Pubblicato su politicadomani Num 70/71 - Giu/Lug 2007

Grandi opere
Opportunità congelate: il caso Gioia Tauro
Poteva essere il "faro del Sud". La grande piana di Gioia Tauro, pensata per lo sviluppo dei commerci marittimi internazionali europei, aspetta ancora

di Maria Mezzina

Ha ragione il Prof. Marco Vitale a parlare di rabbia e delusione sulle pagine economiche del Corriere della Sera (5 marzo 2007, "Il porto, il gruista e il fattore R"), quando ricorda come sia stato possibile, per una volta, portare a termine un progetto di enorme importanza nel cuore della Calabria, quello del porto di Gioia Tauro, per poi vederlo languire, soccombere alla concorrenza degli scali spagnoli e passare di mano sotto il controllo di società straniere, a scapito dello sviluppo locale e dell'intero Mezzogiorno, per il quale, invece, era stato pensato e velocemente realizzato. Era il 1995 - racconta Vitale, allora Presidente di Medcenter, la società di gestione dei terminal container - e si inaugurava il nuovo porto con l'entrata a Gioia Tauro della prima nave portacontainer CMBT Con-corde. Il porto polifunzionale destinato al trasferimento di container da grandi navi transoceaniche a piccole navi per la distribuzione di dettaglio, era stato realizzato su ciò che rimaneva di quello, divenuto ormai "archeologia industriale", co-struito negli anni '70 nell'ambito del progetto della Cassa del Mezzogiorno per il 5 ° Centro Siderurgico italiano.
La posizione geografica di Gioia Tauro, a poche ore di navigazione dalla rotta Suez-Gibilterra o Mare del Nord-Gibilterra, consente alle navi di deviare dalla rotta principale per raggiungere il porto, che si trova a metà strada fra i porti del Nord Europa, raggiungibili via terra (corridoio Adriatico e Tirrenico) ed i porti Africani. Una posizione ideale.
Il successo fu il risultato di una concomitanza di fattori: la lungimiranza di un imprenditore del Nord, il ligure Angelo Ravano; il supporto "operativo e non formale" del governo di Carlo Azeglio Ciampi; l'interesse degli investitori privati italiani e stranieri, attirati dalla trasparenza e razionalità politico-manageriale del progetto; e, non ultimo, il controllo delle forze dell'ordine che in modo molto discreto lavorarono in mezzo agli operai per stroncare sul nascere le infiltrazioni della 'ndrangheta.
Il Vescovo intervenuto alla cerimonia inaugurale - tenutasi dopo soli tre anni il primo sopralluogo per la realizzazione del progetto - spiegò così al Prof. Vitale il successo dell'iniziativa: "Sa perché ci siete riusciti? Perché qui la metà delle persone non capiva cosa steste facendo. E l'altra metà, invece, era convinta che non ce l'avreste fatta".
È passato più di un decennio e intorno al porto, 1350 ettari di zona industriale, c'è il deserto. Sono venute a mancare tutte le necessarie infrastrutture: a cominciare dalla linea ferroviaria veloce per il trasporto delle merci e le vie rapide di collegamento che avrebbero fatto di Gioia Tauro uno snodo primario dei commerci nord-sud dell'Europa e un centro propulsore di sviluppo per l'intero Mezzogiorno italiano.
Inutilmente gli imprenditori e le forze produttive del paese, subito dopo l'inaugurazione del porto, hanno cercato di coinvolgere la "piccola borghesia improduttiva, professionale e politica che circondava l'intera operazione", come la definisce Marco Vitale.
"Nessuno - spiega - raccolse il nostro appello: intorno alle nostre strutture, si trovavano gli spazi per far sorgere attività produttive di semilavorazione dei prodotti trasportati via nave. C'era uno spazio ideale per una zona extra doganale come hanno fatto altri terminal container del Mediterraneo, c'era la possibilità di fare collegamenti rapidi via-treno che avrebbero attratto e agevolato altri insediamenti. Non è stato fatto niente, se non montagne di chiacchiere. E, poi, la sensazione perenne, quando avevamo rapporti con gli uomini della politica e delle professioni locali, che cercassero sempre di proporsi come mediatori. Ma mediatori di cosa? Tentavano sempre di raccogliere le briciole. Questo e quello.
L'autorizzazione dovuta che veniva data come se fosse piacere. La pratica da sbrigare in poche ore che si trasformava in una procedura complessa, con iter che duravano giorni e giorni. Inefficienza e atteggiamenti predatori. Senza un disegno strategico più ampio".
Una occasione persa dunque? Così sembrerebbe. Nonostante il fiume di denaro confluito in Calabria dall'Europa a favore del progetto e sperperato nella costruzione di scheletri di capannoni che non hanno mai ospitato nessuna attività produttiva. Ciononostante l'enorme movimentazione di merci e la professionalità del personale specializzato hanno conferito al porto di Gioia Tauro la qualifica di porto di rilevanza internazionale. Passando così dalla competenza della Regione a quella dell'Autorità Portuale (D.P.R. 16.07.1998).
La speranza è che il grandioso progetto possa riprendere quota, ma i porti della Spagna, molto meglio attrezzati quanto a infrastrutture, stanno facendo concorrenza al nostro. "Il porto sta perdendo smalto come tale, e non più solo nella sua capacità di produrre trasformazione sul territorio circostante", è il grido di allarme di Marco Vitale. La società tedesca Eurogate che ora gestisce il terminal container, assicura al porto una dimensione internazionale facendo a meno della dimensione locale. "E a perderci è soprattutto quest'ultima", osserva amaramente l'economista.
Il porto di Gioia Tauro è talmente importante nell'economia del paese che è stato oggetto di un capitolo speciale all'interno della relazione "Programma Calabria", fatta l'8 marzo scorso al ministro degli Interni Giuliano Amato e al Governatore della Regione Calabria Agazio Loiero dal prefetto Luigi De Sena, inviato in Calabria nel novembre del 2005 dopo l'omicidio Fortugno. Dalla relazione risulta che l'opportunità Gioia Tauro è ancora aperta per la Calabria e per il Mezzogiorno italiano, ma occorre far presto a superare l'immobilismo istituzionale e il boicottaggio criminale risultato finora vincente.

 

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