Pubblicato su politicadomani Num 70/71 - Giu/Lug 2007

Afghanistan
Crogiolo di culture, crocevia di popoli, teatro di guerre
Un paese dalle enormi risorse culturali maledetto dalla sua superba posizione geografica, al centro delle ricchezze del mondo

 

Grande due volte l'Italia e con meno della metà dei suoi abitanti, l'Afghani-stan è non solo un punto di passaggio di eserciti, mercanti, dominatori e dominati, ma è un vero e proprio crogiolo di culture e civiltà. Difficile quindi e forse anche improprio, parlare di etnie ben determinate in un luogo geografico dove, nonostante la fedeltà alla tradizione, diversi popoli si sono mescolati, aggiungendo usi, costumi e suggestioni. L'islam, vi arriva nel VI secolo, ne attraversa la storia e solo in parte riesce a far dimenticare i fasti di un'arte e una cultura - quella del Gandhara - che riuscirà a coniugare forme ellenistico e tardo romane a elementi decorativi persiani, il tutto permeato dal contenuto della tradizione buddista che ha lasciato splendidi e immensi manufatti, i più noti dei quali erano i famosi Budda di Bamyan, distrutti poi dalla furia iconoclasta dei talebani nel 2001, fra l'attonimento impotente della comunità mondiale. L'Afghanistan ha risentito della cultura e delle tradizioni dei suoi grandi vicini, primo fra tutti il vasto e potente impero persiano. Tuttavia queste terre seppero elaborare una cultura propria che era spesso la sintesi delle influenze provenienti da Est, da Ovest e da Nord. Sotto il dominio persiano nel 500 a.c., la regione di Gandhara (Afghanistan e Pakistan) passò nel 328 A.C. sotto Alessandro il Macedone. Poi è la volta dell'impero indiano dei Maurya e della dinastia indo-greca della Bactriana. Una conquista stabile è invece quella della dinastia Kushana, affacciatisi nei primi anni dopo Cristo dalle steppe dell'Asia centrale, da cui si diffuse il buddismo. La dinastia domina incontrastata per quasi mezzo millennio, dal 90 d.c. al 500, sino all'arrivo degli Unni Bianchi, a loro volta spodestati da un'invasione iranica che darà luogo nel VI secolo alla nascita di principati autonomi.
Il resto è la storia della diffusione dell'islam. Parti, Sciti, Unni, Sasanidi persiani e anche alcuni governanti locali come gli Shahi indù di Kabul si contesero la regione e si alternarono al potere. Nel 652 l'Afghanistan fu invaso dagli Arabi musulmani che con alterne vicende (la regione venne invasa e messa a ferro e a fuoco anche dai Mongoli di Gengis Kan nel 1219 che la controllarono fino al XVII secolo) la dominarono fino al 1746, quando passò, più o meno nella forma dello stato-nazione attuale, sotto il controllo del Regno Unito. L'indipendenza (ma non la pace) venne nel 1919. Con il ritiro del Regno Unito iniziano il disordine, la guerriglia e i colpi di stato. Nel 1978 sale al potere con un colpo di stato il partito popolare democratico dell'Afghanistan (tutti i membri della casa regnante vengono uccisi e nella regione, in vario modo, si fronteggiano le grandi potenze straniere rivali Usa e Unione Sovietica. La caduta del muro di Berlino nel 1989 e il ritiro delle truppe sovietiche dall'Afghanistan sembra avere chiuso la partita definitivamente a favore degli Stati Uniti. Ma non è così. E quello che accadde dal 1979 in poi, con l'occupazione sovietica e la resistenza antisovietica degli islamici, fra cui lo sceicco saudita Osama Bin Laden, supportata con le armi dagli Usa; il ritiro delle truppe sovietiche; la guerra civile nella quale continuano ad intervenire indirettamente appoggiando questa o quella fazione Iran, Arabia saudita, Uzbekistan, Pakistan, russia; l'ascesa al potere dei Talebani; il terrorismo internazionale di matrice islamica; la caduta delle torri gemelle; la caccia a Bin Laden e la guerra degli alleati; la caduta del regime dei talebani, le prime elezioni e il governo Karzai; una nuova guerra civile e i rapimenti; l'abbandono di Kabul da parte di Emergency, è solo cronaca di questi giorni.
Rimane un paese distrutto, con dieci milioni di mine sparse sul territorio, un milione di invalidi, quattro milioni di sfollati che vivono nei campi profughi, il 60% della economia del paese distrutta, la corruzione dilagante.
A tutto ciò si aggiunge la tragedia dell'oppio e il dramma dei contadini ai quali è stata vietata la coltivazione del papavero: la più fiorente produzione del paese deve essere sospesa e i campi riconvertiti ad altre colture. È la tragedia per oltre 600mila contadini che non riescono più a sopravvivere con i proventi delle nuove colture molto meno redditizie. Intanto però la produzione illecita di stupefacenti è cresciuta in un anno (2005-2006) del 60%, superando le 6.100 tonnellate. La totalità del raccolto viene utilizzata per la produzione del 93% dell'eroina mondiale per un valore stimato intorno a 2,7 miliardi di dollari che vanno ad arricchire i signori della droga, quelli della guerra, i Talebani, e buona parte dei responsabili delle amministrazioni locali e centrale, dice l'INCB (International Narcotics Control Board). Ai contadini rimane solo una parte infinitesimale dell'intera produzione.

 

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