Pubblicato su politicadomani Num 70/71 - Giu/Lug 2007

Un codice di famiglia contestato

 

"Le disposizioni discriminatorie contenute nel Codice di Famiglia Algerino hanno contribuito in maniera determinante alla violenza sulle donne e alla violazione dei loro diritti", si legge in un rapporto del 2005 di Amnesty International sulla condizione delle donne in Algeria.
"Il Codice di famiglia è entrato in vigore il 9 giugno 1984. Nel Codice l'unico ruolo assegnato alla donna è quello di genitrice finalizzata a riprodurre il nome e il benessere del marito. Sul diritto all'istruzione e al lavoro il Codice non si pronunzia, per cui l'uomo può costringere la moglie a non lavorare e la figlia a non andare a scuola (art.39). La donna non può scegliere il proprio marito, a suo nome lo fa il tutore matrimoniale, un uomo (art.11). Dopo sposata, ella vive sotto la doppia spada di Damocle della poligamia maschile - un privilegio vergognoso sancito dall'art. 8 - e di una sorta di divorzio molto simile al ripudio concesso nei fatti solo al marito. Questo codice dell'infamia produce ogni anno un fenomeno tragico: migliaia di madri che si trascinano nelle strade con i loro bambini senza che lo Stato muova un dito". La denuncia è di Khalida Messaoudi, matematica e politica algerina a cui è stato affidato il compito di modificare il codice.
Nel testo riformato viene meno la tutela e al compimento della maggiore età la donna è libera di scegliere il marito, è previsto l'obbligo del mantenimento in caso di divorzio e si pone la poligamia maschile sotto la tutela di un giudice locale che vigila sulle motivazioni dell'uomo. Ma ci sono ancora problemi che riguardano i diritti sui figli e la donna non può sposare un non musulmano.

 

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