Pubblicato su politicadomani Num 66 - Febbraio 2007

Invecchiamento e declino demografico
Endemici mali d'Italia. Che fare?
Non solo la scarsità di giovani mette un'ipoteca sulla identità del paese, ma mette anche in serio pericolo la sua tenuta economica

di m.m.

Saremo sempre più vecchi, saremo sempre di meno e il saldo negativo fra nati e morti nei prossimi quarant'anni si allargherà. Sono queste le previsioni dell'ISTAT fino al 2050.
La vita media si allungherà a 83,3 anni per gli uomini e 88,8 per le donne. La popolazione italiana aumenterà dell'1,1 per mille l'anno, dagli attuali 58 milioni di abitanti fino a 59,2 milioni nel 2014; poi diminuirà a un ritmo di -1 per mille l'anno, fino a 58,3 milioni nel 2030; infine, dal 2030 al 2050, la diminuzione sarà del -2,2 per mille l'anno, fino a 55,8 milioni nel 2050. Per quella data il saldo negativo fra nati e morti crescerà costantemente da -100mila unità nel 2014, a 330mila unità nel 2050 quando si calcola che i nati saranno 450mila e i morti oltre 770mila.
Né aiuta il tasso di fecondità delle donne, che solo di recente è passato da 1,1 a 1,19 figli per donna (bambini concepiti per di più in età avanzata), abbondantemente sotto quello previsto per la parità, che è di 2,3 figli. Una fecondità così bassa ha cause diverse, fra queste l'emancipazione culturale e professionale delle donne, ma altre sono negative: i giovani ritardano il momento del matrimonio per ragioni di carriera, spesso per ragioni economiche come la mancanza di un lavoro stabile, spesso anche per ragioni di costume e psicologiche come una certa pigrizia, la dipendenza dai genitori (più mentale che economica), e la paura di affrontare da soli la vita.
Pochi bambini, quindi, e sempre meno bambini italiani, visto che sono invece le donne straniere, specie quelle provenienti dai paesi extraeuropei che fanno più figli e in più giovane età. E non si tratta soltanto di una questione di tradizioni o di cultura, è anche, da parte degli stranieri, di una scelta politica, per quanto strano possa sembrare. Si tratta infatti di gente che è entrata a far parte della nostra società e che si sta adoperando per occupare in futuro posizioni di responsabilità nel paese; posizioni che si saranno conquistate con lo studio e il lavoro e che, quindi, avranno diritto ad occupare, anche se questo dispiacerà a molti. Come è stata una scelta politica dei nostri governi quella di abbandonare a se stesse le famiglie, invece di portare avanti precise ed efficaci politiche famigliari. A differenza di quanto è accaduto in Francia dove con un tasso di fecondità pari a 2 figli per donna si è quasi raggiunta la parità.
L'Eurostat dice che nel 2050 gli over-65 (i pensionati italiani), passeranno dall'attuale 19,2% al 35%, cinque punti sopra la media europea che è del 30%. Si tratta di persone ancora giovani e sane che in alta percentuale riusciranno a godere dell'assegno pensionistico per almeno altri 20 anni. Un peso economico notevole destinato a gravare sui nostri figli, i nostri nipoti e quelli che ancora aspettano di nascere, figli e nipoti dei nostri.
Vero è che, governo dopo governo, da tempo si sta cercando di limitare la spesa pubblica e i danni futuri con rimedi che rispecchiano più o meno le convinzioni di fondo del governo che li propone. Innalzamento dell'età pensionabile, diminuzione delle pensioni (calcolate su base contributiva), precarizzazione del lavoro, "liberalizzazione" dei contributi previdenziali, impegno del tfr nelle cosiddette pensioni integrative, sono tutti sistemi pensati per diminuire il costo del mantenimento dei nostri futuri "vecchietti", gente in realtà ancora nel pieno del vigore fisico e intellettuale.
Siamo per così dire "bloccati" in una situazione che non offre prospettive, a meno che non ci sia un radicale cambiamento: la crescita cioè, invece che la diminuzione, della popolazione giovane in età lavorativa. Solo così si potrebbe concretamente affrontare una situazione che al momento si presenta economicamente gravissima e socialmente imprevedibile.
E allora, diciamola tutta, insieme alla creazione di condizioni favorevoli allo sviluppo del lavoro occorrerà pensare ad accogliere anziché respingere i tanti che premono alle nostre frontiere e sulle nostre coste.

 

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