Pubblicato su politicadomani Num 75 - Dicembre 2007

Editoriale
Morire di lavoro, oggi come 100 anni fa

 

Monongah (Stati Uniti), 6 dicembre 1907. Nelle miniere n°6 e n°8, gestite dalla Fairmount Coal Company, una serie di esplosioni causano un'ecatombe di vite umane. Le miniere erano collegate al terreno circostante da ponti di acciaio e da un labirinto di tunnel sotterranei. La struttura sotterranea crollò sotto una massa di pietre, metallo e legno. Un vero e proprio terremoto, che scosse la terra per oltre 13 kilometri, spazzando via case e strade, persone e animali, e sradicando addirittura le rotaie della locale stazione ferroviaria. L'esplosione distrusse il sistema di ventilazione, causando una fuoriuscita di gas mortale che rimase intrappolato sotto le miniere.
Secondo le cifre ufficiali morirono in totale di 362 uomini e ragazzi, di età compresa fra 13 e 50 anni, in gran parte provenienti dall'Abruzzo, dalla Calabria, dal Molise e dalla Campania. Una corrispondenza da Washington del 9 marzo del 1908 (al termine, cioè delle inchieste sulla tragedia) parla di quasi mille morti: "il bilancio dello scoppio della miniera di Monongah avrebbe raggiunto un totale di 956 vittime, la maggioranza delle quali era italiana...". Le vittime italiane riconosciute provenivano da San Giovanni in Fiore, Castrovillari, San Nicola dell'Alto, Falerna, Gizzeria, Civitella Roveto, Duronia, Civita d'Antino, Canistro, Torella del Sannio ed altre cittadine della Campania, Calabria, Abruzzo e Molise.
Una tragedia "dimenticata" peggiore di quella di Marcinelle dove, l'8 agosto del 1956, nella miniera Bois de Crazier, morirono in 262, di cui 136 italiani.
Morire sul lavoro, per mancanza di sistemi di sicurezza, cento anni fa a Monongah nel 1907. Cinquanta anni fa a Marcinelle, nel 1956. E oggi, 2007, a Torino, nelle acciaierie della ThyssenKrupp.

 

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