Pubblicato su politicadomani Num 67 - Marzo 2007

Slum
Korogocho
Una città clandestina all'interno di quella ufficiale che con gli slum risolve il problema casa a Nairobi

di Francesco Stefanini

"Piccoli mucchi di carbone a forma di piramide anneriscono la terra davanti a una stamberga di lamiera; accanto un rivolo maleodorante separa la strada dall'ingresso del Kiriguini Tea Kiosk". È così che l'inviato di Misna per il Forum Sociale del gennaio scorso descrive l'impatto con Korogocho: la quarta baraccopoli di Nairobi per numero di abitanti, dove non ci sono servizi pubblici e l'elettricità è un privilegio per pochi. Korogocho per lo Stato non esiste, e infatti non è segnata nemmeno sulle cartine. Una città clandestina all'interno di quella ufficiale: che con gli slum risolve il problema casa a Nairobi.
"Korogocho vuol dire confusione, in lingua kikuyo. È uno degli slum di Nairobi, a 11 chilometri a Est dal centro dei palazzi di governo e dei grattacieli delle banche. Una famiglia di quattro persone vive con poco meno di 70 euro al mese, l'85% delle persone è sotto la soglia di povertà assoluta. Si stima che l'AIDS/SIDA colpisca tra il 50 e il 70% della gente" - così il reportage "Korogocho non esiste" di Pietro Raitano, tratto dal sito www.korogocho.org - "c'è abuso di alcool: qui si autoproduce e si rivende il changaa, distillato di canna o mais, a volte tagliato con cherosene. C'è droga di ogni tipo e a buon mercato. Tra i tossicodipendenti tanti bambini di strada, che qui sono migliaia, attaccati alle loro boccette di colla. Metà delle famiglie sono in realtà madri con figli, senza padri. È facilissimo trovare armi, anche in affitto: arrivano dalla Somalia. Ci sono violenze e rapine e la polizia non c'è. Korogocho è affollata: 150 mila persone vivono stipate e compresse in un fazzoletto di terra. Le baracche censite sono 11 mila e 600. Ogni casa ha cinque, sei stanze. In ogni stanza vive un'intera famiglia, un lenzuolo divide la zona giorno da quella notte. Ogni residente dispone di 10, forse 15 metri quadri per lavorare, muoversi, dormire. Qui come in tutti gli slum non c'è proprietà privata della terra: il terreno appartiene allo Stato. Chi ha realizzato le baracche ha un permesso di occupazione temporanea del suolo, che è revocabile in qualsiasi momento". La zona della baraccopoli è chiusa dal fiume che dà il nome alla capitale del Kenya e dalla discarica di Mukuru, dove arrivano tutti i rifiuti della città. Un missionario comboniano scrive: "da Mukuru arriva un fetore insopportabile che si spande verso il resto della 'bidonville'. Lì vivono migliaia di persone, in mezzo a montagne di rifiuti di ogni genere e provenienza, e una cinquantina lavora a progetti di riciclaggio, raccogliendo vetro, ferro e carta".
A Nairobi sono 199 le baraccopoli che l'Onu ha contato. Su 4 milioni di abitanti nella capitale, circa 2,5 milioni vivono negli slum, ma occupano solo il 10% del territorio urbano. Dall'altra parte della città c'è Kibera. La definiscono la baraccopoli più grande dell'Africa, anche se per molti la maggiore resta la sudafricana Soweto. "Di fatto nei circa 3,5 chilometri quadrati di Kibera vivono stipate intorno alle 700.000 persone, e molte di loro abitano 'nella ferrovia'. Non vicino o accanto, ma proprio ai due lati di un binario sul quale ogni giorno passano uno o più treni". Questa la testimonianza di Padre Riccardo Gomez, sacerdote messicano, che aggiunge: "ogni giorno il convoglio miete le sue vittime. Sulle rotaie muoiono gli ubriachi che di notte non si accorgono del passaggio del treno; o la gente vi lascia i cadaveri di chi è morto negli scontri all'interno dello 'slum'. Quel che più lascia interdetti è che, a pochi metri dalla ferrovia, si staglia un lussureggiante campo da golf in un terreno di proprietà dell'ex presidente keniano Daniel Arap Moi".
Tra la spazzatura e il degrado di Korogocho emerge, di tanto in tanto, qualche segnale di speranza. "Se ne parla sempre molto male ma ci sono anche realtà positive" dice il giornalista Japheth Olmoch Ogolla, dell'emittente cattolica Radio Waumini. "Una di queste è il 'Boma rescue centre', che aiuta i bambini di strada fornendo loro assistenza, educazione e pasti", prosegue poi il giornalista. "Un altro piccolo elemento di normalità in questa sorta di mondo capovolto è una biblioteca all'interno di un centro cattolico, in apparenza uguale a tante altre, con i libri in ordine negli scaffali e qualche studente impegnato nella lettura. È il cartello all'entrata a fare la differenza: oltre ai soliti inviti a fare silenzio e restituire i volumi dopo averli consultati, si prega i bambini di 'non entrare nel locale con armi' e 'non usare né spacciare droghe".

 

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Num 67 Marzo 2007 | politicadomani.it