Pubblicato su politicadomani Num 67 - Marzo 2007

A Destra come a Sinistra
La vexata questio del revisionismo storico
Rivedere significa porre sul tavolo anatomico fatti, personaggi e vicende, senza scartare le acquisizioni consolidate, sulla base di ogni nuovo eventuale dato e documento, con una sensibilità critica aperta e matura

di Vincenzo Pacifici*

Secondo una delle lezioni più elementari di metodo storico, il ricercatore, che, citando, utilizzando o addirittura pubblicando un documento, non fornisca precise e dettagliate coordinate archivistiche, acquista per sé la patente di scarsa serietà e di misera attendibilità. Il documento, infatti, deve essere facilmente reperibile per essere da altri esaminato, analizzato, in una parola revisionato.
Questa del "revisionismo storico" è una vexata quaestio, in cui è indispensabile evitare, a rischio di abbandonare logica e serietà, le interpretazioni smaccatamente reazionarie (la storiografia neo-borbonica) o palesemente assurde (la storiografia "negazionista" di David Irving). Rivedere, riesaminare significa porre sul tavolo anatomico fatti, personaggi e vicende, senza scartare le acquisizioni consolidate, sulla base di ogni nuovo eventuale dato e documento, con una sensibilità critica aperta e matura.
Due esempi appaiono particolarmente calzanti: le celebrazioni per il secondo centenario della nascita di Mazzini, svoltesi nel 2005, hanno avuto toni sicuramente meno enfatici rispetto a quelli usati nel 1905; le commemorazioni per il bicentenario della nascita di Garibaldi, programmate per il 2007, certamente saranno impostate lontane dai caratteri posseduti cento anni or sono perché altrimenti non avrebbero né senso, né logica, né misura.
La premessa è logicamente legata al dibattito aperto dalle opere di Pansa, da "I figli dell'Aquila", a "Il sangue dei vinti", a "Sconosciuto 1945" fino al recentissimo "La Grande Bugia", ha recato decisivi contributi per smascherare il "ritratto reticente, incompleto, spesso falso e dunque bugiardo della nostra guerra civile, che le sinistre italiane hanno costruito e protetto per sessant'anni".
Gli apporti recati da Pansa, secondo una centrata osservazione di Francesco Perfetti, non posseggono davvero il carattere della storicità, sono comunque "decisivi", provenendo da un uomo di sinistra coerente e lineare, sono in buona misura nuovi ed hanno colpito la Sinistra stessa, che ha reagito, aggredendo l'autore, quasi sempre con argomentazioni velenose, se non addirittura ridicole e financo isteriche.
La destra, o quel che ne rimane, non deve comunque commettere l'errore di osannare Pansa, come avesse scoperto verità oscure, come avesse segnalato fatti e momenti del tutto sconosciuti e sepolti da un silenzio protrattosi per 60 lunghissimi ed impenetrati anni. Pansa ha ampliato ed arricchito un panorama, già in parte conosciuto, ed ha reso, in maniera indiretta e sicuramente involontaria, clamoroso il comportamento del sindaco "polista" di Milano, che il 2 novembre ha "snobbato" nelle visite ai morti quelli della R.S.I.
La destra, o meglio i suoi sparsi frammenti, in momenti appena trascorsi, vittima ancora del complesso di "figlia di un dio minore", ha esaltato, quasi pianto in occasione della scomparsa, Oriana Fallaci, ha ascoltato ed ascolta, in ossequiente silenzio, le tesi di Marcello Pera e di Giuliano Ferrara.
Chi frequenta gli affollati mezzi pubblici con ingresso nelle porte anteriori, è solito ricordare agli ultimi arrivati che "dietro c'è posto" e che non è né giusto e principalmente non è onesto scalzare dalle prime file viaggiatori da tempo saliti.
Intelligentibus pauca verba!
A proposito di revisionismo mette conto segnalare nel 2006 la presentazione dell'edizione italiana del volume, curato da due studiosi americani, Robert Gellately e Ben Kiernan con 17 contributi di altri autori di differenti nazionalità, intitolato "Il secolo del genocidio". Il libro rivisita gli orrori perpetrati da Hitler e da Stalin, le persecuzioni contro le popolazioni indigene in Africa, Australia e Nord America, le atrocità di data recente commesse in Armenia, nella Cambogia di Pol Pot, nella ex-Jugos-lavia, a Timor Est, in Ruanda, Etiopia e Guatemala.
Dopo la lettura dell'opera, una incredibile galleria di violenze e di prepotenze, sorge, spontanea e prepotente, una domanda sul silenzio ininterrotto, grave e compatto della sinistra di fronte alle pagine crudeli scritte in ogni angolo del mondo da regimi e da uomini, comunque figli dell'ideologia "rossa". D'altra parte la Camera dei deputati italiana ha eletto a proprio presidente un esponente politico, che ostenta la propria ammirata devozione per quel campione di democrazia, di rispetto dei diritti umani, che risponde al nome di Fidel Castro.
Rimanendo nel campo del revisionismo, appare sempre più urgente ed indispensabile per la ricostruzione dell'Ottocento e del Novecento, affrontare, studiandole seriamente e capillarmente, nell'esplosivo problema dell'emigrazione dai paesi africani, le responsabilità delle potenze coloniali, in primo luogo della Francia e della Gran Bretagna, incapaci nel loro plurisecolare dominio, di dare ai territori posseduti e sfruttati livelli di vita civili ed umani, tanto da costringere le popolazioni ai fenomeni sconvolgenti vissuti in questi anni.
Anche la crisi delle nazioni dell'oriente ex-comunista è un tema sul quale è necessario definire le gravi colpe degli Stati Uniti ed ancora di Gran Bretagna e Francia, che non hanno saputo preparare nella clandestinità o con l'offerta di una costruttiva accoglienza ai tanti esuli dall'Est una classe dirigente adeguata alle mille necessità e soprattutto onesta, in molti casi, attraverso la via elettorale, sostituita e rimpiazzata dagli epigoni del vecchio regime, appena ieri caduto con un'esultanza destinata ad essere delusa.
Da ultimo, sempre sul tema di un rinnovato, più dettagliato studio del passato, nasce un ulteriore interrogativo, destinato, come tanti altri, troppi altri, a rimanere senza risposta: perché accanto alle vittime, mai adeguatamente rimpiante, delle stragi compiute dai nazisti, non si ricordano con pubblicazioni di ampia diffusione e si commemorano con pari solennità le migliaia e migliaia di morti, ugualmente innocenti, caduti sotto i bombardamenti anglo-americani ?
Ultimamente Gianfranco Fini ha riconosciuto la necessità di "un lungo lavoro culturale da fare per ridare identità all'Occidente". Ora, senza interrogarlo sull'individuazione dei responsabili della perdita dell'identità (popolari e socialisti), a lui come a tutti noi noti, c'è da chiedergli cosa aspetti per iniziare il sacrosanto "lavoro" dall'Italia. Forse il biglietto per il loggione o per le curve, graziosamente concesso tra tre anni, dal PPE?

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* Il Prof. Vincenzo Pacifici è ordinario di Storia contemporanea nella Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università La Sapienza di Roma e Presidente della Società Tiburtina di Storia e Arte.

 

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