Pubblicato su politicadomani Num 70/71 - Giu/Lug 2007

Calabria
Splendore antico, sottosviluppo moderno
Dagli antichi fasti della Magnagrecia all'attuale sperpero di potenzialità e opportunità, la regione è un esempio di come sia difficile ricostruire a partire dal solo bagaglio storico e culturale

di Alberto Foresi

Calabria: arte, mare pulito, montagne, paesaggi incontaminati… Al di là di queste immagini tanto reclamizzate, al solo udire il nome di questa regione si evocano realtà diverse: la povertà, l'oppressione e il sottosviluppo atavici della popolazione; l'emigrazione che, sebbene con modalità diverse dal passato, è tuttora ampiamente praticata; una criminalità organizzata, la 'ndrangheta, onnipresente che, dall'originario contesto rurale, è riuscita ad imporsi prepotentemente sullo scenario nazionale ed internazionale, soprattutto nell'ambito del traffico di stupefacenti. E principalmente, origine e insieme conseguenza di tutto questo, le volute carenze della classe politica locale, clientelare, corrotta e collusa, artefice di un malgoverno cronico talmente istituzionalizzato da celare all'orizzonte qualsiasi alternativa.

Tra Antichità e Medioevo: la ricchezza del passato
Eppure, nonostante la desolata realtà odierna, per lungo tempo la Calabria è stata una delle aree più floride culturalmente ed economicamente non solo della penisola ma di tutto il mondo mediterraneo. Proprio la Calabria fu una delle culle della civiltà magnogreca. A partire dagli ultimi decenni dell'VIII secolo a.C. lungo le sue coste cominciarono a sorgere polis destinate a divenire in breve tempo ricche e potenti: Reggio, Locri, Sibari, città leggendaria per il lusso e la ricchezza dei suoi abitanti, e Crotone, che nel 510 a.C. distrusse Sibari. Qui, a Crotone, aveva trovato rifugio il filosofo Pitagora, costretto a fuggire dalla natia Samo per sottrarsi al regime dispotico imposto dal tiranno Policrate. A queste città, che furono una vera e propria palestra di democrazia, sono da aggiungere Turi, fondata per volere dell'ateniese Pericle sulle rovine dell'antica Sibari, Caulonia, Squillace, mentre sul versante tirrenico nascevano Laos, Scidro, Temesa, Terina, Hipponion (l'attuale Vibo Valentia), Medma (oggi Rosario) e Matauro (Gioia Tauro).
La ricchezza delle città magnogreche dell'odierna Calabria, di cui rimane testimonianza nell'edilizia monumentale sia pubblica che privata, suscitò ben presto gli appetiti di Roma, che si avviava a diventare la superpotenza del mondo mediterraneo. La supremazia romana sulla regione comincia ad instaurarsi intorno al 270 a.C., dopo la conclusione della sfortunata spedizione di Pirro nel Meridione, e si stabilizza al termine della II guerra punica, durante la quale alcune città greche e brettie - la popolazione italica che abitava anticamente la regione - avevano tradito l'alleanza con Roma per schierarsi con Annibale. A parte le immediate ritorsioni compiute contro i traditori, i Romani, forti dell'egemonia su tutta la regione, attuarono una politica di sfruttamento intensivo delle cospicue risorse locali. Oltre a proseguire le tradizionali coltivazioni della vite e dell'olivo, dalle quali si producevano olio e vino di pregevole qualità - le principali derrate alimentari commercializzate nell'antichità - in età romana ebbe particolare importanza lo sfruttamento delle risorse forestali calabresi. Dai boschi della Sila e dell'Aspromonte veniva il legname usato soprattutto nelle costruzioni edili e navali. Dagli alberi si ricavava la pregiata pix bruttia, una pece vegetale utilizzata soprattutto per l'impermeabilizzazione delle navi. Esponenti della classe dirigente romana, senatori e cavalieri, avviarono anche attività imprenditoriali su vasta scala nei settori della pastorizia e dell'allevamento transumante, dando vita a cospicue mandrie di bovini e a greggi di ovini e caprini, molto redditizie anche per il basso costo del personale a loro affidato, quasi sempre di condizione servile.
Nell'alto Medioevo, mentre buona parte dell'Italia assistette ad un drastico abbassamento delle condizioni di vita delle popolazioni, la Calabria, parte integrante dell'Impero bizantino, registrò uno dei periodi più fecondi della sua storia. La ricchezza della regione, che è evidente dalle molte superstiti testimonianze artistiche, era principalmente dovuta alla produzione della seta, bene prezioso che, in virtù dell'elevata qualità della produzione locale, veniva commercializzata ed esportata in buona parte del mondo mediterraneo.


Età moderna e contemporanea: la crisi e le sue origini
È a partire dai primi secoli del secondo millennio, in controtendenza con la rinascita economica e sociale che caratterizzava allora il resto della penisola, che comincia il declino della Calabria. Caduta l'egemonia bizantina ad opera dei Normanni, la Calabria, che sino ad allora, grazie al governo di Bisanzio, non aveva conosciuto il fenomeno feudale, fu sottoposta dagli invasori nordici ad un duro regime feudale che progressivamente isolò la regione dall'ampio contesto culturale e commerciale di cui sino ad allora aveva fatto parte. Questa tendenza involutiva continuò in età sveva e soprattutto, dopo la morte di Manfredi, durante la dinastia angioina prima ed aragonese poi.
È proprio a partire dagli Aragona che si assistette all'instaurarsi nel Meridione di quella particolare forma feudale definita "baronato", caratterizzato dal venir meno dell'autorità regia, dallo strapotere delle élites locali, e da un sistema produttivo agrario basato sul latifondo e su un'economia di pura sussistenza. Una realtà che ebbe una vita lunga, dato che si protrasse sin oltre l'Unità d'Italia e, almeno in parte, fino al secondo dopoguerra.
A partire dagli anni 50 del secolo scorso furono fatti vari tentativi per sottrarre la regione a questa forma di feudalesimo residuo ma ancora imperante tentando di promuovere nella regione uno sviluppo industriale. Tuttavia, ad onta dei rilevanti capitali pubblici investiti, i risultati sono venuti solo in minima parte. Soprattutto colpisce quanto denaro sia stato sperperato in iniziative politiche clientelari che non avevano la benché minima possibilità di successo.
Eppure, nonostante il perdurare di questo tragico sottosviluppo, che solo osservatori superficiali definiscono congenito, ci sono in Calabria tutte le condizioni perché essa possa ritrovare l'antica prosperità. Le ricchezze della regione sono ancora tutte lì: risorse agricole, ora sfruttate al minimo, fonti d'energia rinnovabili e tutte le potenzialità di un turismo di qualità, non solamente marino ma anche culturale, naturalistico ed enogastronomico. In questi ambiti un ruolo primario potrebbe essere svolto dall'emigrazione di ritorno, dai molti calabresi cioè che essendo emigrati sia in Italia che all'estero ora, tornati a casa, forti delle competenze acquisite e ormai sganciati culturalmente dal malcostume locale, potrebbero contribuire attivamente alla rinascita economica e sociale della Calabria. Le potenzialità ci sono, tutto ciò che occorre è la volontà di sfruttarle. L'incognita che troppo spesso si rivela un ostacolo è, come sempre, costituita dalla casta politica transpartitica dominante, troppo spesso collusa con le organizzazioni criminali, casta che è proprio nel sottosviluppo che dovrebbe arginare che pone le fondamenta del proprio potere egemone. Solo attraverso il radicale, e forse improbabile, rinnovamento politico e, contemporaneamente, lo sviluppo di una libera imprenditoria competitiva, sganciata dal pubblico clientelismo ed assistenzialismo e affrancata dal giogo della malavita organizzata, si potrà assistere alla tanto auspicata ripresa della Calabria.

 

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