Pubblicato su politicadomani Num 68 - Aprile 2007

Risorse idriche
L'acqua nel diritto internazionale
"L'acqua e non la politica sarà la causa della prossima guerra nella nostra regione"(Boutros Ghali)

di Maria Mezzina e Consuelo Quattrocchi

"Chi gioca con l'acqua gioca con il fuoco". L'affermazione di Golda Meir mostra quanto, lungo tutto il corso della storia, in un contesto di diseguale distribuzione delle risorse idriche a livello mondiale e di un incessante aumento della domanda, l'acqua sia sempre più un obiettivo strategico generatore di conflitti tra Stati. In assenza di una vera e propria legislazione internazionale sul tema, l'uso e lo sfruttamento delle (poche) risorse idriche restano ampiamente dominati dai rapporti di forza fra gli Stati interessati. Da qui derivano gli idroconflitti che sono fra le cause prime di contenziosi locali, fra le popolazioni, e internazionali, fra gli Stati.
I piani di sfruttamento dell'Eufrate progettati dalla Turchia sono un esempio di quanto siano esplosivi i rapporti fra Stati in relazione all'acqua. Se la Turchia, infatti, prelevasse realmente la quantità d'acqua prevista dai propri progetti, la portata dell'Eufrate disponibile per la Siria si ridurrebbe del 40%. E ancora, se sia la Turchia che la Siria prelevassero dall'Eufrate le quantità d'acqua da loro ritenute necessarie ai propri fabbisogni, la disponibilità di risorse idriche per l'Iraq sarebbe inesistente. La stessa situazione si verrebbe a creare tra Israele, Siria e Giordania per l'uso delle acque del fiume Yarmuk. Sfruttamenti idrici messi in atto da un solo paese a monte possono provocare una serie di reazioni a catena nei paesi rivieraschi a valle, modificando così l'equilibrio ecologico, sociale e politico di questi paesi e accrescendo il rischio di conflitti.
La disciplina del controllo dei bacini idrici si è basata negli anni su diverse teorie, tuttavia non è stato possibile elaborare in via definitiva norme capaci di regolare la questione a livello generale, pertanto la risoluzione di dispute è stata sempre rinviata all'accordo tra gli Stati.
La teoria Harmon (dal nome del giurista americano, che la elaborò e la rese pubblica il 12 dicembre 1895, a proposito della controversia Stati Uniti-Messico sul Rio Grande), ad esempio, detta teoria della "sovranità territoriale" prevedeva la sovranità territoriale assoluta dello Stato "possessore" del fiume, anche nel caso in cui il fiume fosse riconosciuto come internazionale.
"In una nota del 21/10/1895 il ministro messicano Romero lamentava che in conseguenza dei lavori di irrigazione effettuati negli Stati Uniti (rivieraschi superiori del fiume) il volume dell'acqua risultava fortemente diminuito in territorio messicano con grave danno per gli abitanti. Rivendicando la priorità temporale degli usi del Rio Grande da parte del Messico e una priorità di posizione giuridica, la nota denunciava come il comportamento statunitense costituisse una violazione del diritto internazionale. Nell'enunciare la sua dottrina Harmon si rifece ad una precedente decisione del 1812 nella quale la Corte Suprema affermava una giurisdizione assoluta ed esclusiva degli Stati Uniti nel suo territorio. [...] La dottrina Harmon trovò sostenitori anche al di fuori degli Stati Uniti". (http://files.studiperlapace.it/docs/alqaryouti.pdf).
È abbastanza evidente, tuttavia, che una teoria fondata sulla sovranità territoriale assoluta è priva di fondamento nel mondo contemporaneo nel quale è fortissima l'interdipendenza degli Stati a livello globale; un mondo caratterizzato per di più dalla scarsità di risorse naturali, in particolare dell'acqua, dalla disponibilità di mezzi tecnici sempre più evoluti e raffinati e dalla necessità di proteggere l'ambiente. La prassi degli Stati coinvolti in controversie idriche è ispirata a politiche di "buon vicinato" e mette in evidenza un progressivo abbandono di tale teoria, anche da parte di quelle nazioni che per primi l'avevano proposta.
Un'altra teoria è quella del "flusso naturale", nota anche come teoria dell'integrità territoriale: "poiché un fiume fa parte del territorio dello stato, a ogni utente ripario inferiore spetta il flusso naturale del corso d'acqua, non ostacolato dagli utenti ripari superiori. Il proprietario ripario superiore deve permettere che l'acqua fluisca nel suo alveo naturale fino al proprietario inferiore con un uso ragionevole da parte del primo utente. Questo principio deriva dalla legislazione britannica sulla proprietà privata e si applica all'acqua in uno stato unitario" (Vandana Shiva, "Le guerre dell'acqua", Feltrinelli, 2003).
Oggi, dopo una serie di convenzioni e di trattative internazionali, sancite dalle Regole di Helsinki del 1966, la teoria prevalente sancisce "l'uso equo e ragionevole", per cui gli Stati a monte non possono utilizzare indiscriminatamente le acque a danno degli utenti a valle (teoria dell'utilizzo equo) e "il diritto per ogni paese di usufruire" del flusso naturale di acqua che attraversa il proprio territorio (teoria del flusso naturale). Gli articoli 5 e 6 delle Regole di Helsinki obbligano i paesi interessati a una "equa e ragionevole utilizzazione delle acque"; il comma 2-11 dell'art. 6 formula il principio della innocuità degli interventi idrologici e cioè vieta di recare un danno rilevante (substantial injury) al flusso delle acque internazionali, mentre l'art. 7 stabilisce l'obbligo della cooperazione fra Stati nella gestione di acque internazionali.
Tuttavia né le regole di Helsinki, né la successiva Convenzione dell'Onu riguardante gli usi diversi dalla navigazione dei corsi d'acqua internazionali assicurano la necessaria giustizia. Specie perché nessuno dei trattati internazionali si prende carico della diversità dei bacini, del cambiamento delle situazioni dei paesi attraversati dai corsi d'acqua internazionali, dell'impatto ecologico collegato ai progetti idrici e alle varie forme di sfruttamento delle acque, del ciclo dell'acqua. Scrive infatti Vandana Shiva nel libro citato:
"La prospettiva ecologica contribuisce anche a correggere l'idea che l'acqua conservata sia acqua sprecata. L'acqua ecologicamente non sfruttata può essere fondamentale nel mantenere processi ecologici essenziali come la ricarica del sottosuolo e l'equilibrio delle acque dolci.
I legami ecologici tra l'acqua di superficie e quella sotterranea e tra l'acqua dolce e la vita nell'oceano non hanno ricevuto la necessaria attenzione nella gestione delle risorse cosi come nei quadri giuridici".

 

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