Pubblicato su politicadomani Num 70/71 - Giu/Lug 2007

Algeria al femminile
La rivoluzione silenziosa
Con il velo e anche avvolte nelle lunghe cappe nere che ne nascondono le forme, le donne algerine stanno conquistando un ruolo sociale di tutto rilievo. Le novità e le ragioni dietro questo cambiamento dal corrispondente ad Algeri del New York Times

di Maria Mezzina

Andare in giro per Algeri e vedere donne che guidano autobus o taxi, oppure servono i clienti alle pompe di benzina o nei ristoranti non è più una novità. Girare anche tardi di sera e vedere figure che a stento possono dirsi femminili, avvolte come sono nelle loro lunghe e severe tonache nere, con il capo coperto dal hijab, il velo con cui le donne musulmane celano la bellezza dei loro capelli e la grazia del loro viso, affrettarsi verso le loro case, dopo una giornata di lavoro o dopo la preghiera in moschea è diventato normale. Difficile, invece, vedere in quella piccola folla che si affretta per strada donne che vanno a viso scoperto, prive dei segni della loro appartenenza ad una società musulmana tradizionalista e osservante. Il velo che tutte le donne algerine indossano non è visto come una limitazione della loro libertà, piuttosto è il contrario: "Non mi criticano mai, specialmente quando vedono che porto il hijad", dice Denni Fatiha a Michael Slackman, il giornalista del New York Times che l'ha intervistata. Il velo, quindi, più che essere segno di sottomissione è uno strumento di emancipazione: con il velo e nei loro vestiti tradizionali le donne sono più libere di mostrarsi in pubblico, andare all'università, lavorare, occupare posti di responsabilità nella pubblica amministrazione, nei tribunali, perfino in parlamento.
L'obbedienza alle tradizioni non è però soltanto il passaporto verso l'emancipazione, è anche fino in fondo una scelta culturale e una scelta politica: è stato il modo per imporre la medesima tradizione e creare un'identità comune, dopo gli anni dell'occupazione e del laicismo francese e quelli della rivoluzione per l'indipendenza, costati centinaia di migliaia di vite umane. Gente che parlava arabo, berbero e francese era stata costretta a vivere negli stessi confini disegnati artificiosamente dalle potenze coloniali, nonostante le diversità. Ora, dopo 40 anni di unità linguistica e religiosa, grazie anche all'influenza di media arabi quali il network televisivo Al Jazeera, di gran lunga più seguito della televisione francese, il paese si è effettivamente arabizzato e islamizzato. Gli anni '90 sono stati gli anni del terrorismo e della guerra civile, costata oltre centomila morti. Una esperienza che la maggior parte degli algerini rifiuta, pur essendo il sentimento religioso radicato ora molto di più di allora. L'osservanza della religione non ha impedito alle donne di progredire nel loro cammino di emancipazione, favorite in questo dalla loro partecipazione agli studi e all'università e dalla differenza sostanziale che nella società esiste fra i giovani e le giovani. Molte donne occupano posizioni di primissimo rilievo nel paese: a differenza dei giovani che sono più attratti dal guadagno facile legato all'imprenditorialità e al commercio, attività nelle quali essi entrano molto presto, oppure cercano di emigrare oppure semplicemente perdono tempo facendo niente, le giovani spendono molto più tempo negli studi e sono più disposte dei loro coetanei ad occupare posizioni nelle quali si guadagna di meno ma, a lungo andare, si acquista molto più prestigio. È convinzione dei sociologi che questa progressiva e silenziosa conquista del potere in Algeria da parte delle donne potrebbe essere la forza dirompente capace di produrre radicali cambiamenti sociali: la loro presenza nell'amministrazione e nelle strade dell'Algeria ha il potere di moderare gli estremismi e di modernizzare la società. "Le donne e i movimenti femminili potrebbero guidare l'Algeria verso la modernità", l'opinione è di Abdel Nasser Djabi, professore di sociologia all'università di Algieri. Le donne sono consapevoli di questa loro forza, ma non la usano contro la tradizione e la religione, che, invece, sostengono con convinzione. "Ogni volta che esco di casa e lascio mio marito, lo faccio come se fossi un uomo. Ma quando ritorno a casa divento una donna" dice Khalida Rahman, un'avvocatessa di 33 anni rispondendo a una domanda di Slackman. Non si tratta di schizofrenia, ma della capacità, diffusa nelle donne, di sapersi adattare alle circostanze e di saperle volgere, caparbiamente, a loro favore.

 

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