Pubblicato su politicadomani Num 67 - Marzo 2007

Strategie
Exxon Mobil vs Kyoto
La multinazionale del petrolio statunitense ha investito fondi enormi per convincere un numero consistente di studiosi e scienziati a sorvolare sulle responsabilità umane dell'inquinamento ambientale e svilire così di fatto il trattato di Kyoto

di Claudio Ferrante

La Exxon Mobil Corporation, società petrolifera statunitense, è nata dallo smantellamento della Standard Oil di John D. Rockefeller che agli inizi del XX secolo controllava quasi totalmente il mercato petrolifero degli Stati Uniti. Nel 1911, in applicazione della legge antitrust, la Standard Oil dovette dividersi in diverse società; dalla più importante di queste, la Standard Oil del New Jersey, fu creata nel 1972 la Exxon. In Europa essa è conosciuta soprattutto per uno dei suoi marchi, quello della Esso. Attualmente la Exxon continua ad essere la prima compagnia energetica del pianeta e, secondo uno studio dell'Ucs (Union of Concerned Scientist, che conta oltre duecentomila membri fra scienziati e semplici cittadini)*, nel quale compare una classifica dei paesi che risultano i maggiori inquinatori ambientali in ordine alle emissioni di gas serra. La compagnia è paragonata per capacità inquinanti ad uno stato:e come tale, anche, essa si comporta, dal momento che possiede perfino un esercito privato. Nella poco onorevole graduatoria la Exxon si trova al sesto posto, dopo l'India e prima della Germania. Gli studiosi che hanno realizzato questo studio per l'Ucs hanno analizzato i prodotti finali della Exxon: benzina, olio combustibile, gasolio, kerosene ed altro: dalle analisi risulta una produzione di anidride carbonica (il principale gas serra) a dir poco preoccupante.
Quanto a inquinamento ambientale, l'azienda americana era balzata agli "onori" della cronaca già nel 1989 quando, in seguito ad una collisione, la sua petroliera Exxon Valdez si incagliò nelle acque del Prince William Sound e rovesciò nel golfo dell'Alaska più di 30 mila tonnellate di petrolio. Il disastro ecologico prodotto costrinse il governo statunitense a rivedere i requisiti di sicurezza delle petroliere.
Oggi la Exxon ha riconquistato le pagine dei quotidiani (pochi, per la verità, e mai in prima, a dispetto dell'importanza della notizia) per questioni meno accidentali e sicuramente più gravi. Il suo ex presidente, Lee R. Raymond, ha dichiarato, nel suo ultimo rapporto datato 2004, l'impegno dell'azienda a sottoporsi a giudizio relativamente alla sua responsabilità e al suo impegno a osservare i più alti standard etici. Raymond ha dato le dimissioni all'inizio del 2006 ricevendo una liquidazione di 400 milioni di dollari, una buonuscita che ha il sapore di una gratitudine tutta particolare.
Intanto si concretizzava nei confronti della Exxon Mobil l'accusa di aver finanziato con 16 milioni di dollari, tra il 1998 e il 2005, una rete di organizzazioni capaci di generare incertezza in tema di condizionamento dell'equilibrio ambientale. Anche il "The Guardian" ha rivelato che la Exxon ha offerto 10mila dollari a vari scienziati perché refutassero le conclusioni del quarto rapporto del Giec, Commissione intergovernativa sui cambiamenti climatici - stabilita dal WMO (World Meteological Organization) e dall'UNEP (United Nations Environment Programme) - e l'Ucs. Il prestigioso quotidiano ha denunciato che più del 45% dei 1600 scienziati statunitensi interrogati hanno detto di avere ricevuto o hanno saputo di pressioni provenienti dal mondo dell'economia che miravano a convincere gli scienziati a non parlare di "riscaldamento globale" o di "cambiamenti climatici". La stessa strategia sarebbe stata usata per sollevare dubbi anche su questioni molto più evidenti e scientificamente provate facendo leva su informazioni "addomesticate" fatte passare sui grandi media (la televisione innanzi tutto) che solo apparentemente sono indipendenti. Tutto allo scopo di confondere il grande pubblico e perfino i giornalisti, i quali si danno da fare per diffondere voci che, dietro una presunta imparzialità scientifica, cercano di persuadere l'opinione pubblica che non c'è nulla di definito nel dibattito sulle responsabilità umane del riscaldamento terrestre e che tutto deve essere ancora accertato. Il risultato è il blocco delle politiche d'intervento, con particolare riguardo al trattato di Kyoto, volte a limitare le cause (o le concause) all'origine dell'effetto serra. Un prolungamento di "dubbio scientifico" che è sostenuto economicamente dalla Exxon e politicamente dalla stessa Casa Bianca. La Exxon ha infatti finanziato in modo consistente il Partito Repubblicano e un po' di soldi sono andati anche al Partito Democratico. Non si sa mai.
L'eventuale fallimento del trattato di Kyoto sosterrebbe le tesi dei sostenitori del "No" a Kyoto (che non sono solo gli Stati Uniti e l'Australia) e farebbe gli interessi delle multinazionali dell'energia (pesantemente fondate sullo sfruttamento del petrolio) come la ExxonMobil, appunto, che esulta per aver appena stabilito il record di entrate tra le compagnie americane, arrivando a 36 miliardi di dollari di utile in un anno. La Exxon, che ancora una volta è il numero uno delle compagnie petrolifere mondiali, ha presentato a gennaio conti economici superiori a quelli di alcune fra le più importanti nazioni produttrici di petrolio: i 371 miliardi di dollari il bilancio della compagnia nel 2005 superano infatti di gran lunga i 245 miliardi di dollari del prodotto nazionale dell'Indonesia, un paese che è membro dell'OPEC e che, con i suoi 242 milioni di abitanti, è il quarto al mondo per popolazione.
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* "Smoke, Mirrors & Hot Air - How ExxonMobil Uses Big Tobacco's Tactics to Manufacture Uncertainty on Climate Science" (Fumo, specchi e aria calda: come ExxonMobil usa le tattiche delle grandi marche di sigarette per creare incertezza sul cambiamento del clima)

 

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Num 67 Marzo 2007 | politicadomani.it