Pubblicato su politicadomani Num 66 - Febbraio 2007

Stagionali, subordinati e imprenditori
Un mercato del lavoro in crescita e dinamico
La presenza degli stranieri titolari di aziende stimola l'economia, apre ai mercati con l'estero, aiuta la diffusione del "made in Italy"e combatte la criminalità

di m.m.

Una studiosa americana, Kitty Calavita, che ha scritto un libro sull'immigrazione in Italia e in Spagna ha coniato una definizione nuova ma appropriata, "economia dell'alterità". La definizione descrive bene l'atteggiamento dei datori di lavoro italiani nei confronti dei lavoratori immigrati: gli immigrati sono utili proprio perché sono diversi dagli italiani non solo perché sono disposti a fare lavori che ormai gli italiani rifiutano, ma anche perché costituiscono "una buona riserva di lavoro poco costoso e flessibile".
In altri termini, nonostante la chiusura all'accoglienza degli stranieri, si va in cerca di loro perché conviene averli sui posti di lavoro: sono giovani, disponibili, accettano paghe minime e orari di lavoro flessibili. Sono anche preparati, pronti ad imparare e sanno superare eventuali difficoltà, nonostante siano prevalentemente impiegati in lavori che sono spesso definiti delle cinque P: Precari, Pesanti, Pericolosi, Poco pagati, Penalizzati socialmente.
La presenza di lavoratori stranieri nel nostro paese si sta consolidando. Il Rapporto fornisce dati e sintesi illuminanti e preziose. C'è un lavoratore nato nei paesi extraeuropei ogni 10 lavoratori (1.763.952 su 17.204.416, secondo la banca dati Inail) e uno su 6 nuovi assunti è straniero (727.582 su 4.559.965 complessive assunzioni), a conferma del fabbisogno del mercato del lavoro e della loro estrema mobilità (quasi un caso su due debbono rinnovare il contratto di lavoro, mentre tra gli italiani si tratta di un caso su quattro).
Non si tratta, però, solo di manodopera di basso livello e prevalentemente stagionale: specie fra le donne sono numerosissime quelle alle quali viene ormai affidata una parte affettiva importante della nostra vita come prendersi cura della casa, dei bambini, degli ammalati e degli anziani non più autosufficienti. Un diverso stile di vita, la scomparsa della famiglia intesa come comunità allargata (allargata, magari, anche ai vicini) impegni di lavoro sempre più pressanti, costringono almeno una famiglia su due ad avvalersi del lavoro prezioso di questi lavoratori e lavoratrici, che spesso sono anche laureati.
Accanto ai lavori umili e sottopagati e di servizio alla persona, c'è anche tutta una realtà produttiva, specie nel nord-est, fatta di piccole imprese messe su da immigrati, che stanno trainando l'economia italiana e per le quali le banche stanno studiando forme di credito opportune, convinte della bontà del loro investimento. Ci sono in Italia 130.969 cittadini stranieri titolari di aziende, con un aumento del 38% rispetto al 30 giugno 2005 (i dati del Rapporto Caritas sono stati forniti dall'Ufficio Statistico della Confederazione nazionale Artigiani, CNA), con prevalente concentrazione nei settori dell'edilizia e del commercio. Il 67% di queste imprese sono nel nord (17.000 solo a Milano), il 23% sono al centro (12.000 solo a Roma), il 13% sono al sud e nelle isole.
Tutto questo fiorire di imprese i cui titolari sono stranieri favorisce inevitabilmente l'apertura dei mercati internazionali ai prodotti italiani. Si tratta di una apertura privilegiata poiché i legami che gli imprenditori extraeuropei inevitabilmente hanno con i paesi d'origine, la possibilità di parlare la lingua del paese, la conoscenza degli usi e della cultura del paese straniero ne fanno degli interlocutori particolarmente preparati e abili. "Negli ultimi anni si sta affermando una visione transnazionale di varie attività economiche promosse dai migranti , in quanto capaci di valorizzare le connessioni tra le due sponde dei movimenti migratori, e quindi di giovare alle economie di entrambi i paesi interessati: è l'orizzonte dell'import-export, del commercio di cibi e prodotti artigianali esotici", si legge nel dossier Immigrazione della Caritas/Migrantes (pag. 253).
Inoltre, è verosimile che tutte queste aziende rilevino quelle abilità produttive, proprie del "made in italy" di qualità, che andrebbero altrimenti disperse in mancanza di italiani in grado di trasmetterle ad altri italiani, e che contribuiscano in modo sostanziale, se non essenziale, a continuare a promuovere e diffondere nel mondo i nostri migliori prodotti. Si tratta di abilità che hanno fatto di alcuni prodotti italiani come i tessuti, gli articoli in pelle, e altri prodotti artigianali e agricoli, i migliori del mondo e che contribuiscono non poco al saldo positivo del nostro export/import.
È interessante anche notare come aumenti il numero delle imprenditrici straniere (+43%), specie al centro-sud e che le imprese più numerose siano proprio quelle agricole e artigiane.
La promozione economica che deriva dalla imprenditorialità degli stranieri si traduce in un miglioramento sociale molto più vasto che investe non solo i migranti ma l'intera società. Contribuisce infatti a diminuire quelle sacche di povertà e sfruttamento presso le quali è così facile trovare manodopera criminale. "Con le cautele sempre necessarie, si può ritenere - si afferma nel dossier - che l'area del lavoro indipendente stia diventando un interessante spazio di espressione e di potenzialità dei migranti, generando promozione sociale per loro e dinamismo economico per tutti. Nello stesso tempo, il rafforzamento dello status degli immigrati, con la possibilità di accedere a titoli di soggiorno più stabili ed eventualmente alla cittadinanza, di votare ed essere eletti, fornisce risorse aggiuntive per l'avanzamento degli immigrati nella sfera economica e rappresenta in modo particolare un potenziale antidoto contro le forme peggiori di sfruttamento". Con le dovute cautele, appunto.
Infine, sul versante delle imprese italiane in generale (la cui titolarità è sia di italiani che di stranieri) che hanno rapporti internazionali, oltre il 60% di esse si rivolge sempre più fuori dei confini italiani per lo sviluppo delle proprie attività, specie in Asia e nell'Europa centro-orientale (17.000 imprese italiane solo in Romania e 1.730 fra Cina e Hong Kong), e sono moltissime le aziende (una su tre) che inviano il proprio personale all'estero. Un flusso di persone, di esperienze e di idee che contribuisce non poco, oltre che all'economia dei paesi destinatari e del paese d'origine (l'Italia) anche a mantenere buoni rapporti politici, a favorire la collaborazione e, in ultima analisi, a lavorare per la pace.

 

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