Pubblicato su politicadomani Num 74 - Novembre 2007

"Lezione" di un economista alla CEI
Ripensare la democrazia
Le riflessioni del Prof. Zamagni sulla seconda delle tre parole che lui indica come chiave di interpretazione del "bene comune" nel XXI secolo

di A cura di Maria Mezzina

È stato a Pisa, il 19 ottobre scorso, nella settimana sociale della CEI, che si è fatta un po' di chiarezza sul termine "democrazia", e che è stata tracciata una possibile via per il superamento dello stallo e della crisi di identità in cui si dibatte da tempo la società italiana. hA aperto lo spiraglio Stefano Zamagni, nel suo intervento su "Il bene comune nell'era della globalizzazione".
Nella relazione - lunga, complessa, esaustiva - il Professore di Bologna parla di democrazia. La definisce e ne presenta i modelli. Esamina i motivi della crisi del modello storico, che è quello corrente. Espone i vantaggi dell'altro.
È quest'ultimo modello ad aprire le porte della speranza: c'è soluzione alla crisi della politica, ma occorre un cambiamento radicale di mentalità, di modo di vivere, di modo di intendere la partecipazione; è indispensabile un cambiamento di rotta nella amministrazione e nella burocrazia.
Dare spazio alla società civile significa fare delle scelte. Molte sono scelte di valori. Le altre, quelle che sciolgono i nodi, servono a non far morire le prime

 

Due modelli di democrazia
La democrazia fa marciare insieme libertà e giustizia sociale. Zamagni cita Bergson: "Così è la democrazia: proclama la libertà, rivendica l'uguaglianza e riconcilia queste due sorelle nemiche ricordando loro che sono sorelle".
Ma quale democrazia? Il professore parla di due modelli: quella che conosciamo da oltre cento anni, che ha segnato la storia dell'ultimo secolo, la democrazia rappresentativa, e quella sulla quale, invece, possiamo puntare per sperare di superare lo stallo e la crisi politica e istituzionale nella quale siamo caduti da tempo, la democrazia deliberativa.
La democrazia rappresentativa è stata, fino alla crisi attuale, lo strumento che ha fatto da motore al mondo occidentale. Parte della nostra storia e radicata nella nostra cultura, mostra da tempo i segni inequivocabili della decadenza. La via di uscita al declino sta nell'altro modello. Ma per capire la crisi del primo ed aprire al secondo è necessario chiarire alcuni passaggi.
La democrazia rappresentativa, spiega Zamagni, si fonda sul modello elitistico-competitivo che ha tre caratteristiche fondamentali:
- è un metodo di selezione di una elite che, essendo esperta, è capace di prendere le decisioni necessarie, date le circostanze;
- per evitare il rischio di degenerazione e abuso di autorità, il modello deve essere in grado di ostacolare gli eccessi di potere della leadership politica. i "granelli di sabbia" negli ingranaggi del potere sono dati dalla competizione fra i partiti;
- la misura del successo del modello è la crescita economica e il progresso della società.
Del tutto diverse sono, invece; le caratteristiche della democrazia deliberativa:
- la deliberazione può essere presa solo in relazione a cose sulle quali si ha il potere effettivo di decidere;
- la deliberazione è un metodo di ricerca della verità pratica. È incompatibile, quindi, con lo scetticismo morale e non può ridursi a pura tecnica senza valori, ad una semplice procedura per prendere decisioni;
- C'è sempre la possibilità dell'autocorrezione, di mutare opinioni e preferenze, in seguito alle ragioni addotte dall'altra parte. È quindi un metodo essenzialmente comunicativo incompatibile con chi è inchiodato alle proprie opinioni in nome di una ideologia o di interessi di parte.
Il "credo" della democrazia deliberativa è che il "ben essere" degli emarginati e degli ultimi non può dipendere dallo "Stato benevolente" o dalle istituzioni del "capitalismo compassionevole" - niente carità, quindi, né redistribuzione della ricchezza - ma deve essere il risultato di "strategie di inclusione nel circuito della produzione della ricchezza". È la filosofia del dare un amo e una lenza affinché il pescatore possa procurarsi da solo il cibo che dovrà nutrirlo.
Nonostante "i nodi teorici e pratici che devono essere sciolti", è questo in modello in cui è possibile trovare una soluzione alla crisi della politica che attraversa non solo il nostro paese (compromesso, corruzione, invadenza); perché nel modello la politica è pensata come attività aperta alla società civile.

Democrazia e valori
Rilevante è il fatto che non ci sia contrasto fra democrazia e valori assoluti. Un concetto ribadito anche da Benedetto XVI quando afferma, sostanzialmente, che la mediazione democratica fra posizioni diverse non è avulsa dal riferimento alla verità che ciascuna di esse rappresenta.
Spiega Zamagni:
Il principio democratico si regge su due pilastri: la partecipazione del cittadino elettore e la responsabilità personale di chi è stato eletto nei confronti dei suoi elettori.
Ora, però, con la globalizzazione si sono indeboliti tutti e due i pilastri. Si è logorato "il legame forte, all'interno dei singoli stati nazionali, fra democrazia e istituzioni democratiche". Nella realtà odierna ci sono, infatti, soggetti capaci di produrre norme vincolanti, anche per tutti. Soggetti senza territorio e senza doveri di responsabilità perché non eletti - associazioni e imprese transnazionali, come le multinazionali; organizzazioni non governative o intergovernative, come l'Unione Europea; organismi interstatali, come il WTO e il G8 - che tuttavia "prendono decisioni di grande rilevanza pratica".
A questa dilatazione di confini si contrappone invece un agire politico limitato allo spazio nazionale e al periodo breve (solo in vista delle elezioni successive), il cosiddetto "corto-termismo", che si disinteressa sia del contesto mondiale, sia dell'interesse delle generazioni future. Una politica miope fatta da incapaci, che è l'antitesi di una politica autenticamente democrazia che, invece, è "visione degli interessi lontani". Gli esempi non mancano, né all'estero, né da noi.
Anche il pilastro della partecipazione risulta da tempo gravemente compromesso. Ad ogni tornata elettorale mentre i programmi sono sempre più generici, vengono arruolati in numero sempre maggiore esperti i tecniche di persuasione che hanno il compito di "catturare (e spesso manipolare) le preferenze degli elettori. È la deriva economicistica della concezione della cittadinanza, a sua volta legata al dominio delle lobbies economiche a far sì che i cittadini siano indotti a svolgere un ruolo passivo nel processo democratico e in cui il dibattito elettorale è controllato da professionisti esperti.
La conclusione di quanto precede è che il modello di democrazia rappresentativa non è in grado, nelle attuali condizioni storiche, di generare e difendere quelle istituzioni economiche da cui dipende sia un elevato tasso di innovatività sia l'ampliamento della platea di soggetti che hanno titolo per partecipare al processo produttivo. La democrazia deliberativa, invece, mostra di essere all'altezza della situazione", spiega a chiare lettere Zamagni.

Democrazia deliberativa e "non-profit"
Quanto siamo lontani dalla realizzazione di una democrazia deliberativa? Non molto è la risposta che si deduce dalle argomentazioni del Professore.
Esiste infatti da tempo un mondo variegato di organizzazioni della società civile, il mondo del "non-profit", che è possibile distinguere nettamente in tre categorie. Le ibridazioni non mancano, ma in tutte prevale solo una delle categorie.
1. "Il modello più antico vede le organizzazioni non profit (ONP) come espressione forte e emanazione diretta della società civile: un libero coerire di persone attorno ad un progetto da realizzare assieme e per il perseguimento di interessi collettivi, ancorchè non universalistici".
Sussidiarietà orizzontale e condivisione della sovranità sono alla base di questo modello.
2. Ci sono poi ONP che fanno da sostegno della sfera pubblica, create e/o supportate, per esempio da sindacato, enti locali, IPAB, soggetti cioè collettivi-categoriali istituzionalizzati.
Sussidiarietà verticale con cessione di quote di sovranità è il principio regolativo del modello.
3. Di recente, infine, sono nate ONP che sono emanazione di soggetti for profit, come le molte espressioni della corporate philanthropy e le fondazioni d'impresa.
Vale per esse il principio di "restituzione": restituire cioè alla società parte del profitto ottenuto grazie anche al suo merito.

È aperto il problema del loro riconoscimento istituzionale. Il governo potrebbe decidere di favorire un solo modello (inevitabilmente, alla lunga, il terzo modello), oppure optare per un "non profit" plurale.
La questione è di primaria importanza.
Il Professore raccomanda la scelta del non-profit plurale per almeno due essenziali ragioni.
Il non-profit plurale è portatore di novità. Ha un "carattere emergenziale: pone cioè in discussione tutte le relazioni pre-esistenti tra i vari soggetti della società e lo stato. Non si limita, quindi, ad aggiungere relazioni a quelle già in esistenza, ma ne muta la natura.
Inoltre, le ONP creano valore sia strumentale sia espressivo. Il primo è misurato in termini dei risultati prodotti (di qui l'enfasi data agli aspetti organizzativi e manageriali: le ONP devono essere efficienti se vogliono essere sostenibili). Il valore espressivo, o simbolico, è misurato, invece, dalla loro capacità di produrre beni relazionali e soprattutto capitale sociale di tipo linking: la loro capacità, cioè, di dilatare gli spazi di libertà dei cittadini, i quali devono poter esprimere con le opere i valori o i carismi di cui sono portatori."

Dice Zamagni:
"Viviamo in una stagione in cui si annunciano grandi mutamenti del quadro legislativo per ciò che attiene il nostro Terzo Settore.
- La legge del 2006 che istituisce la figura dell'impresa sociale sta per entrare in funzione (i quattro regolamenti tuttora mancanti dovrebbero vedere la luce entro la fine dell'anno);
- la riforma della L. 266/1991 sul volontariato è già stata incardinata presso la Commissione XII della Camera dei Deputati;
- la bozza di riforma del Libro I, Titolo II del Codice Civile che riguarda specificamente le fondazioni e le associazioni sta per essere portata all'attenzione del Consiglio dei Ministri;
- l'Agenzia per le ONLUS sta predisponendo, in collaborazione con l'Agenzia delle Entrate, una proposta di legge volta a semplificare e rendere operativamente efficace il 5‰.
- La riforma della L. 47/1987 sulle organizzazioni non governative deve essere aggiornata).
Occorre adoperarsi per scongiurare il pericolo che, in assenza di un dibattito appassionato e civile sul "dove sta andando il non profit italiano", i provvedimenti che si annunciano finiscano con l'imporre, in modo surrettizio, un particolare modello, il che finirebbe col produrre effetti perversi e col provocare pesanti lacerazioni".

Società politica e società civile
Le scelte su questa materia sono figlie di due diversi modi di concepire il rapporto tra società politica e società civile che "oggi si stanno confrontando, e talvolta scontrando": la politica come "enterprise association" e la politica come "civil association". Due concezioni che hanno ambedue i loro punti di forza e di debolezza.
Spiega Zamagni: la prima presuppone una visione della società di stampo organicistico in cui alla politica spetta di guidare la società in una direzione determinata. Con i partiti assimilabili al management di una grande impresa che deve sforzarsi di armonizzare le richieste dei variportatori di interessi per governare l'impresa. L'altra concezione, invece, si rifà all'ideale liberal-democratico della politica per cui gli attori sociali e civili hanno un ruolo pari rispetto ai partiti sul palcoscenico della politica e non accetta essi occupino tutto lo spazio pubblico, senza scarti.
Due concezioni e due modi di interpretare il principio di sussidiarietà. Sussidiarietà negativa la prima: "mai privare dell'autonomia le unità sociali inferiori", una forma di tecnica di governo. Sussidiarietà positiva la seconda che è, invece, un principio di ordine morale perché postula "un dovere di aiuto che pone la sfera del sociale al servizio della persona".
È fattibile una democrazia deliberativa? È possibile cioè, oltre che auspicabile, che siano affidate alle organizzazioni civili alcune grandi decisioni come il governo del territorio, le grandi infrastrutture, la tutela dell'ambiente?
Zamagni risponde di sì e dà alcuni esempi di forme di partecipazione popolare di tipo deliberativo adottate in altri paesi: in Francia, con la legge sulla "democrazia di prossimità", che impone il dibattito pubblico per le decisioni di lunga durata; nel Nord America, dove si vanno diffondendo i "forum deliberativi" (nel senso descritto da J. Fishkin); in Gran Bretagna, con le "giurie cittadine" e le "commissioni civiche" recentemente promosse da Gordon Brown, che possono far valere le loro ragioni su questioni di pubblico interesse (sanità, infanzia, crimine, ...).

 

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