Pubblicato su politicadomani Num 75 - Dicembre 2007

Intervista a Marco Vitale
Contro i "pecorari" e la nuova mafia un patto etico per fare buona economia
Alla base degli intrecci fra mafia, politica ed economia che impediscono al Sud e all'Italia tutta di svilupparsi dispiegando le proprie enormi potenzialità ci sono la cattiva economia e la gestione supercentralizzata delle regioni e dei comuni, in aperta violazione del principio di sussidiarietà sancito dalla Costituzione

di Maria Mezzina

PROF. VITALE, IN UN RECENTE CONVEGNO A CATANIA LEI HA PARLATO DI MAFIA DEI "PECORARI". CI PUÒ SPIEGARE DI COSA SI TRATTA?
Ho usato questa espressione per tradurre il termine "viddani" (cioè del contado) con il quale la mafia stessa denominava i corleonesi. La mafia dei "pecorari" è la mafia del pizzo, quella del Racket e degli appalti; è la mafia che si combatte nelle guerre di mafia; è quella dei Provenzano, che vive nella miseria pur di avere potere e comando. È quella responsabile degli eccidi di Dalla Chiesa, della moglie e dell'agente di scorta Domenico Russo, dell'assassinio di Pio La Torre, che ha pagato con la vita la legge che colpisce i patrimoni dei mafiosi, da lui voluta, e che senza il suo assassinio probabilmente non sarebbe mai stata approvata. È la mafia che sentendosi minacciata da uno Stato, che fino al 1982 diceva che la mafia non esiste, (il reato di associazione mafiosa fu introdotto infatti solo nel 1982 dopo l'eccidio di Dalla Chiesa) ha ordinato le stragi del 1992 contro i giudici Falcone e Borsellino e gli uomini della scorta. Contro questa mafia si sono finalmente risvegliate le coscienze. È del 1993 il famoso discorso di Agrigento del Pontefice, la prima condanna pubblica della mafia, definita struttura di peccato, da parte dei vertici della Chiesa. Le stragi hanno scatenato la tenace, rabbiosa, competente reazione dei reparti specializzati delle forze di polizia che insieme a valorosi magistrati hanno ingaggiato una battaglia militare-giudiziaria che ha raggiunto importantissimi risultati: fino a sgominare, in questi giorni, con abilità di intelligence, sofisticazione tecnologica e grande dedizione, i capi della mafia dei "pecorari"che da quaranta anni teneva in pugno la Sicilia.

QUALI SONO LE CARATTERISTICHE DELLA NUOVA MAFIA E QUALI SONO I SUOI INTERESSI DOMINANTI?
Livio Abbate e Peter Gomez ci forniscono un grande, impressionante affresco delle incredibili connivenze politiche, bancarie, imprenditoriali, professionali, sociali, di cui hanno goduto i boss mafiosi negli ultimi decenni. "Davvero Cosa Nostra senza la politica, senza le coperture istituzionali, senza il controllo ferreo del voto e delle gare di appalto, è solo un'arcaica banda di assassini ed estorsori destinata ad essere cancellata dal tempo e dalla storia" [dalla introduzione di "I complici", Fazi Editore, 2007].
Leo Sisti, storico cronista dell'Espresso denuncia gli intrecci tra economia-politica-mafia sulla base di una rigorosa documentazione [Leo Sisti, "L'isola del tesoro", Bur, 2007], e la rete di complicità ad alto livello concentrandosi soprattutto su personaggi fondamentali come Bernardo Provenzano e Vito Ciancimino, il sindaco del sacco di Palermo. Leader insieme a Lima della corrente politica "Primavera" che faceva capo ad Andreotti, definita dal generale Dalla Chiesa pochi giorni prima di morire la corrente politica più inquinata esistente in Italia, è stato eletto sindaco due volte, nel 1964 e nel 1970, dopo che era stato assessore ai lavori pubblici dal 1959 al 1964. Sono stati quindi i palermitani a firmare essi stessi, a larga maggioranza, il sacco di Palermo e la distruzione irreversibile della sua mitica bellezza ed identità. Dopo avere affondato le mani nell'edilizia, negli appalti e nella politica Ciancimino si è cimentato sui temi dell'energia, sollecitato dalla crisi energetica. Ed è proprio su questi temi che il "business" della mafia, ben radicato a Palermo, spazia sul piano internazionale da Londra a Ginevra, agli USA, a Montreal, a Mosca.
"Il boss della nuova mafia deve conoscere molte lingue, deve avere rapporti internazionali, deve sinanco apparire ed essere contro la mafia. Un tipo insospettabile sarebbe ideale per essere il capo della mafia". L'idea di mafia fatta di pastori e di lupare conta sempre meno; la mafia che minaccia il nostro paese è quest'altra, fatta di tipi insospettabili. "Forse, in futuro, potrà accadere che l'Italia se ne liberi in quanto l'Europa, della quale l'Italia è parte integrante, comprende che può forse sopportare il vecchio mafioso alla Riina ma le banche di Francoforte non possono sopportare il nuovo mafioso…". [da "Leoluca Orlando racconta la mafia" a cura di Pippo Battaglia, Utet, 2007]

IN CHE MODO È POSSIBILE COMBATTERE QUESTA NUOVA MAFIA?
Per prevenire la nuova mafia vi è una sola proposta seria: promuovere un grande patto etico. Non è pensabile che soltanto con la legge si possa garantire la irreprensibilità di un sistema politico sociale. Sono necessarie nuove leggi che puniscano le nuove forme di criminalità. L'esperienza degli articoli bis, della Rognoni-La Torre lo dimostrano. Ma non bastano. E non basta nemmeno prevenire, o seguire, l'evoluzione del potere criminale politico e sociale nel nostro paese. Orlando dice: "Se ci fermiamo soltanto a creare un sistema formale di leggi, senza che vi sia un pari sistema etico, non raggiungeremo il nostro obiettivo. Io propongo di applicare in politica le stesse regole che vigono nella finanza internazionale. Regole non scritte, senza che necessariamente il disattenderle configuri un reato. Sono regole etiche. Alla mafia può non importare nulla delle leggi penali studiate per colpirla, dei magistrati che la perseguono e dei poliziotti che fanno le indagini. La mafia ha paura, soprattutto, di uno Stato che si fonda su norme etiche condivise da tutti. Soltanto una comunità, che si fonda su un'etica condivisa, potrà isolare e sconfiggere la mafia". Le forze dell'ordine e della legge sanno combattere e vincere quando non ci sono freni, coperture, depistaggi politici. E hanno vinto una loro importante battaglia. Ma perché questa vittoria si consolidi e si possa, un giorno, dichiarare vinta la guerra, è necessario che essa si saldi con un nuovo costume civile, professionale, politico, economico.
Il punto centrale è che le mafie e tutte le forme di degenerazione criminale fioriscono nell'intreccio diabolico fra cattiva economia, statalismo, partitocrazia e sperpero del denaro pubblico. Guai a sottovalutare la malavita, la sua forza e i suoi addentellati con la politica e con l'economia. Già altre volte si sono ottenuti risultati militari positivi ma la mafia ha saputo tessere nuove alleanze protettive e ricuperare così il terreno perduto. Non dobbiamo dimenticare che il parlamento, la commissione antimafia, numerosi consigli regionali, molti consigli comunali e provinciali sono frequentati da persone elette con i voti della mafia e che, quindi, alla mafia devono rispondere. Ma oggi, come non mai, è vero quello che, tanti anni fa, mi disse Falcone: se volete aiutarci fate buona economia.

CHE COSA SIGNIFICA "FARE BUONA ECONOMIA"?
Fare buona economia vuol dire, innanzi tutto, dare risposte positive, investire, creare occupazione giovanile, innovare, battersi contro le inerzie e i ritardi, spesso ignobili, delle pubbliche amministrazioni. Ma poi vuol anche dire individuare, resistere, attaccare le forme della mala economia. Fare buona economia deve essere oggi la parola d'ordine per tutti gli operatori economici e professionali.

DOV'È CHE SI CONCENTRA LA "MALA ECONOMIA" DI STAMPO MAFIOSO?
La mala economia si concentra in primo luogo in una gestione dell'economia e della finanza supercentralizzata, come avviene a livello regionale, soprattutto in Sicilia, Campania, Calabria. John Stuart Mill (1806-1873) diceva: "I mali cominciano quando, invece di fare appello alle energie e alle iniziative di individui e di associazioni, il governo si sostituisce ad essi; quando, invece di informare, consigliare e, all'occasione, denunciare e imporre dei vincoli, ordina loro di tenersi in disparte e agisce in loro vece". Il principio di sussidiarietà è affermato nella nostra Costituzione, e perciò il centralismo economico-finanziario è anticostituzionale. Le modalità di gestione delle regioni Sicilia, Calabria, Campania, quindi, per radicale mancato rispetto del principio di sussidiarietà sono semplicemente e platealmente fuori dalla Costituzione.
È mala economia la pratica del pizzo, che è la forma più odiosa e soffocante di controllo del territorio, e la manipolazione degli appalti, altro fronte decisivo ed in relazione al quale vi è ancora moltissimo da fare.
È mala economia l'edilizia di rapina e il consumo del territorio: un'area nella quale i metodi mafiosi si stanno diffondendo sino nelle alte valli alpine, passando per Milano il cui sviluppo urbano e territoriale è in mano ad un pugno di speculatori immobiliari capeggiati dal siciliano Ligresti.
C'è mala economia nella sanità. Sottrarre alle influenze mafiose la gestione della sanità e della spesa sanitaria (la maggior spesa corrente delle regioni) è diventato di assoluta importanza in alcune regioni, compresa la Sicilia.
C'è mala economia nella corruzione endemica, fonte prima dello scandaloso sperpero di spesa pubblica, che è diffusa in tutto il territorio e nei luoghi più diversi, in misura sconosciuta negli altri paesi europei avanzati (come il libro mastro dei Lo Piccolo prova).

COSA SI PUÒ FARE?
Occorre sostenere in tutti i modi il Commissariato anti-corruzione, ora che è finalmente guidato da persone non solo capaci ma determinate e impegnate. La sua funzione di monitoraggio, prevenzione, studio, proposta, propulsione che può svolgere è essenziale soprattutto in questa fase storica, e occorre sostenere la sua richiesta di poteri più adeguati, e farlo crescere in visibilità e rispetto,
Bisogna anche ritornare a scegliere chi ci governa. anche in base al rischio-mafia. È questo un punto fondamentale di cui, con queste parole: "Vi è stata una delega totale e inammissibile nei confronti della magistratura e delle forze dell'ordine ad occuparsi esse sole del problema della mafia…" parlava Paolo Borsellino nel 1989. Inoltre, diceva ancora Borsellino, c'è un equivoco di fondo: se un certo politico è vicino alla mafia, se è stato accusato di avere interessi convergenti con la mafia, ma non è stato condannato non potendo la magistratura accertare le prove, non è possibile dire che è onesto. La mancanza di certezza giuridica non rende automaticamente l'uomo degno di far parte delle istituzioni. "I consigli comunali, regionali e provinciali avrebbero dovuto trarre le dovute conseguenze da certe vicinanze sospette tra politici e mafiosi, considerando il politico tal dei tali inaffidabile nella gestione della cosa pubblica.".
Fondamentale è anche un intervento forte, determinato e rapido sui patrimoni. A questo scopo è vitale istruire a una squadra impegnata nelle confische dei beni della mafia, che sia dotata di poteri reali capaci di perforare la cortina di protezione che la burocrazia e parte della giustizia, intenzionalmente o per semplice negligenza e formalismo, finiscono per alzare intorno a questi beni. Una forza di intervento sui patrimoni che è altrettanto importante dell'intervento militare.

È UNA QUESTIONE CHE RIGUARDA PRINCIPALMENTE IL SUD?
No, guai pensare che questi pericoli siano confinati o confinabili nel Sud. Essi sono tra noi, ovunque e comunque, anche se non sempre con le stesse modalità e con la stessa intensità. Per questo dobbiamo combatterli insieme. Io ho avuto modo di osservare, come in un laboratorio, la nascita del perverso circuito in una valle alpina in passato immune da questi mali: denaro pubblico distribuito in eccesso con la scusa di un grande evento sportivo, abusi di operatori per appropriarsene, condiscendenza dei pubblici amministratori e conseguenti opere pubbliche devastanti; potere giudiziario passivo e latitante, scoraggiamento della popolazione che si sente perduta ed in balia delle forze del male, tentativi di ribellione da parte di singoli, primi segnali di violenza per punirli. Nessuno ed in nessun luogo può sperare di essere immune da questo circuito perverso.

È AL SUD PERÒ, DOVE LA MAFIA È NATA, CHE È PIÙ DIFFICILE COMBATTERLA. UNA MAFIA ANTICA, RADICATA E IN ESPANSIONE. COSA SI PUÒ FARE AL SUD?
Dobbiamo sostenere ed essere vicini a quella parte della popolazione che si ribella, e soprattutto ai giovani. Senza un guerra di liberazione, non ci può essere sviluppo di sorta.
Ai giovani coraggiosi delle forze dell'ordine noi dobbiamo riconoscenza e affetto, ma dobbiamo mostrare ciò concretamente e urlando che su queste forze non si risparmi; che, quando cadono, le loro famiglie siano aiutate, subito e senza doversi umiliare; che ci sia la benzina e tutto il resto. In altri campi si può risparmiare, negli sprechi immensi che si fanno per mantenere le clientele, per esercitare il "pizzo" del voto, non qui. Qui bisogna investire, e tanto e farlo sapere.
Ed ai giovani in generale dobbiamo dire: scendete in campo, mettete la vostra giovinezza e il vostro entusiasmo al servizio della buona causa, non state a guardare come va a finire, mettetevi alla stanga come disse De Gasperi ai giovani democristiani del suo tempo che criticavano la conduzione del partito.
Niente e nessuno può fermare l'energia di un popolo che decide di liberarsi. Le forze speciali di polizia e valorosi magistrati ci hanno dimostrato la verità delle parole di Falcone: la mafia è un fenomeno storico e, come tutti i fenomeni storici, ha un principio e può avere una fine.
Nel 2006, 123.000 giovani scolasticamente preparati hanno lasciato il Mezzogiorno. Certamente troppi.
Una recente inchiesta condotta a Napoli dice che il 40% dei giovani delle scuole medie superiori pensa che la camorra sia un bene perché fa lavorare. La buona economia deve rovesciare questa credenza suicida anche saldandosi e collaborando con chi opera nei quartieri con grande impegno e generosità.

A CHE PUNTO SIAMO, C'È SPERANZA?
I segnali incoraggianti non mancano. La presa di posizione esplicita degli imprenditori contro il pizzo che parte da Catania rappresenta una svolta. Il Teatro Biondo a Palermo pieno di gente per la manifestazione antiracket, mentre nel 2005 analoga manifestazione andò deserta, è una svolta. La popolazione e tanti giovani che applaudono le forze dell'ordine che hanno arrestato i Lo Piccolo ed il procuratore Grasso è una svolta. Nella pratica del pizzo la saldatura tra forze dell'ordine e la ribellione delle punte più avanzate e più coraggiose degli imprenditori sembra ben avviata: per la prima volta sono scese in campo, sul piano ideologico le associazioni imprenditoriali; sosteniamo in tutti i modi questa discesa in campo e pressiamo perché lo Stato la sostenga in tutti i modi.
Impegniamoci tutti insieme, Nord e Sud, strutture pubbliche ed operatori economici seri, imprenditori e operatori sociali, laici e sacerdoti, perché questa fine sia la più prossima possibile. Lavoriamo insieme per la buona economia e per il buon profitto contro la mala economia, il cattivo profitto, la cattiva società. C'è speranza, è possibile, ed è anche possibile vincere la buona battaglia.

 

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