Pubblicato su politicadomani Num 68 - Aprile 2007

L'intervista
Diagnosi e "prevenzione" del carcinoma mammario
Presso l'ospedale di Colleferro (RM), un centro di diagnosi e terapia del tumore alla mammella che interessa una vasta utenza della provincia sud di Roma

di A cura di Maria Mezzina

Colleferro. Una stanzetta di un ospedale di provincia. Dopo una lunga giornata di lavoro, fra pazienti interni, radiologie e visite ambulatoriali, la dott.ssa Rosaria Minerva, responsabile della Diagnostica per Immagini, e il dott. Marco Federici, medico radiologo, accettano di rispondere ad alcune domande di "politicadomani".

Pd: Quali servizi di diagnostica offre il vostro reparto, quanti pazienti accoglie e qual'è l'incidenza della malattia sui casi da voi esaminati?
Dott. R.M. e M.F.: "Il reparto è nato con l'ospedale e si è via via specializzato: prima c'era soltanto l'ecografia e la radiologia; poi, nel 1997, è arrivata la TAC; ora esiste una sezione di senologia. Manca ancora la risonanza magnetica perché la radiologia sia quasi al completo. Manca anche qualche altra sezione e disciplina per essere un centro veramente completo. Già così, però, accoglie dai 22.000 ai 23.000 pazienti l'anno che sono sottoposti a radiologia tradizionale.
La percentuale di coloro che risultano positivi agli esami di diagnostica dipende dal tipo di esame fatto: è minore del 20% nella radiografia tradizionale (mammografia); è intorno al 20% nell'ecografia dove, però la media è del 30% per i pazienti ricoverati e meno del 10% per quelli ambulatoriali. Con la tac la percentuale sale all'80%. La ragione dell'impennata è che si sottopongono a questo esame persone che già hanno una qualche forma di patologia perché la tac non è un esame di screening come lo sono, invece, la mammografia e l'ecografia."

Pd: Ci sono nell'ospedale anche pazienti privati?
Dott. R.M. e M.F.: No. I pazienti che vengono nell'ospedale di Colleferro appartengono tutti al servizio sanitario nazionale. L'ospedale non è ancora attrezzato per accogliere i pazienti privati: mancano gli spazi e le attrezzature perché i medici possano fare anche attività libero/professionale.

Pd: Parliamo di prevenzione. Come funzionano i programmi di screening? E come giudica i tempi di attesa a cui sono soggetti i pazienti del servizio sanitario nazionale?
Dott. R.M. e M.F.: Lo screening per il carcinoma alla mammella ha regole ben precise: innanzi tutto le donne non si sottopongono all'esame di loro volontà, ma vengono invitate. Donne della fascia di età fra i 50 e i 69 anni, vengono chiamate attraverso le liste elettorali ogni due anni: si fissa un appuntamento ed esse arrivano per l'esame in base all'appuntamento. Esistono in zona programmi di screening sia ad Albano che qui a Colleferro. In questo caso non ci sono tempi di attesa. Fuori di questa fascia di età e in centri dove non c'è screening sono le donne stesse, sollecitate spesso dai medici di famiglia, a richiedere gli esami: è in questo caso che ci sono tempi di attesa. Da noi il tempo medio di attesa per una mammografia è di circa due mesi. Un periodo di due o tre mesi non cambia la gravità o meno di una neoplasia mammaria perché essa, prima di mostrarsi macroscopicamente in modo palese rimane nascosta per anni. Il tempo di latenza, inoltre, dipende dai tipi di cancro e dalla rapidità di crescita delle cellule: alcuni tipi di cellule tumorali sono molto aggressive, hanno una crescita veloce e violenta, altre, quelle del tumore medio classico hanno una crescita molto più lenta e un periodo di latenza che dura anni, nel carcinoma duttale (un tipo di tumore alla mammella n.d.r.), ad esempio, la latenza arriva fino a 6 anni. In ogni caso non si può parlare di prevenzione, perché il cancro non si previene, ma piuttosto di diagnosi precoce: almeno ogni 12/18 mesi la donna dovrebbe sottoporsi ad una mammografia e ad un'ecografia, fatte possibilmente dalla stessa persona, in modo da individuare il tumore quando è ancora molto piccolo.

Pd: Perché è importante che sia la stessa persona a fare ambedue gli esami?
Dott. R.M. e M.F.: Quello che normalmente succede, è che è quanto mai deleterio per una donna, è che vada a fare la mammografia da A, poi l'ecografia da B, poi l'ago aspirato da C, e così via. In questo modo si perdono dati e si perde tempo. È importante invece che ci siano centri di studio del tumore alla mammella dove la donna viene presa dall'inizio fino, eventualmente, alla fine: cioè fino al momento in cui, risultando positiva, sia sottoposta ad una terapia. È in queste strutture allora che deve avvenire il primo e più importante coordinamento: fra colleghi, con l'oncologo, con l'anatomopatologo, con il chirurgo, con lo psicologo. Solo dopo, in presenza di un caso particolare si può andare in centri di eccellenza, dove hanno più attrezzature e più casistica, per fare, se è il caso, anche una risonanza magnetica alla mammella. È allora che scatta il coordinamento fra centri, perché io medico chiamo quel centro di eccellenza, più attrezzato, e chiedo a un mio collega: "Cosa devo fare in questo caso? Facciamo la risonanza? Dobbiamo studiare? È bene fare una TacPet (TAC, tomografia assiale computerizzata, + PET, tomografia ad emissione di positroni, n.d.r.) ? Dobbiamo fare la radioterapia?". È questo il modo migliore per affrontare il problema, insieme, naturalmente, alla competenza delle varie figure professionali.

Pd: Quali sono le terapie, quelle classiche e quelle straordinarie, per affrontare e debellare il cancro?
Dott. R.M. e M.F.: Esistono vari tipi di terapie, ma ciascuna va usata a seconda dei casi; la radioterapia classica, ad esempio, non va sempre usata. Esistono condizioni, specifiche particolari di avanzamento della malattia, di diffusione, di tipo della malattia, che permettono e consigliano l'uso di radioterapia. Il tumore mammario viene studiato, classificato, gli viene assegnato un grado di invasività sia d'organo (locale), che generale (sull'intero sistema); i casi già studiati vengono inseriti in gruppo, e ad ogni gruppo corrisponde una determinata terapia. Questa, a seconda dei casi potrebbe essere una radioterapia classica, oppure una chemioterapia, o una immunoterapia o una combinazione di queste. Fino ad arrivare alla radioterapia intraoperatoria, con la quale si attacca con radiazioni mirate esattamente la parte colpita dal tumore. Essa che serve soprattutto a ridurre la massa tumorale, perché quando la lesione ha superato dei limiti e non è operabile, deve essere eventualmente ridotta prima di poter fare un intervento. Si tratta di una terapia molto nuova e disponibile solo in pochi centri in Italia: a Milano e a Roma.

Pd: Come è cambiata l'incidenza della malattia e la mortalità negli ultimi 20 anni?
Dott. R.M. e M.F.: La mortalità si è abbassata moltissimo ma, paradossalmente, l'incidenza del cancro alla mammella è aumentata dal 2 al 5 per mille; ogni anno ci sono 30.000 nuovi casi. In realtà è aumentato il numero di donne che si sottopongono a test diagnostici, e quindi, più che l'incidenza, sono aumentate le diagnosi di tumore alla mammella.

Pd: Ci sono fattori di rischio?
Dott. R.M. e M.F.: Si, ed essi sono sia genetici, sia ambientali. In ambito genetico sono stati individuati due geni che favoriscono lo sviluppo del cancro alla mammella: il BRCA1 e il BRCA2. Altri fattori sono la familiarità e il carattere ormonale, della donna. Nella nostra breve anamnesi, noi chiediamo alle donne se ci siano in famiglia casi di cancro, a che età esse hanno avuto la prima mestruazione (menarca), quando sono andate in menopausa, se hanno avuto gravidanze. Il tumore alla mammella è, infatti, dipendente dagli stimoli ormonali, soprattutto dagli stimoli estrogenici. Più una donna è sottoposta nell'arco della vita a stimoli ormonali, più è a rischio: una donna che ha avuto il menarca a 12 anni ed è andata in menopausa precoce ha meno probabilità di ammalarsi di tumore alla mammella che una donna che ha un periodo di fertilità molto ampio.
Tra i fattori ambientali ci sono fattori di rischio legati all'alimentazione: se è ricca di grasso. Il tumore alla mammella ha infatti un'incidenza molto maggiore nei paesi industrializzati. Questo probabilmente anche perché nei paesi sottosviluppati non si fa la diagnosi precoce.

Pd: Quali raccomandazioni desiderate fare ai nostri lettori?
Dott. M.F.: Noi vediamo donne cariche di paura e di ansia: è ingiustificata perché nel tumore alla mammella siamo riusciti ad arrivare a un ottimo risultato: non dico a sconfiggere la neoplasia, ma, se si fa una diagnosi precoce, ad una sopravvivenza a 15 anni per il 98-99% dei casi di cancro maligno che può essere altamente devastante. La donna non deve abbassare la guardia, ma deve sapere questo e deve presentarsi al centro con serenità, come i bambini che vanno a farsi la vaccinazione, e lasciar perdere certe trasmissioni del pomeriggio che fanno del terrorismo.
Dott.ssa R.M.: Si parla sempre di qualche caso di malasanità, ma mai dei molti casi di buonasanità. Si tratta di una buonasanità che stiamo cercando di distruggere in tutti i modi, con tutte le possibili conseguenze. Da tante parti si auspica un modello di sanità americana; però, quando lì ci si ammala si viene abbandonati. Bisogna parlare di più di buona sanità. Perché dietro la sanità pubblica italiana c'è tantissima buona volontà di tutti gli operatori, non solo dei medici. Essi molto spesso si espongono personalmente, quando vogliono fare delle buone cose, perché non sempre hanno i mezzi a disposizione. Ma mai nessuno che dica loro un grazie, perché, nonostante i pochi mezzi a disposizione, le cose vengono fatte funzionare comunque.

 

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