Pubblicato su politicadomani Num 66 - Febbraio 2007

Una rivoluzione incompiuta
Lavoro interinale: prospettive e problemi
Urge una riforma della legge Biagi che vada nel senso di trasformare il lavoro iniziato con un contratto a termine in un lavoro a tempo indeterminato

di Peppino Liberatoscioli

Il lavoro interinale rappresenta uno di quei casi in cui la disciplina nazionale è giunta con notevole ritardo rispetto a quella degli altri Stati Europei, come spesso accade.
Solo con l'approvazione della Legge 24 giugno 1997, n. 196 (il cosiddetto "Pacchetto Treu"), successivamente modificata dalla Legge 22 dicembre 1999, n. 488 (legge finanziaria), l'Italia ha finalmente provveduto a dotarsi di una fonte normativa autonoma per la disciplina del contratto di fornitura di lavoro temporaneo, meglio noto come lavoro interinale.
La piena operatività della norma è stata, poi, assicurata dall'emanazione di due decreti ministeriali, il n. 381/1997 ed il 382/1997 e della prima circolare esplicativa del Ministero del lavoro, la n. 141/97.
Tuttavia, nonostante il ritardo del nostro sistema rispetto al quadro europeo, l'utilizzo del lavoro interinale in Italia trova, di giorno in giorno, un crescente interesse sia da parte delle aziende che da parte degli stessi lavoratori temporanei. Un interesse che sta a testimoniare un'ampia fiducia nello strumento e nei vantaggi da questo realizzati.
Ciò che sicuramente, a oggi, si può dire è che con l'introduzione del lavoro interinale si è dato il la ad una forma di intermediazione privata nel collocamento dei lavoratori, e alla possibilità di "utilizzare" nel settore privato un lavoratore senza instaurare alcun tipo di rapporto di lavoro subordinato. Il rapporto di lavoro interinale consta, infatti, di tre figure cardine: un'impresa fornitrice di lavoro temporaneo, un'impresa utilizzatrice, e, infine, il lavoratore, assunto e retribuito dall'impresa fornitrice ed avviato al lavoro presso l'impresa utilizzatrice.
Ai sensi della Legge 196/1997 e, pena l'invalidità del contratto stesso, l'impresa fornitrice deve essere abilitata con l'iscrizione in un albo del Ministero del Lavoro. Cosa possibile al termine di un iter procedurale che vede coinvolta, oltre all'Amministrazione, anche la Commissione centrale per l'impiego, a cui va chiesto un parere obbligatorio ma non vincolante.
L'autorizzazione all'esercizio è biennale, è rilasciata entro i sessanta giorni successivi alla presentazione dell'istanza, previa verifica dei requisiti necessari e, allo scadere, può essere trasformata a tempo indeterminato sulla base di un'attenta valutazione dell'attività svolta. L'istituzione dell'albo e le modalità per la presentazione della richiesta di autorizzazione sono stabilite in due decreti ministeriali il n. 381/1997 e il n. 382/1997 del 3 settembre 1997 pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale del 5 novembre 1997.
Chiunque percepisca o pretenda compensi per avviare il lavoratore è punito con l'arresto fino ad un anno o con un'ammenda compresa fra 5 milioni e 12 milioni delle vecchie lire. In aggiunta alla sanzione penale è prevista la radiazione dall'albo delle imprese esercenti l'attività.
Fatte queste dovute precisazioni, i dati ISTAT pubblicati di recente, che evidenziano come il tasso di disoccupazione sia ora del 6,7%, cioè il livello più basso dal 1992, dimostrano la bontà della riforma del mercato del lavoro. Salve tutte le possibilità di miglioramento, soprattutto per quanto riguarda la stabilizzazione dei rapporti di lavoro.
Infatti il vero problema che si sta evidenziando è la mancanza di una soluzione definitiva alla precarietà, che può essere utile ed accettata ma solo per un periodo ben definito e comunque in modo che abbia ad un certo punto un termine e che si passi poi a contratti a tempo indeterminato. I nostri giovani, per programmare il loro futuro, hanno bisogno di soluzioni lavorative che lo consentano.
Bisogna quindi incentivare i contratti a tempo indeterminato come hanno fatto in Spagna: il che significa che le aziende devono trovare convenienza ad utilizzare questo tipo di rapporto di lavoro.
Non si può rimanere precari a vita! È l'imperativo categorico a cui occorre far fronte.
La ricaduta sociale di questa problematica è enorme. Basti pensare alla grande difficoltà di formarsi una famiglia, di farsi una casa, di avere figli e, quindi, alla necessità di rimanere nella famiglia di origine da cui ci si stacca sempre più tardi. In questo modo la famiglia è impegnata a mantenere il giovane fino a tarda età ed è coinvolta in tutte le sue necessità, economiche e personali, rendendo così sempre più faticoso il processo della piena maturità.
Il Governo dovrebbe affrontare con grande realismo tutta la materia e studiare le migliori soluzioni per il miglioramento della legge Biagi. Una necessità che ormai è improcrastinabile.

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