzioni comunitarie necessarie a garantire il buon governo dell'Unione.
In questi cinquant'anni, l'Europa è passata da sei a 27 Stati membri; i suoi cittadini sono quasi 500 milioni. Di questi, poco meno di 30 milioni sono immigrati "stranieri", che salgono a 50 milioni se si includono anche quelli naturalizzati nei rispettivi paesi di residenza. Insomma, i cittadini del mondo sono cittadini dell'Europa.
Con il Trattato di Amsterdam (2 ottobre 1997), e gli Accordi di Schengen, si è creato uno "spazio europeo comune" di libera circolazione dei cittadini di trenta Paesi europei (Stati membri e Stati terzi). Con il rafforzamento dei controlli alle frontiere esterne dello "Spazio Schengen" si instaura una collaborazione più stretta tra le forze di polizia interessate.
Le procedure degli accordi di Schengen sono state chiamate polemicamente in causa, proprio in Italia. Recenti gravi fatti di cronaca hanno posto problemi di sicurezza e la necessità di maggiori controlli e migliore collaborazione. Sul problema sicurezza occorre ricordare il recente richiamo del Capo dello Stato ad utilizzare "la chiave cooperativa e non conflittuale", ricercando in Parlamento quel "comune sentire" che può aiutare a trovare la soluzione migliore e sollecitando una maggiore assunzione di responsabilità da parte dell'Europa, perché è solo qui che i problemi posti dalla nuova immigrazione possono trovare adeguata soluzione.
Grazie a Schengen, comunque, con l'ingresso della Slovenia nell'area, si avvieranno le procedure per dar vita all'Euroregione, un territorio economicamente e socialmente integrato tra Friuli, Veneto, Carinzia, Slovenia e, domani, anche l'Istria. Dove fino a quindici anni c'erano presidi di carri armati ci sono ora sedi di collaborazione transfrontaliera in settori come il commercio, il turismo, l'economia, l'ambiente.

L'Europa: unità nella diversità
Dal punto di vista demografico, sociale ed economico, l'Europa è un'area prevalentemente omogenea, anche se non parla la stessa lingua, non ha lo stesso clima, non condivide costumi, abitudini, modi di vivere. L'essere europei è un segnale comune di identificazione. La specificità europea sta però nel fatto che ogni Stato membro mantiene intatta la propria cultura, le tradizioni, il sistema giuridico, la lingua; e in alcuni paesi anche la moneta.
Questa unità nella permanente diversità comporta problemi e difficoltà.
Governare l'Europa, è un esercizio utile e complesso. Occorre puntare su valori comuni - libertà, democrazia, uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, Stato di diritto - e su strategie condivise: sviluppare il ruolo del parlamento europeo e dei parlamenti nazionali; promuovere l'integrazione e la convergenza delle politiche fiscali, del lavoro e dell'occupazione; affrontare le sfide della globalizzazione e dei cambiamenti climatici. Impegni che solo una comunità sovranazionale può affrontare con speranza di successo, mentre la competizione internazionale si accentua sempre di più.

L'Unione politica
Fin dall'inizio il criterio democratico è stato alla base dell'allargamento dell'Europa comunitaria: nel 1981, quando entrò la Grecia, nel 1986 quando fu la volta di Spagna e Portogallo, fino al 2004 (ingresso di Repubblica ceca, Estonia, Ungheria, Lettonia, Lituania, Polonia, Slovacchia e Slovenia, insieme a Cipro e Malta) e al 1° gennaio 2007, quando entrarono Bulgaria e Romania.
Democrazia e Stato di diritto sono i requisiti richiesti per le nuove adesioni perché sono i valori fondanti dell'Europa.
Naturalmente molto c'è ancora da fare - l'Europa può fare solo ciò che i governi dei suoi Stati membri le consentono di fare, per questo la governance europea è un esercizio complicato -, ma poiché l'Europa è nata e si è sviluppata grazie ad un atto di volontà politica, l'ottimismo è e resta obbligatorio per tutti.

L'espansione dell'Europa e il Trattato di Lisbona
La dimensione politica dell'Europa si sta sviluppando anche se non mancano passi falsi e battute di arresto: il blocco del Trattato costituzionale provocato dai referendum francese e olandese del 2005 e l'ostilità della Polonia, che ha tenuto a lungo in stallo le istituzioni europee, vinta solo con le recenti elezioni, quando i polacchi hanno ribadito la scelta europeista.
Il blocco del Trattato intanto veniva via via superato, e oggi un nuovo documento, concordato il 19 ottobre a Lisbona, si propone di riformare i Trattati precedenti rafforzando la capacità d'azione dell'Unione, accrescendo l'efficienza e l'efficacia delle istituzioni comunitarie e dei meccanismi decisionali, per rispondere alle sfide globali e alle attese dei cittadini europei: cambiamento climatico, sicurezza energetica, terrorismo internazionale, criminalità organizzata transfrontaliera, immigrazione e futuri allargamenti.
Il Trattato di Lisbona modifica i precedenti strumenti internazionali (il Trattato sull'Unione europea e il Trattato istitutivo della Cee) mantenendo le principali acquisizioni del testo elaborato dalla Costituente in materia di democrazia, libertà, diritti della persona, uguaglianza e Stato di diritto. Valori enunciati nel Preambolo e negli articoli 2 e 3 del Trattato. L'obiettivo, ha detto il Presidente Napolitano ricordando Altiero Spinelli, altro grande italiano Padre dell'Europa, è di impostare "la chiara visione di un'Europa politica", e di "trasformare l'Europa a 27 in un soggetto politico unitario, capace di agire in modo coeso ed efficace sulla scena internazionale".
Purtroppo il solo a partire dal 2014 sarà possibile il voto a maggioranza qualificata (il 55% degli Stati che rappresentino almeno il 65% della popolazione) necessario per snellire i lavori. Il Presidente del Consiglio europeo sarà eletto per due anni e mezzo dai Capi di Stato e di governo, e assicurerà la continuità del governo dell'Unione; il Presidente della Commissione sarà eletto a maggioranza dal parlamento europeo. Uno dei vicepresidenti avrà anche l'incarico di "Alto rappresentante" per gli Affari esteri. In questo modo, il problema della rappresentanza dell'Unione, sia nei confronti degli Stati membri che dei paesi terzi e degli organismi internazionali, potrà essere risolto meglio: l'Unione parlerà con una sola voce in politica estera e sarà meglio attrezzata anche per far fronte alle ulteriori richieste di nuovi ingressi.

Anche la Turchia bussa alle porte dell'Europa
Fra gli Stati che bussano alle porte dell'Europa c'è la Turchia, che ha già lo status di Paese candidato all'ingresso nella Ue. Le trattative sono in corso da tempo: il governo di Ankara sollecita una positiva e rapida conclusione; da parte europea ci sono posizioni divergenti (la Francia di Sarkozy è contraria, altri Stati sono più disponibili). L'Italia spinge perché il governo turco sia incoraggiato a progredire in materia di libertà interne, di rapporti internazionali (la questione di Cipro), di diritti delle minoranze per adeguarsi agli standard europei.
Che un Paese grande e popoloso come la Turchia, di religione islamica, cerniera naturale fra Europea, Asia e Medio oriente, chieda insistentemente l'ingresso nell'Unione è, comunque, di per sé, la riprova del successo dell'Europa comunitaria.

Più avanza l'allargamento, più occorre che al centro resti un nocciolo duro che faccia da motore e da esempio di integrazione e di convergenza. È già successo con l'Euro, che è stato un forte volano di integrazione economica e di stabilizzazione finanziaria. Di converso, il processo di integrazione progredisce quando il "nocciolo duro"sa superare le logiche "nazionali". La storia dimostra che è un errore "usare" l'Europa a fini di politica interna, come è accaduto in Francia quando, nel sottoporre a referendum il Trattato costituzionale, il Presidente Chirac era alla ricerca di una nuova legittimazione nazionale, che non ebbe. Una battuta d'arresto durata due anni e superata grazie alla presidenza di Germania e Portogallo, e agli elettori polacchi, che hanno rimesso l'Europa in carreggiata.

Le prossime scadenze dell'Europa
Il Trattato di Lisbona sarà firmato dai Capi di Stato e di governo al vertice che concluderà la presidenza portoghese. L'impegno degli Stati membri è di ratificarlo entro la scadenza del mandato del Parlamento europeo in carica (primavera 2009).
A gennaio 2008 inizierà il semestre di presidenza sloveno. Poi toccherà alla Francia preparare un anno cruciale per l'Unione. Nel 2009, infatti, ci saranno le elezioni del nuovo Parlamento, che nascerà con poteri e competenze accresciuti, si eleggeranno la nuova Commissione, il Presidente e l'Alto rappresentante per la politica estera e la sicurezza. L'Europa comincerà a parlare ad una voce. Nel quinquennio successivo sarà ridotto il numero dei membri della Commissione: non più uno per ogni Stato, ma un organismo più snello ed efficiente, un vero Esecutivo europeo.

Il ruolo dell'Italia
L'Italia, che è tra i Paesi fondatori, non ha mai mancato di marcare con la sua presenza i momenti di snodo della crescita dell'integrazione: presente alla firma dei Trattati; presente con entusiasmo quando il Parlamento europeo fu eletto a suffragio universale; entrata nell'Euro fin dall'inizio. Abbiamo, insomma, le carte in regola. Eppure ci sentiamo sempre come sotto osservazione, quasi ossessionati dal timore di essere esclusi dalla "cabina di regia" europea. Anche recentemente, dopo le elezioni presidenziali francesi, quando si è ripristinato l'asse Parigi-Bonn, che è da sempre uno dei cardini dell'Europa comunitaria.
Il ruolo in Europa dell'Italia dipende da ciò che noi italiani, il nostro governo, i nostri rappresentanti nel Parlamento, i nostri Commissari, il nostro sistema produttivo sapranno essere, e da come questo complesso "sistema Italia" saprà rappresentarci. Naturalmente, va rafforzato il sistema politico ma soprattutto va perseguito un modo meno instabile di porci nelle relazioni internazionali.
L'asse Parigi-Bonn resta certamente importante, ma l'Europa a 27 non potrà essere l'Europa carolingia, che era già una "piccola Europa" cinquant'anni fa. Il nocciolo duro coincide da sempre con gli Stati fondatori, e il ruolo dell'Italia è storicamente stabilizzato. Soltanto il prevalere di meschini interessi politici nazionali potrebbe ridimensionarlo, e sarebbe un danno per l'intera Unione e per il ruolo che essa gioca nel mondo.
L'Europa deve essere, per noi italiani, un interesse comune, vitale. D'altra parte, restare nel nocciolo duro dell'Europa, soprattutto avendo adottato l'Euro, non può essere una concessione. Occorre disciplina di bilancio e certezza di processi decisionali; anche per questo le riforme sono indispensabili. Ecco, dunque, che politica interna, riforme, politica europea, si collegano l'una con le altre. Per tutti noi aumentano le responsabilità, ma aumenta anche la possibilità di successo. Perché più passa il tempo dell'Europa, meno saremo soli.

 

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Num 76 Gennaio 2008 | politicadomani.it