Pubblicato su politicadomani Num 68 - Aprile 2007

Fra trent’anni
Pensione complementare una necessità e anche una opportunità
La pensione integrativa, indispensabile per garantire alle giovani generazioni la "serena vecchiaia", è anche un'opportunità per rivedere molti passati pregiudizi e mettere in atto il principio costituzionale della sussidiar

intervista al prof. Carlo Dell'Aringa*

pd - Quanto è importante la pensione complementare per un giovane che avendo ora 30 anni ha iniziato da poco a lavorare?
È molto importante perché è forse il più importante, anche se non l'unico, strumento che i giovani hanno per integrare la pensione dell'Inps che fa parte del sistema nazionale di assicurazione obbligatoria. Quando i trentenni di adesso fra 30/35 anni andranno in pensione, la pensione obbligatoria sarà ridotta, rispetto a quelle di oggi e degli anni passati e futuri [fino al 2014 ndr], per una serie di motivi. Non ultimo quello legato all'invecchiamento della popolazione: fra 30/35 anni ci sarà un numero molto maggiore di anziani rispetto ai giovani che allora lavoreranno; c'è quindi il problema di contenere quella spesa che non potrà passare certi limiti. Questo si tradurrà in pensioni che saranno relativamente più basse. Il livello della pensione non sarà particolarmente alto, adeguato forse sì, minimo sì, ma non certo da permettere una vita agiata. Di qui la necessità di un'integrazione in modo che il giovane che fra 30 anni andrà in pensione possa contare su due fonti di reddito: una pensione obbligatoria, e una che dovrà integrare la prima.

pd - Ci sono dei rischi nell'affidare alle banche o alle assicurazioni (fondi aperti) le quote messe via per la pensione complementare?
Qualche rischio c'è. Sia i giovani che i meno giovani possono scegliere di destinare il futuro tfr (non quello che è stato accumulato fino ad oggi e che rimane così come è, ma quello che maturerà negli anni futuri) a un fondo pensioni dove potranno fare delle scelte: ci sono varie linee di investimento, quelle un po' più rischiose, che prevedono l'acquisto di azioni, e un po' meno rischiose, che prevedono l'acquisto di obbligazioni o di titoli del tesoro. In genere nelle linee un po' più rischiose il valore dei titoli acquistati può subire oscillazioni che i titoli del tesoro difficilmente hanno. C'è sempre la combinazione: rendimento aspettato maggiore/più variabilità e più rischio - rendimento minore/meno variabilità e meno rischio. Il singolo lavoratore che avrà destinato il suo Tfr ai fondi pensione, che avranno molte risorse, potrà scegliere la linea di investimento che preferisce. Quindi il rischio potrebbe essere molto contenuto investendo in linee meno rischiose.

pd - La specificità dei fondi chiusi dipende dal territorio di appartenenza del lavoratore. Non c'è pericolo di disparità di trattamento?
Certamente, però dovremo abituarci a un certo livello di decentramento che sarà rafforzato con forme di federalismo fiscale. Già oggi ci sono differenze consistenti da un territorio a un'altro, per esempio nell'ici e nei servizi pubblici locali. Il welfare avrà sempre di più una componente locale, diversa da territorio a territorio. Capisco la domanda: lei dice "ma qui parliamo di garanzie, di diritti e quindi creare discriminazioni e differenze può non essere equo". Può darsi, però dobbiamo abituarci a pensare che è sulle garanzie e i diritti fondamentali che deve esserci uniformità sul territorio nazionale. Per altre forme di garanzie una certa differenziazione può essere utile: è importante che per certe cose ci sia un forte legame fra il cittadino e l'autorità locale ed è importante che il cittadino sia partecipe e anche in grado di controllare come vengono utilizzate le risorse a livello locale. Nel caso della previdenza complementare (esclusi i fondi chiusi per categoria) un certo spazio è lasciato anche al territorio. Il titolo V della Costituzione prevede questa come una zona in cui possono legiferare sia lo Stato che le Regioni.

pd - Quindi lei sta dicendo che la pensione complementare dovrebbe giocare un ruolo importante e una spinta forte verso forme di federalismo e di autonomia regionale capace di legare le persone al territorio e quindi renderle partecipi della vita del territorio e della politica non soltanto al livello locale, ma anche, poi, dal locale al nazionale.
Sì certamente. E soprattutto laddove si parla di welfare integrativo. Perché se parliamo di standard minimi sotto i quali non si può andare, allora questo aspetto deve riguardare la cittadinanza nazionale. Per tutto ciò che, invece, sta sopra questi livelli minimi è opportuno che ci siano forme di autonomia: l'autonomia sviluppa la partecipazione democratica e quindi, laddove essa si può sviluppare, occorre garantirla o riconoscerla.

pd - Cosa consigliare ai giovani che si apprestano a scegliere: meglio scegliere fondi negoziali chiusi, già sperimentati e con una tradizione, oppure provare gli altri?
Non mi sentirei di dare una raccomandazione troppo forte per non creare certe iniziative piuttosto che altre. Non è però una scelta per la vita perché dopo un certo numero di anni è possibile cambiare fondo. Forse, all'inizio avrei una leggera preferenza per i fondi negoziali chiusi perché è più facile per un lavoratore avere un rapporto trasparente e amichevole con i suoi rappresentanti e anche perché in questi fondi possono confluire somme aggiuntive da destinare ai fondi pensione. Ci possono essere, infatti, delle quote contrattate fra sindacati e datori di lavoro da aggiungere al tfr. E questo sarebbe un vantaggio.

pd - Ci sono categorie di lavoratori che rispetto alla previdenza obbligatoria in qualche modo risultano privilegiate?
Ci sono le famose casse speciali di lavoratori. Lì c'è una fascia di lavoratori che godono ancora di condizioni che sono più favorevoli non tanto rispetto ai lavoratori degli altri comparti che vanno in pensione ora, ma rispetto a quelli che gradualmente ci andranno man mano con parte della loro pensione calcolata con il sistema contributivo. Questo avverrà solo dal 2014, quindi c'è tempo.
Come si è fatta una riforma della pensione obbligatoria nel senso contributivo per garantire la sostenibilità della finanza pubblica, è previsto che anche queste casse dovranno adeguare i loro statuti in modo da garantire una sostenibilità di lungo periodo. Molte casse in questo momento hanno molti lavoratori attivi e pochi pensionati; possono così permettersi di garantire pensioni anche generose. Questa proporzione fra lavoratori attivi e pensionati però cambierà e diventerà via via meno favorevole, come è successo per la popolazione nel suo insieme, invecchiando. È allora importante che fin da adesso, per quei giovani che oggi pagano i contributi e che poi andranno in pensione, esse adeguino i loro statuti alle caratteristiche del funzionamento della pensione obbligatoria e che pensino al loro futuro: quando anche loro avranno molti pensionati da sostenere.

pd - Ci saranno molti anziani e pochi giovani per sostenere la spesa previdenziale. Allora, in qualche modo l'ondata di immigrazione potrebbe migliorare la situazione demografica, e quindi anche la situazione economica dal punto di vista della previdenza?
Certamente sì. La riforma è stata fatta sulla base di proiezioni (fatte dal governo ma accettate anche dall'UE) che tengono conto della immigrazione e del tasso di fertilità delle donne: si prevede che nei prossimi 30 anni ci sia un volume di immigrazione di 150.000 unità all'anno e che il tasso di fertilità delle donne - che è ora di 1,2 figli - aumenti solo di poco. Per essere in pareggio il tasso di fertilità femminile dovrebbe essere superiore a 2. Siamo il paese con il tasso di fertilità più basso al mondo, insieme al Giappone, e questo è frutto di decisioni prese negli ultimi 30 anni.
Se l'immigrazione fosse maggiore di quella prevista e aumentasse di più anche la fertilità femminile certamente le cose potrebbero andare un po' meglio. Si tratta però di fattori che coprono un lungo periodo ed hanno effetti positivi a lunga gittata: ci vogliono infatti almeno 20 anni perché la decisione di fare un figlio porti una persona in più nel mercato del lavoro.
Io non so se saremo in grado di accettare e integrare più di 150.000 immigrati all'anno e non conosco i tempi di variazione del tasso di fertilità, però non c'è dubbio che fra il 2015 fino al 2040 dovremo affrontare una situazione molto difficile: la popolazione invecchierà e l'occupazione probabilmente diminuirà e il tasso di crescita del nostro paese sarà destinato ad abbassarsi perché la forza lavoro diminuirà. C'è solo da sperare che dopo il 2040 possa cambiare in meglio ma bisognerebbe già darsi da fare fin da adesso.

Nel governo, chi si occupa di pensioni e di lavoro si occupa anche di famiglia?
No. Sono ministeri diversi e la gravità della situazione è anche un po' frutto di questa decisione non molto saggia di spezzettare le competenze all'interno del governo.

m.m.


__________
* Professore Ordinario di Economia Politica presso L'Università Cattolica di Milano e Direttore del Centro di Ricerche Economiche sui problemi del Lavoro e dell'Industria (C.R.E.L.I.)

 

Homepage

 

   
Num 68 Aprile 2007 | politicadomani.it