Pubblicato su politicadomani Num 66 - Febbraio 2007

Migrazioni, perché?
La risposta, articolata, complessa, sostenuta dalla ricchezza dei dati si trova nel Rapporto Italia 2007 dell'Eurispes e nel Dossier Immigrazione 2006 di Caritas/Migrantes

 

"La storia insegna che le migrazioni non sono mai spontanee, anche quando le sitiazioni economiche sono molto diverse tra un paese e l'altro, sono poche le persone che lasciano le zone più disagiate per trasferirsi in quelle più ricche. Sono state le politiche condotte dagli Stati e dai principali centri di potere privati a condizionare in maniera decisiva i flussi migratori".
Responsabili delle migrazioni di massa sono stati i soldati romani, per consolidare l'Impero; le compagnie di trasporto inglesi e olandesi, nei loro traffici in Africa e nelle Americhe; Stalin con le sue purghe; oggi avviene a causa delle politiche economiche imposte dalle istituzioni finanziarie internazionali ad opera delle multinazionali e degli stessi governi. Negli accordi multilaterali di libero scambio decisi e imposti dal WTO (Organizzazione Mondiale del Commercio) gli stati più forti impongono a quelli più deboli politiche economiche che non tengono conto della situazione delle popolazioni residenti.
"Questo sistema è deleterio per le nazioni più povere che assistono al crollo delle loro economie e delle loro strutture politiche sotto i colpi del capitale internazionale che, ormai privo di vincoli, pensa di poter investire e impiantare la propria politica economica senza dover rendere conto a nessuna istituzione, se non a quelle da esso stesso foraggiate e, quindi, compiacenti.
Dopo la caduta del muro di Berlino, nel 1989, gli Stati occidentali, paladini del liberismo economico, hanno subito invaso i nuovi mercati, senza concedere alcun periodo di adattamento né alcuna transizione: tutto doveva cambiare in queste nazioni subito, come per magia. Di colpo, come in un domino gigantesco, una dopo l'altra, decine di fabbriche dell'est sono state costrette a chiudere e milioni di persone si sono ritrovate con salari da fame o, peggio, senza nessun lavoro e senza nessuna prospettiva di vita, tagliate fuori, per sempre, dal nuovo sistema economico. I Pil dei paesi dell'ex Patto di Varsavia sono crollati a valori che ancora oggi non sono stati recuperati, l'aspettativa di vita è in discesa verticale e l'alcolismo in molte città la fa da padrone. Anche i prezzi dei beni di prima necessità hanno raggiunto i livelli di quelli esposti nei negozi dei paesi occidentali ma, contemporaneamente, le valute si sono deprezzate in maniera tale da far sparire in un batter d'occhio i risparmi di una vita.
Così i cittadini dell'Europa orientale, ma anche africani o asiatici, sono costretti dalla dura legge del liberismo economico ad abbandonare le loro case alla ricerca di un futuro migliore.
La situazione, in taluni Stati, è diventata talmente precaria che molti emigrano accontentandosi, ormai, di approdare in un qualsiasi altro inferno purché sia più vivibile di quello in cui sono stati costretti a vivere".
Così si legge nel Rapporto Italia 2007 dell'Eurispes (pgg. 931-932).

Ed ecco come il Dossier Immigrazione di Caritas/Migrantes presenta la situazione mondiale futura (pgg. 18-19).
"Secondo le previsioni dell'agenzia delle Nazioni Unite HABITAT, le persone costrette a vivere in favelas (Brasile), kampungs (Indonesia), o bidonvilles (Africa Occidentale) sono destinate ad aumentare e a raggiungere, nel 2020, 1,4 miliardi di abitanti. Nei prossimi anni India e Cina, i due paesi al mondo più popolosi, saranno i maggiori protagonisti delle migrazioni campagna-città, ma gia attualmente registrano rispettivamente 35 e 45 città al di sopra del milione di abitanti. II primato della città più popolosa spetta a un PSA (Paesi a Sviluppo Avanzato), il Giappone con Tokio, anche se tra le dieci più grandi metropoli nel mondo 8 appartengono ai PVS (Paesi in Via di Sviluppo) e sono prevalentemente asiatiche.
Nei prossimi 5 anni, inoltre, le Nazioni Unite (ONU) prevedono almeno 135 milioni di sfollati ambientali. Nel 2005, per esempio, le alluvioni hanno provocato mezzo milione di sfollati nel Nord del Bangladesh, 200mila in Cina e 100mila in Vietnam; l'uragano Katrina nel mese di agosto ha prodotto a New Orleans quasi 300mila sfollati e mille morti e lo tsunami nel dicembre 2004, un milione e mezzo di sfollati nel Sud-Est asiatico.
In Africa, inoltre, la desertificazione ha prodotto negli ultimi 20 anni più di 10 milioni di sfollati e si prevede che ne provocherà altri 40 entro il 2010. Nel 2005 siccità e carestie hanno minacciato di morte 11 milioni di persone che vivono nel Corno d'Africa, e in molti di questi paesi la fame è divenuta una condizione cronica.
Globalmente le persone che lavorano o che cercano lavoro sono quasi 3,1 miliardi, di cui il 40% è costituito da donne. Quasi la metà (1,4 miliardi) non guadagna abbastanza per assicurare a se e alla propria famiglia un reddito superiore alla soglia di povertà di 2 dollari giornalieri. Si concentrano in Asia i tre quarti dei lavoratori mondiali con un reddito al di sotto dei 2 dollari giornalieri (73,2%), anche se i lavoratori più poveri sono quelli dell'Africa Subsahariana, che sopravvivono al di sotto del dollaro giornaliero (28,5%).
Secondo il Fondo Monetario Internazionale, nonostante l'economia mondiale abbia conosciuto nel 2005 una congiuntura espansiva del 4,3%, il numero dei disoccupati nel mondo ha registrato il massimo storico arrivando a 192 milioni (6,3% l'incidenza sulla forza lavoro, secondo le stime dell'lnternational Labour Organization-ILO).
Nel corso dei prossimi anni si prevede che il numero dei potenziali lavoratori debba raggiungere nel 2010 i 3,4 miliardi. Secondo le proiezioni delle Nazioni Unite, anche a prescindere dall'apporto di nuovi flussi migratori, la forza lavoro è destinata a crescere tra il 2005 e il 2025 di 19 milioni in Cina, 77 milioni in America Centro Meridionale, 82 milioni in Medio Oriente e Africa Settentrionale, 93 milioni nei PVS dell'Asia Orientate e del Pacifico, 211 milioni nell'Africa Subsahariana, 292 nell'Asia Centro Meridionale.
Come denunciano le stime dell'ILO, per ridurre la disoccupazione globale l'economia internazionale dovrebbe concretamente creare più di 43 milioni di nuovi posti di lavoro all'anno, ma le previsioni odierne stimano che solo i PSA siano destinati a registrare una diminuzione del tasso di disoccupazione."

 

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