Pubblicato su politicadomani Num 67 - Marzo 2007

Donne e lavoro
Occupazione, sostantivo femminile declinato al maschile
Le quota rosa nel mondo del lavoro crescono ma il muro c'è ancora

di Fabio Ciarla

Il montepremi del prestigioso torneo di Tennis di Wimbledon, in Inghilterra, sarà diviso in parti uguali tra il vincitore maschile e la vincitrice femminile. Questa è la notizia degli ultimi giorni. La divisione equa è certa solo per il primo premio in palio ma non per quelli delle posizioni a seguire. Lo sport si fa precursore dei tempi in quanto a parità tra i due sessi, anche se il fatto ha destato una buona dose di malumore tra gli affezionati alle prerogative maschili di una tradizione, quella britannica, che annovera sul trono, ultimamente, più Regine che Re.
Ironia della sorte forse, ma questa discriminazione di genere sta unendo i padri che hanno deciso di sfruttare le novità normative in tema di congedi parentali (Legge n. 53 del 2000). Diversi sono i casi di declassamento, mobbing di vario genere e spostamento in settori di minore importanza che hanno colpito i padri che hanno deciso di occuparsi dei loro figli. Una soluzione, quella dei congedi parentali per entrambi i genitori, che era stata pensata anche per ridurre l'impatto della nascita di un bambino nella vita lavorativa delle donne, accorciando i tempi di reinserimento, e che, invece, sta causando in alcuni casi solo una equa ripartizione delle discriminazioni. È ovvio che in una situazione del genere, quando per l'impresa la nascita del figlio di un dipendente (maschio o femmina che sia) è vissuta come un problema, difficilmente l'Italia vedrà aumentare il numero di nuovi nati nei prossimi anni.
Non è di demografia comunque che qui vogliamo occuparci - ma le due cose sono così strettamente correlate che compaiono insieme nella relazione della Commissione delle Comunità Europee del 7 fabbraio scorso ** - quanto di occupazione, un sostantivo femminile che in Italia è ancora declinato principalmente al maschile.
Le donne lavoratrici stanno aumentando, ma il muro che le divide da una piena parità è ancora lontano dall'essere abbattuto. Per partire potremmo utilizzare un dato piuttosto significativo, quello della disoccupazione femminile per provincia*. A fronte di una media italiana del 10,1% tre delle province della nostra regione si collocano bel al di sopra di questa percentuale (Frosinone 14,2%, Viterbo 13,4%, Latina 13%), una quasi allo stesso livello (Rieti 9,7%) e solo una decisamente al di sotto (Roma con l'8,4%). Dato l'enorme bacino rappresentato dalla Capitale, con il suo enorme carico di terziario notoriamente più "aperto" al lavoro femminile, la media regionale riesce a rimanere sotto quella nazionale (Lazio 9,5%). E certo, vista l'unicità di una città come Roma, c'è poco da stare allegri. A livello nazionale Bolzano e Bologna sono le province più "rosa" dal punto di vista lavorativo con percentuali di disoccupazione femminile rispettivamente del 3,5% e del 3,7%; mentre, seguendo il classico (purtroppo) filone discendente nello Stivale le situazioni peggiori sono al sud con il 27% di Foggia e il 26,8% di Caltanissetta. Anche questo dato, tuttavia, va preso con le consuete "pinze", se infatti è evidente l'aumento considerevole del numero di lavoratrici negli ultimi dieci anni, a livello europeo è altresì ben noto il perdurare di condizioni sfavorevoli per le donne con particolare riferimento alle retribuzioni, che sono in media più basse del 15% all'ora rispetto a quelle dei colleghi maschi, e al tipo di impiego, con un maggiore utilizzo di impieghi flessibili per le donne rispetto agli uomini.
Da non sottovalutare, poi, è la differenza tra riduzione della disoccupazione e riduzione dell'inattività. L'analisi dei flussi di ingresso nel mondo dell'occupazione evidenzia un miglioramento notevole in una fascia d'età, quella tra i 29 e i 45 anni, che sta a significare soprattutto un cambiamento sociale e non tanto una reale apertura del mercato del lavoro alle donne. Un mercato che, comunque, alle donne sembra offrire in particolare lavori part-time; una opportunità che, se da una parte può essere letta come una limitazione, da un'altra angolazione sembra segnalare un reale aumento delle possibilità di impiego delle donne. Flessibilità, quindi, al punto giusto per conciliare vita professionale e vita privata. Certo, questa flessibilità dovrebbe segnare solo una situazione di passaggio verso gradi più alti di stabilità. Sarebbe però profondamente sbagliato considerare la flessibilità come una soluzione a lungo termine del problema dell'impiego al femminile. Se così fosse, nel discorso sulle pari opportunità si dovrebbe ripartire da zero.
Tra rientri dall'inattività e lavori part-time, insomma, anche quella crescita sostanziale del lavoro femminile, avvenuta nell'ultimo decennio, riduce di molto la sua portata in un mondo - quello del lavoro - che continua ad essere tradizionalmente più facile, più remunerativo, più soddisfacente per gli uomini. In pochi altri settori. Inoltre, le differenze tra nord e sud, nell'Italia come nella stessa Europa, segnano un'arretratezza che potrebbe essere definita atavica; con il nostro Paese più o meno in coda alla classifica continentale e ben lontano da quel 60% di donne occupate posto come obiettivo per il 2010 dal Consiglio Europeo a Lisbona nel 2000 (quota peraltro largamente superata già nel 2003 da Danimarca, Svezia, Olanda, Finlandia e Gran Bretagna; e raggiunta di misura da Austria e Portogallo). Anche per questo organismi, come Italia Lavoro, impegnati a studiare interventi in favore dei lavoratori svantaggiati, hanno in cantiere progetti mirati a favorire l'inserimento delle donne. Di certo i modelli sociali sono fattori ancora fondamentali per l'apertura sia delle famiglie al lavoro femminile, sia delle stesse donne all'idea della necessità di avere un'indipendenza economica. Tuttavia sono molti i freni che arrivano direttamente dal mondo dell'occupazione, il quale non sembra ancora ricettivo, almeno nelle modalità e nella tempistica più opportune, alle esigenze di una donna lavoratrice che sia anche madre.
Nella scelta difficile tra maternità e realizzazione professionale, per fortuna molte donne ancora scelgono di privilegiare la prima e lottare duramente per la seconda. Qualora i valori si invertissero a risentirne non sarebbe solo il mondo femminile ma anche e soprattutto quello maschile. Di questa eventualità l'Unione Europea sembra realmente preoccupata, tanto che solo nello scorso anno ha dato vita a due importanti progetti per potenziare la parità tra i sessi: l'adozione da parte della Commissione di una tabella di marcia per la parità per il periodo 2006-2010 (firmata il 1 marzo 2006), e l'adozione da parte del Consiglio Europeo del Patto per la parità di genere (23-24 marzo 2006). Non a caso, come detto, per l'UE la politica sulla parità di genere fa da filo conduttore di due altre preoccupazioni, quella sullo sviluppo e l'occupazione e quella sui cambiamenti demografici.
L'occupazione femminile, quindi, non rappresenta più semplicemente un fatto ideologico legato ai diritti delle donne (per quanto questo aspetto non vada dimenticato) ma un'esigenza di ben essere e prosperità delle nostre società. Quando si parla quindi di discriminazione verso le lavoratrici dobbiamo essere consapevoli che i frutti negativi di questo stato di cose si ripercuoteranno, inevitabilmente, sulla qualità di vita di tutti noi, uomini e donne.

* Fonte: Elaborazione di Italia Lavoro su dati Istat
** "Relazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento Europeo, al Comitato Economico e Sociale Europeo e al Comitato delle Regioni sulla parità tra donne e uomini - 2007"

 

Variazioni 1995-2003 dell’occupazione femminile per livello professionale

  Valori Assoluti (000) Valori
percentuali
di cui a tempo parziale* Quota di part-time nel 1995*

Dirigenti e Imprenditori
+ 60 4,4 14,2 4,8
Professionisti Intellettuali + 199 14,7 12,8 10,1
Professioni tecniche intermedie + 684 50,4 26,0 8,7
Professioni esecutive amministrative + 162 11,9 100,0 11,0
Professioni vendita e servizi alla persona + 403 29,7 44,9 13,5

Artigiani, operai specializzati
- 186 -13,7 1,2 12,7
Conduttori impianti e operai semi-qualificati + 20 1,4 73,6 8,0
Occupazioni non qualificate + 16 1,2 100,0 25,9
Totale + 1358 100,0 42,4 12,7

Fonte: ISTAT, Indagine sulle forze di lavoro

 

Variazioni 1995-2003 dell’occupazione femminile per settore

  Valori assoluti
(in migliaia)
Valori percentuali di cui a tempo
parziale*
Quota part-time nel 1995*
Agricoltura - 131 - 9,6 17,8 19,8
Industria + 32 2,4 89,2 9,9
Costruzioni + 36 2,7 18,9 21,3
Commercio + 226 16,7 46,2 14,2
Alberghi e ristoranti + 160 11,8 76,7 17,4
Trasporti e comunicazioni + 83 6,1 25,7 8,3
Intermediazione finanziaria + 52 3,8 35,3 10,7
Servizi alle Imprese + 359 26,5 28,1 19,7
Pubblica Amministrazione + 115 8,5 42,6 4,4
Istruzione, sanità, servizi sociali + 293 21,6 39,6 7,0
Altri servizi sociali e alle persone + 132 9,7 23,5 29,4
Totale + 1.358 100,0 42,4 12,7

Fonte: ISTAT, Indagine sulle forze di lavoro

* Micro Dati

 

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