Pubblicato su politicadomani Num 74 - Novembre 2007

Briganti "contro"
Alle origini del brigantaggio nell'Italia Meridionale
Inizia con questo articolo uno studio sulle vicende che hanno visto il Sud della neonata Italia trasformarsi subito dopo l'unità, nel 1861, in una terra percorsa da violenze di ogni genere. Le cronache della seconda metà dell'Ottocento parlano di crudeltà e arretratezza culturale, ma questo fenomeno, che oltre al Sud ha interessato gran parte delle forze regolari piemontesi, è molto complesso ed ha origine da lontano

di Raffaele Gagliardi

Delineare gli aspetti storici, politici e culturali dall'anno 1000 alla fine del 700 che hanno dato vita al fenomeno del brigantaggio nell'Italia meridionale è impresa ardua, ma cercare di individuare i fenomeni salienti forse si può. Si potrebbe iniziare, come fa Alexandre Dumas, nel volume " I cento giorni di brigantaggio", dalla rivolta degli schiavi di Spartaco, risalente al periodo romano. Ma forse l'autore esagerava volutamente, nel suo rifarsi a Spartaco, per sottolineare che la ribellione contro "i piemontesi" si estese rapidamente alle zone meridionali della penisola a causa delle miserevoli condizioni di vita della popolazione. Ed è questo il vero punto di partenza della nostra indagine: la fame, il sottosviluppo, se è così, con questo termine, che vogliamo definire quello stato di povertà endemica in cui versava gran parte dell'Italia meridionale.
Il Sud dalle penisola era già sfruttato dai romani esclusivamente per il grano e per i soldati, che in gran numero venivano arruolati per la loro abilità, e che si arruolavano per sfuggire ai duri lavori agricoli. In seguito alla caduta dell'Impero d'Occidente e a causa delle guerre successive, prima fra tutte quella ultradecennale greco gotica, il meridione continuò ad impoverirsi: l'agricoltura, un tempo fonte di ricchezza e di sostentamento, finì per sparire o quasi. L'arrivo dei Longobardi prima e dei Normanni poi diede vita a dei regni abbastanza stabili, anche se in uno stato di guerra permanente. Fu allora che le attività economiche si ripresero: con Amalfi nacque la prima repubblica marinara e i ducati bizantini di Napoli, di Sorrento e di Gaeta, con i loro commerci resero possibile la nascita di liberi stati, precedendo di molto il fenomeno dei Comuni dell'Italia del Nord. Ma è proprio allora che, prendendo in prestito, ancora una volta, una definizione di Dumas, nasce il brigante come attività lavorativa. Soprattutto nelle aree interne, quasi prive di linee di comunicazione, i contadini, provati dalle asperità dei terreni montagnosi e dalle angherie dei feudatari, e, ancora, dai rigori invernali e dalle continue guerre, si danno alla macchia, compiono razzie e omicidi, per poi tornare ai lavori agricoli con la stagione propizia. È un fenomeno presente in tutto il mondo di allora. Un fenomeno che, addirittura, secondo il Monnier, nelle contrade della Campania è all'origine della camorra. Un fenomeno che risulta particolarmente rigoglioso nel periodo vicereale, tanto che il Duca d'Alcalà nel 1559 e il Conte Olivares nel 1595 hanno lasciato testimonianza delle loro direttive per arginarlo. Ed è durante questo periodo che agisce Marco Sciarra, che da semplice brigante divenne il vero padrone degli Abruzzi, sconfiggendo un esercito vicereale e divenendo oggetto di attenzione da parte degli altri stati italiani, interessati a disturbare il dominio spagnolo in Italia meridionale. Lo Sciarra era riuscito nel suo intento, soprattutto grazie allo stato di avvilimento in cui versava il viceregno spagnolo, gravato di tasse di tutti i tipi, tasse che servivano a finanziare le continue guerre cui era sottoposto l'Impero spagnolo. Nel corso del secolo successivo il duca d'Alba arrivò, persino, ad ordinare l'abbattimento delle case dei briganti, che già erano stati condannati a morte e la cui sentenza era già stata eseguita. Un rimedio estremo previsto per risolvere casi disperati, come tanti altri simili che si incontrano nella storia; e che, però, la storia stessa insegna che producono l'effetto contrario.
Appartiene invece al Settecento la figura di un certo Angiolino del Duca, un mito, un vero Robin Hood delle campagne meridionali che diventa brigante a causa di un torto subito. Racconta di lui Alexandre Dumas: "Era esso un povero contadino, che servivasi pel suo lavoro d'una mula appartenente al suo signore. L'animale morì, di vecchiezza probabilmente, ma il feudatario pretese che la morte fosse cagionata dalla fatica e ne volle il pagamento da Angiolino. Il povero diavolo era fuori stato di soddisfare questa esigenza, il signore fece vendere quanto il suo vassallo possedeva. Pazzo dalla collera, il giovine gettossi nelle montagne, v'incontrò alcuni banditi, si collegò con essi, ne divenne il capo, e da quel momento ebbe un pensiero solo, quello di vendicarsi di quei nobili, che avevan fatto di lui un brigante" (da "I Borboni di Napoli"). La sua stella durerà poco. In questo caso alla radice del fenomeno c'erano stati l'abuso di un feudatario e la complicità del potere statale.

 

Piccola bibliografia sul brigantaggio

Aldo de Jaco, "Il Brigantaggio Meridionale. Cronaca inedita dell'Unità d'Italia"
Editori Riuniti, Roma, agosto 2005 - 461 pagine (103 illustrazioni) - 16,00 euro
Pagine di storia documentaria della fine degli anni sessanta. Fondamentali per capire il fenomeno del brigantaggio e dei processi storici del meridione.
"Questa 'guerra' durò per circa cinque anni; difficile dire il giorno in cui essa cessò del tutto giacché, naturalmente, non fu firmato alcun armistizio. ...
Lo Stato appena sorto impegnò nella repressione dei 'reazionari' metà del suo esercito, circa 120.000 uomini. Il destino del contadino meridionale si delineava ormai nell'alternativa indicata da Francesco Saverio Nitti: o brigante o emigrante". (Dalla introduzione dell'Autore)

 

Homepage

 

   
Num 74 Novembre 2007 | politicadomani.it