Pubblicato su politicadomani Num 74 - Novembre 2007

Non solo teologia
Oltre la morte... la vita
Riflessioni di un teologo giornalista

di Giovanni Gennari

"Che sia questo morir, questo supremo scolorar del sembiante, e perir dalla terra, e venir meno ad ogni usata, amante compagnia?" (Leopardi). Cosa c'è, dopo la morte? Cos'è, questa "resurrezione"? E la vita eterna? Come mettere insieme Dio misericordioso e l'Inferno? Che dice, la fede, in tema? E di più se credenti e praticanti: da quanto tempo nelle omelie nessun prete ci parla di questo?

 

Il "dopo"? Così aggiri il tabù "morte", ma quella, ci pensi o no, ti viene addosso spesso. Di persona mi ha quasi agguantato quattro volte, due nel 1978, prima affogato in piscina e poi, cocciuto, in mare a Torvajanica salvato e rianimato a forza, e due in ospedale, 1956 e 1996, meningite tubercolare con sei mesi di coma e poi errore chirurgico in una celebre "clinica" di Roma. Salvo per un bacio di mia moglie. Mi trova "freddo" e avverte i medici appena in tempo: era un'emorragia interna. Affogando per due volte, prima di perdere i sensi, ho pregato così: "Gesù, perdonami se arrivo in modo così stupido, ma eccomi!" E due volte, primo e quarto attacco di "quella", ho avuto l'"unzione degli infermi". Parentesi: in vita tutti e sette i sacramenti! Non è frequente, pare…
"Quella" dunque per ora mi ha solo sfiorato, ma l'ho toccata "con mano" tante altre volte da vicino, e tenendo proprio la mano fino all'ultimo a più di 50 persone, soprattutto anziane donne in una "casa di riposo" di Roma. "Se mi tieni la mano non ho paura": sempre questa la loro lezione…Nessuna ha mai chiesto di morire. Ci pensi, chi svolazza leggero su eutanasia e dintorni…
Dunque sul morire e sul "dopo" in prospettiva cristiana e cattolica, che "traduca" la fede senza "tradirla" in risposta per oggi alle domande di sempre. Penso al monologo di Amleto - "morire, dormire, forse sognare…" - o al dolente Leopardi - "Che sia questo morir, questo supremo scolorar del sembiante, e perir dalla terra, e venir meno ad ogni usata, amante compagnia?". Cosa c'è, dopo la morte? Cos'è, questa "resurrezione"? E la vita eterna? Come mettere insieme Dio misericordioso e l'Inferno? Che dice, la fede, in tema? E di più se credenti e praticanti: da quanto tempo nelle omelie nessun prete ci parla di questo? Si dice che il discorso sui "Novissimi" del Catechismo, "morte, giudizio, inferno e paradiso", non regge più e il rimedio è continuare a credere senza domande, senza cercare di capire…C'è, la vita eterna, perché ce lo ha assicurato lo stesso Gesù risorgendo, tornando al Padre e dicendo che andava a prepararci un posto. Si dice che è mistero e restiamo nella pace della fede e della speranza seminata in noi dalla grazia dello Spirito Santo? No. Allora perché "qualcuno", pur competente in materia, dice che fede e ragione camminano insieme? "Credo per capire, e capisco per credere": aveva torto S. Agostino? E poi, se me lo chiedono che faccio? È ancora un dovere, quello ricordato da San Pietro, di "rendere ragione della speranza che è in noi". Allora ci si prova.

Prima domanda: cosa è morire?
Se non si trova un senso alla morte, ha scritto André Malraux, la vita intera rischia di perderlo…Anche se oggi della morte non si parla: roba di medici…E spesso anche certo pensiero cristiano pensa solo al dopo, saltandola. Ma del "dopo" si parla dopo. Prendiamo il "morire" come tale. Cosa è la morte? Che dice, la fede cristiana? In realtà due cose: che la morte è sia "una fine" e pena del peccato, sia "una sorella" - con S. Francesco - e addirittura "il fine" della esistenza stessa. San Paolo fa sintesi perfetta: morte "stipendio del peccato"(Rom. 6,23), "ultimo nemico" (I Cor. 11, 26), ma anche oggetto di desiderio: "Bramo essere sciolto (dalla vita terrena) per essere con Cristo" (Fil. 1, 23). Anche Gesù ha paura della morte, nel Getsemani - "si allontani da me questo calice" - ma ai suoi dice anche che vuole berlo, quel "calice", ed è in pena finché non lo farà…
Dunque due facce del morire, collegate, ma non identiche. E per andare avanti leggo di Lazzaro, Vangelo di Giovanni, capitolo 11. Era morto o no? Prima risposta ovvia: sì, "da quattro giorni, e già puzza". Lo dice anche Gesù: "Lazzaro è morto!" Ma prima aveva anche detto che "questa malattia non è per la morte…Lazzaro, l'amico nostro, dorme, e io vado a risvegliarlo"…Lazzaro è morto, ma non è morto…Come la mettiamo?
Così, con una ipotesi. E se quella realtà che noi chiamiamo morte avesse due dimensioni, distinte e diverse? Una è fisica, biologica, da mancanza di funzioni fino all'encefalogramma piatto, con data precisa: esaurimento delle energie vitali della persona concreta, accertabile con certificato legale…Di questa morte Lazzaro era morto, e da quattro giorni: morte come pena, come "fine", "ultimo nemico", sconfitta dell'energia vitale di ogni uomo. E Gesù richiama in vita questo Lazzaro "già morto da quattro giorni", che dopo qualche anno morirà un'altra volta di morte fisica, e sarà anche l'altra faccia, quella della morte come "sorella", come "fine" e compimento del "desiderio" di essere con Dio, ingresso nell'eternità e nella "gioia del suo Signore".

E allora?
Allora qui ecco la spinta di un grande santo e "dottore" della Chiesa, Giovanni Damasceno, vissuto tra VII e VIII secolo: "Hoc est hominibus mors, quod fuit Angelis temptatio" ("la morte è per gli uomini ciò che per gli Angeli fu la prova"). La scelta: o con Dio o contro di Lui…
Questo ripensare il morire non solo come "disfarsi" del corpo e della condizione storica, ma anche come scelta del farsi vita eterna in Dio - il Paradiso - o vita eterna senza Dio e contro Dio - l'Inferno - ci serve per andare avanti…In realtà troviamo fino dai primi secoli un filone di pensiero cristiano sul "morire" come scelta, opportunità, esame finale, possibilità di orientamento radicale in cui l'uomo ordina se stesso come mai prima, anche oltre i condizionamenti dovuti alla natura, alla geografia della sua nascita e vita concreta, alla situazione culturale e religiosa vissuta.
In questa prospettiva la morte "personale", non quella fisiologica, diventa "prova", "scelta", "opzione finale". Altri teologi nei secoli hanno seguito questa traccia. Tra essi il celebre cardinale Caietano, ai tempi di Lutero, e grandi nomi recenti, Von Balthasar, Rahner, Troisfontaines, Boros: morte come "opzione finale" dell'uomo, di ogni uomo, che nel suo morire "personale", distinto dal puro morire fisiologico, può vedere la realtà della sua vita, del mondo e di Dio in modo nuovo, e di fronte alla luce, alla verità, alla bontà, alla misericordia, alla giustizia, al bene offerti alla sua libertà vissuta in modo specialissimo ha la possibilità unica di orientare se stesso come mai prima…Ogni uomo! Anche chi non ha conosciuto Dio, anche i malati di mente che non hanno mai avuto pienezza di conoscenza e di libertà, anche i bambini morti appena nati o senza uso di ragione, anche chi ha vissuto in altre religioni o senza religione… Tutti! È verità di fede, del resto, che la salvezza è da Dio offerta a tutti: creduta da sempre, ma espressa dal Concilio nel concetto della "chiamata universale alla santità". La salvezza destinata a tutti giunge all'uomo in Gesù Cristo. È l'unica "predestinazione" che la fede consente e che è compatibile sia con la bontà di Dio che con la nostra libertà. Tutti chiamati a salvezza, anche i molti che non hanno mai potuto e non possono conoscere Cristo per qualsiasi ragione di tempo e luogo di nascita, educazione famigliare e culturale, ereditarietà di tendenze, condizioni di vita concrete, malattie ed eventi che condizionano anche gravemente la libertà.

L'aldilà oltre la storia
Ma se il morire è anche apertura di fronte alla nostra libertà di una prospettiva unica e nuova dell'amore di Dio, allora cambia anche il modo di vedere ciò che chiamiamo aldilà, oltre la storia. Mi pare un orizzonte aperto su una grande sorpresa. Ecco Paolo, prima Lettera ai Corinti 2, 9: "Occhio umano mai ha visto, orecchio umano mai ha udito, cuore umano mai ha potuto presagire quello che Dio ha preparato per coloro che lo amano".
La morte come scelta finale. Non solo teologia astratta. Molto pensiero moderno, da Heidegger - l'uomo "essere per la morte" - a Blondel, a Marechal, Camus, Bergson e altri, parla del morire con accenti simili.
Sarà, ma ecco subito la grande obiezione: allora salvezza scontata per tutti, anche Hitler e Stalin e chi ha segnato i secoli con ingiustizia e violenza, lacrime, torture e delitti rimasti impuniti! Alla fine la scelta comoda e via! Che bella trovata!
No. Provo a spiegarmi. Chi muore ha dentro di sé tutta la sua vita: le sue azioni sono la stoffa della sua realtà, peccati e virtù formano il suo "io", toccano tutto: sono lui! Pensi alla forza di inerzia: se in auto, a passo d'uomo, innesti la retromarcia la cosa è abbastanza facile, a 5 all'ora è una bella "grattata", ne soffrirà il cambio, ma forse riesco, ma a 100 all'ora sfascio tutto…Ecco: se muore un giusto, da sempre in cammino verso bene e verità, la sua scelta per Dio, amore, luce e giustizia avverrà senza scosse, dolce seguito della vita. La lingua cristiana dice che "va subito in Paradiso"…Se muore un peccatore normale come me - peccati riconosciuti, difetti e ritardi - la scelta "buona" è ostacolata dalla misura in cui i peccati hanno segnato l'esistenza e intessuto la vita e resistono alla grazia di Dio. Ci sarà bisogno di una bella frenata e di una rimessa in direzione. Diremo che si va "in Purgatorio"…Se muore infine un delinquente enorme, per cui violenza, ingiustizia, sfruttamento del prossimo, immoralità essenziale e vizio furono ragione di vita, la "conversione" gli sarà enormemente più difficile e il peccato fatto sostanza della sua vita dirà di no, il no di una libertà che si è sempre e solo esercitata nel male e nel rifiuto di giustizia e verità. Ecco "l'Inferno" possibile. E con esso - non piccola conseguenza - anche la libertà dell'uomo e la natura non tirannica di Dio creatore e salvatore. Sempre Agostino: "Colui che ti ha creato senza di te, non ti salverà senza di te".
Dunque non è vero che se la morte è "scelta finale" tutto diventa facile e scontato. I bimbi morti ancora innocenti avranno aperta la via del "sì" al Signore che li ha creati e li ama, e anche tutti i "giusti" che - lo insegna già Paolo ai Romani - hanno praticato la giustizia di Dio anche senza conoscerlo espressamente. Del Limbo non c'è bisogno, e davanti ai nostri occhi ecco pensabili Morte, Paradiso, Inferno, e anche Purgatorio, cambio di direzione tanto più difficile e penoso quanto più la nostra vita è stata opposta.

Che manca?
Il Giudizio, che siamo abituati a dividere in due, particolare e universale, e la realtà creduta e proclamata della "resurrezione della carne", cioè dell'uomo segnato dalla fragilità e dai limiti di spazio e tempo a nuova vita, anticipata e garantita, nella fede cattolica, dalla Resurrezione di Cristo e dall'Assunzione di Maria. Manca anche il senso della preghiera per i defunti: se nel morire tutto si realizza che vuol dire pregare per i defunti? Come giustificare suffragio e celebrazioni per essi?
Per ordine. Il Giudizio? Ebbene, questo sguardo finale su noi stessi e su ciò che vogliamo essere per sempre è proprio il Giudizio che noi chiamiamo particolare, nel quale ogni persona che muore fa la sua scelta finale. Vale anche per i piccoli innocenti e per tutti i "giusti" che, prima o dopo Cristo, non Lo hanno potuto conoscere e scegliere in pienezza. Nel Credo diciamo che Egli "discese agli Inferi", e ciò esprime proprio la coscienza del fatto che la salvezza in Lui raggiunge anche gli uomini dei tempi precedenti, come quelli dei tempi successivi.
Già: i tempi. Ultimo passo di questa riflessione nella fede. La vita eterna non è un tempo infinito, ma pienezza senza successione della realtà misteriosa della vita di Dio che diventa nostra. Non un tempo più lungo, ma appunto eternità, eterno presente di Dio fatto nostro, perciò nel morire "tutto è compiuto". Tutto? E allora la preghiera per i defunti, testimoniata dalla Scrittura e dalla prassi della Chiesa da sempre? In questo contesto la risposta è semplice: la nostra preghiera tocca i defunti attraverso la mediazione salvifica di Cristo Crocifisso e Risorto, presente a tutti i tempi e a tutti i luoghi come Colui nel quale "tutto è stato creato", come scrivono Paolo ai Colossesi e Giovanni nel Prologo del suo Vangelo, Colui nel quale tutto è salvato. La nostra preghiera raggiunge Cristo, e in Lui tocca tutti i tempi e tutti i luoghi. Ecco la sorpresa, che senza fede pare follia: oggi posso pregare anche per tutto il passato dell'umanità, e con la mia vita cristiana di oggi - la fede chiama questo mistero la "Comunione dei Santi" - posso aiutare anche San Francesco a fare la sua scelta di conversione nel 1200, perché Cristo Salvatore è presente nella sua e nella mia vita. Presa sul serio, è l'eternità di Dio vissuta anche nel tempo, e capisci la replica di Gesù ai Farisei ("non hai ancora 40 anni e hai visto Abramo!"): "prima che Abramo fosse, Io sono!". La preghiera di suffragio tocca gli uomini di tutti i tempi e di tutti i luoghi…

Già ... e non ancora
Ultimo spazio. Giudizio Universale e Resurrezione della carne? Basterà ricordare che "dopo" la morte non c'è più un tempo che continua a fluire nell'eternità, il morire come ingresso in Dio è un tutto: giudizio particolare, giudizio Universale e resurrezione "finale". Qui, nel tempo che continua a scorrere, c'è l'attesa di chi resta, ma la morte "personale", presa sul serio come ingresso in Dio e nella sua vita, è già tutto. A noi che rimaniamo nel tempo mancano i nostri defunti, ma ad essi nulla manca: sono con Dio e sono con noi in pienezza. Qui si spiega il grande "già" e "non ancora" di cui Giovanni nella Sua prima Lettera: "noi già siamo figli di Dio, ma ancora non si vede"…Noi crediamo nella vita eterna già reale nella grazia e nello Spirito Santo, non si vede ancora finché siamo nel tempo e nello spazio, ma, sempre San Giovanni, si vedrà quando "saremo simili a Lui". Morte, giudizio particolare e giudizio universale, purgatorio, paradiso, inferno, preghiera per i vivi e per i defunti e resurrezione finale. Tutto in un mistero che resta di Dio e nostro in Gesù di Nazaret e nella Chiesa di oggi e di sempre, i cui confini veri li conosce solo Lui. Questo annuncio è, qui ed ora, non dopo, grazia e responsabilità dei cristiani, più fortunati di tanti fratelli che hanno vissuto e vivono, pur senza conoscerne il nome esplicito, la salvezza che viene con Cristo.

[Fonte: “Il Foglio” del 14.9.2007]

 

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