Pubblicato su politicadomani Num 70/71 - Giu/Lug 2007

Banca d'Italia
Il mercato del lavoro di Mario Draghi,
il Governatore descrive l’Italia che cambia

Dalla relazione del Governatore la situazione dell'occupazione nel nostro paese: un'analisi a 360 gradi con qualche reticenza

di Maria Mezzina

Gli stranieri
È anche grazie agli stranieri che migliora il tasso di occupazione in Italia. La regolarizzazione,poi, di tanti ex clandestini e la loro immissione a pieno titolo nel mercato del lavoro regolare favorisce la creazione di un circuito virtuoso per cui il lavoro nero diventa improponibile anche per gli italiani.
I dati che Mario Draghi, Governatore della Banca d'Italia, ha dato su questo, come su altri aspetti legati all'economia del Paese, sono delle importanti chiavi di lettura che fanno luce su interpretazioni della realtà spesso distorte per paura o per interesse, e indicano vie preferenziali all'azione politica.
Non solo non c'è stata e non c'è ancora la tanto temuta invasione di stranieri. Infatti, contro il 4,5% di presenze straniere in Italia (Istat, dicembre 2005), in Germania siamo all'8,8%, in Spagna al 6,6%, in Francia al 5,9%, nel Regno Unito al 4,7% (i dati sono del gennaio 2006 per la Germania, del 2004 per Spagna e Regno unito e del 1999 per la Francia).
Gli stranieri sono rilevante e preziosa forza lavoro. Su 425mila nuovi occupati nel 2006, dice il Governatore, 178mila (oltre 2 su 5) sono stranieri, portando il tasso di occupazione dal 63,9% nel 2005 al 66,1%. Inoltre, se nel 2005 c'erano poco più di 5 lavoratori stranieri ogni 100 lavoratori, nel 2006 ce ne sono stati poco meno di 6.
Gli stranieri non tolgono lavoro agli italiani, come si dice comunemente. Semplicemente sono più presenti degli italiani sul mercato del lavoro, hanno più probabilità di essere occupati, sono più giovani e probabilmente sono anche più disponibili, visto che per lavorare hanno lasciato casa e famiglia. Questi i dati a conferma. L'offerta lavoro in Italia, il numero di cittadini, cioè, di età fra i 15 anni e i 54 anni che sono attivamente in cerca di lavoro, è fatta per l'80% da stranieri residenti (173mila su 209mila persone) contro il 65% degli italiani. Il tasso di partecipazione degli stranieri residenti (tasso di partecipazione è il rapporto fra il totale dei lavoratori e il totale delle persone in età lavorativa, che hanno cioè più di 15 anni) è molto superiore rispetto a quello dei cittadini italiani: 89% contro il 73,9% per gli uomini e il 58,6% contro il 50,4% per le donne. Un divario molto più ampio di quello fra le percentuali uomo/donna stranieri e uomo/donna italiani. È quindi la maggiore percentuale di stranieri in età lavorativa sul totale degli stranieri, rispetto a quella degli analoghi italiani sul totale della popolazione italiana che rende le opportunità di lavoro per gli stranieri equivalenti a quelle degli italiani, nonostante le proporzioni assolute siano diverse.
Concludendo: non c'è un'invasione straniera; gli stranieri non tolgono lavoro agli italiani; il lavoro regolare degli stranieri contribuisce alla trasparenza del mercato del lavoro; fa crescere le opportunità di occupazione, come risulta dagli studi di Unioncamere che parla di un fiorire, negli ultimi anni, di imprese individuali gestite da immigrati che continua costantemente a crescere.

Il lavoro
L'occupazione è cresciuta in maniera significativa rispetto a "quella registrata negli anni più recenti e ha interessato tutte le aree del Paese; la componente straniera ha continuato a fornire un apporto importante. Il tasso di disoccupazione è ancora diminuito, raggiungendo livelli storicamente bassi; è proseguito l'aumento della quota di residenti che partecipano al mercato del lavoro, anche per effetto del progressivo inserimento dei lavoratori stranieri nell'occupazione regolare. I divari territoriali di occupazione e partecipazione al mercato del lavoro si sono tuttavia ulteriormente ampliati", dice Mario Draghi.
È diminuito anche il costo del lavoro per unità di prodotto (CLUP) grazie a due fattori concomitanti: l'aumento della domanda di beni e servizi - segnale inequivocabile di ripresa - e un aumento della produttività, specie in campo manifatturiero.
Queste le cifre della buona notizia: l'occupazione è aumentata dell'1,7%, un incremento fra i più alti degli ultimi trent'anni; è aumentato dell'1,6% anche "l'input di lavoro complessivo, misurato in termini di occupati equivalenti a tempo pieno". Dietro la sintesi, quasi sibillina, si cela un dato importante: il lavoro in più che è stato creato è "lavoro buono", nel senso che non è spezzettato in tanti piccoli lavori (dispersivi e sottopagati) per tante persone: una strategia che fa aumentare la percentuale di occupazione, mantenendo in realtà i lavoratori in una situazione di "quasi disoccupati", con occupazioni a tempo molto parziale, di breve durata, spesso inutili e improduttivie di poche ore a settimana o anche al mese.

Il divario e l'emigrazione
Persiste e continua ad aggravarsi il divario fra il Centro Nord e il Sud, anche se questa corsa al peggio si è un po' rallentata rispetto agli ultimi anni.
Al Sud l'occupazione cresce di meno (+1,6%) che nel resto d'Italia (+2%). Fra la popolazione in età lavorativa gli occupati al Sud sono il 46,6%, al Centro sono il 64%, e al Nord sono il 65%.
Il tasso di occupazione giovanile è aumentato di 0,4 punti percentuali in Italia, al 51,4%, inferiore però di ben 6 punti percentuali rispetto alla media europea. Drammatica la situazione al Sud, dove i giovani occupati sono solo il 36,5%.
Inevitabili, quindi, i flussi migratori interni verso il Centro Nord. Si spostano i migliori, diplomati e soprattutto laureati. A volte non cambiano neppure residenza: sono 8 su cento. Fra i giovani però sono 10 su cento. Al contrario, solo 1 su mille dei laureati residenti al centro Nord lavora a Sud.
Fra i meridionali che lavorano al Centro Nord il 15% sono laureati. I laureati del Sud che non hanno abbandonato il Sud sono il 10% dei lavoratori meridionali, e sono l'8% dei giovani occupati meridionali.

Le donne
Continua l'ascesa femminile. L'occupazione femminile tira, specialmente a Sud: +2,5% nel Paese e +3,5% al Sud. Nel 2006 è aumentata di 8 punti percentuali al 46,3%, ancora però 10 punti sotto la media europea. Ma sono le più giovani (15-24 anni) e le più anziane (45-64 anni) ad essere ancora poco presenti sul mercato del lavoro (-17% rispetto alla media UE).
Le donne cercano di coniugare al meglio, quando possono, famiglia e lavoro: sono donne l'80% dei lavoratori dipendenti a tempo parziale. Ciò che dice Draghi a proposito del lavoro delle donne è illuminante e rivela una particolare sensibilità nei confronti dell'universo femminile: "Tra il 1996 e il 2006 il numero di donne occupate con orario ridotto è complessivamente cresciuto del 46%, a fronte di un aumento del 15,5% dell'occupazione femminile a tempo pieno. Sulla base dell'Indagine multiscopo sull'uso del tempo, condotta dall'Istat tra il 2002 e il 2003, le donne italiane dedicano mediamente 5 ore al giorno al lavoro familiare; il numero di ore scende a circa 4 per le donne occupate, indipendentemente dall'inquadramento professionale, mentre sale a poco meno di 7 tra quelle che svolgono prevalentemente attività domestiche e non partecipano al mercato del lavoro,che sono circa un terzo della popolazione femminile residente. Nel complesso le donne italiane occupate lavorano mediamente circa 9 ore al giorno, di cui solo poco più della metà in attività retribuite e pertanto incluse nelle misure dei conti nazionali. Nell'altra metà sono tuttavia comprese attività che possono essere svolte da altri soggetti, come quelle per la pulizia della casa o i lavori di cura di bambini e anziani".
È chiaro quindi, dice Draghi, come la presenza di lavoratrici straniere favorisca l'occupazione delle donne italiane, e aggiunge che studi condotti dalla Banca d'Italia mostrano l'esistenza di una correlazione positiva fra l'occupazione femminile in una data regione e la presenza di donne straniere nella medesima regione. Una combinazione particolarmente favorevole alla crescita del mercato del lavoro e, in generale, dell'economia di quella regione.

Paghe e ammortizzatori sociali
Non ci siamo, il sistema degli ammortizzatori sociali italiano non funziona. Dice Draghi: è frammentato, ci sono pochi controlli, copre solo parte dei lavoratori, gli importi erogati sono più bassi che negli altri paesi europei. Nel 2005 l'Italia ha impiegato per questo tipo di spesa sociale lo 0,6% del Pil contro la media europea dell'1,3%. L'indennità ordinaria di disoccupazione (fino a 9 mesi) ammonta al 40-50% dell'ultima retribuzione (ma scende al 30-40% dopo il sesto mese), contro il 70% circa dell'UE. Non è sufficiente a garantire chi ha perso il lavoro perché fra coloro che sono in cerca di lavoro, circa il 20% lo trova entro i primi tre mesi, il 30% entro sei mesi, il 44,9% entro 12 mesi.
Visto, però, il nostro ritardo rispetto all'UE in fatto di occupazione, piuttosto che aumentare la spesa per gli ammortizzatori (studi dimostrano che la durata dell'assegno di disoccupazione non è correlata con la lunghezza del periodo di disoccupazione; lo è, invece, l'ammontare dell'indennità), per la quale, fra l'altro, è difficile trovare la copertura di bilancio (emersione della evasione fiscale e stretta sulle spese inutili collegate alla politica, a parte), è preferibile investire sulle strategie volte a migliorare il mercato del lavoro e l'economia in generale. "Piuttosto che dare il pesce, dare la canna da pesca", è il detto popolare a cui conviene ispirare l'azione politica.

Istruzione
Non è mancato uno sguardo all'istruzione. L'istruzione dei nostri ragazzi non è adeguata. I risultati scolastici e degli esami di maturità sono solo debolmente correlati con i livelli di apprendimento misurati da valutazioni esterne fornite da indagini internazionali (indagine PISA dell'Ocse) ed esiste un forte divario di preparazione e conoscenza fra la popolazione scolastica del Nord, del Centro e del Sud. I dati riportati dal Governatore, che sono fortemente negativi nei confronti del Sud, andrebbero però verificati e approfonditi.
Neanche la laurea è un passaporto per il mercato del lavoro: il 30% dei laureati nel 2006 non era occupato, il doppio della media europea (solo un quarto di questi era impegnato nel proseguimento degli studi). Le percentuali sono diverse a seconda del tipo di laurea: sul 25% di laureati non occupati nel 2005, il 15% sono laureati in ingegneria e il 55% hanno una laurea in scienze umanistiche. Il divario, comunque, non scoraggia i ragazzi che da cinquant'anni continuano a scegliere di preferenza le discipline umanistiche (25%) ed economico-giuridiche (33%) rispetto alle discipline scientifiche e ingegneria (25%).

I salari
Infine i salari, o meglio la retribuzione per unità di lavoro. Sono aumentati, ma di poco, e meno degli anni scorsi: +2,8% sia nel privato che nel pubblico, nel 2005 l'aumento era stato di + 3% e + 4% rispettivamente. Appena sopra il tasso di inflazione, quello ufficiale. E sono ancora in caduta sulla media dei salari nel resto d'Europa. Bassi, molto bassi: al 23° posto nella classifica Ocse sul potere d'acquisto dei salari dei 30 paesi più industrializzati, dopo la Grecia. Ma questo il Governatore non lo ha detto.

 

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