Pubblicato su politicadomani Num 66 - Febbraio 2007

Più liberismo che socialdemocrazia
"Competition...is competition"
Uno slogan americano, assunto dalla Commissione Europea, ripreso da Romano Prodi, riassume le dinamiche di un'economia liberista: riduzione dei costi, privatizzazione del diritto

di Damiano Sansosti

L'economia italiana crescerà dell'1,4% nel 2007. È questa la previsione del Fondo Monetario Internazionale contenuta nella bozza del rapporto sull'Italia del Febbraio 2007. "La continua crescita moderata dei consumi - si legge nel comunicato - sarà sostenuta dall'aumento del reddito disponibile e dal miglioramento dell'occupazione". Un commento entusiasta alla nostra manovra finanziaria. Crescono i consumi, cresce il reddito, cresce l'occupazione. È la politica della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale.
Ma non è tutto: il FMI ritiene necessario tenere ancor più sotto controllo la spesa pensionistica, garantendo gli effetti delle riforme di settore già approvate e innalzando l'età pensionabile ancora troppo bassa. Troppo alti anche i costi della Pubblica Amministrazione e della Sanità. "La spesa pensionistica e il costo della pubblica amministrazione - si legge sempre nel documento - sono più alti rispetto a quelli dell'area euro, e la spesa sanitaria è aumentata". Se questo dato è vero, è anche vero che i lavoratori dipendenti in Italia contribuiscono per oltre l'80% delle entrate fiscali, mentre spesso l'evasione e l'elusione fiscale sottraggono ogni anno qualcosa come 200 miliardi di euro al fisco e alla previdenza sociale. Un vero e proprio fiume di soldi, considerato che la tanto discussa manovra finanziaria ammonta a "soltanto" 40 miliardi di euro.
La centralità di una tassazione equa e della lotta all'evasione fiscale e contributiva, è imposta, nel nostro paese, da una situazione di pessima gestione dello Stato, che ha prodotto tra le classi sociali gravi disuguaglianze. Le disuguaglianze sono superiori agli altri Paesi dell'UE e sono accompagnate da gravi processi di emarginazione sociale, dice l'ISTAT: il tasso di povertà risulta pari al 12% delle famiglie, qualcosa come 7 milioni e 600 mila cittadini. Effetto di una polarizzazione nella distribuzione della ricchezza per cui il 10% della popolazione possiede quasi la metà dell'intero ammontare patrimoniale. Un rapporto sociale, questo, che ci avvicina molto più alle dinamiche economico-politiche dei grandi slum del sud del pianeta piuttosto che a quelle dei Paesi dell'area euro. Un piccolo centro di potere fatto di super ricchi e tante periferie abitate da un'umanità espulsa dall'economia e dal diritto formali e lasciate ad inventare quotidianamente la propria sopravvivenza. Disoccupati, pensionati a 500 euro, saltuari, operai, amministrativi, salariati, casalinghe. Un'umanità di precari.
John Berger, critico d'arte e scrittore, scrive: "Il punto di non ritorno si raggiunge quando un esercito di riserva che aspetta di venire incorporato nel processo del lavoro comincia ad essere stigmatizzato come una massa permanentemente ridondante, un carico eccessivo che non può essere incluso, né oggi né mai, nell'economia e nella società".
Joseph Sitglitz (Premio Nobel per l'economia; ha lavorato nell'amministrazione Clinton come Presidente dei consiglieri economici negli anni 1995-1997; alla Banca Mondiale è stato Senior Vice President e Chief Economist dal 1997 al 2000) afferma che il Fondo Monetario Internazionale, perseguendo il cosiddetto "Washington consensus", non protegge le economie più deboli né garantisce la stabilità del sistema economico globale, ma fa in realtà gli interessi del suo "maggiore azionista", gli Stati Uniti appunto, a discapito di quelli delle nazioni più povere. Il FMI è accusato da Stiglitz di prendere le sue decisioni in maniera poco trasparente e di imporle ai governi democraticamente eletti che si trovano così a perdere la sovranità sulle loro politiche economiche.
Nel 2002 Sitglitz pubblica "La globalizzazione e i suoi oppositori". Nel libro l'economista analizza gli errori delle istituzioni economiche internazionali - in particolare del Fondo Monetario Internazionale - nella gestione delle crisi finanziarie che si sono susseguite nell'Argentina, paese che il FMI considerava "l'allievo modello", fruitore negli anno '90 di uno fra i maggiori prestiti erogati dal FMI, pari a 21,6 miliardi di dollari. Riferendosi oltre che all'Argentina anche alla Russia e ai paesi del sud est asiatico, fino al 2001, Stiglitz illustra come la risposta del FMI a situazioni di crisi sia sempre la stessa: riduzione delle spese dello Stato, politica monetaria deflazionista e apertura dei mercati locali agli investimenti esteri. Tali scelte politiche venivano di fatto imposte ai paesi in crisi ma non rispondevano alle esigenze delle singole economie, e si rivelavano inefficaci o addirittura di ostacolo per il superamento delle crisi.
Sulle privatizzazioni Sitglitz dice: "Se il governo è corrotto difficilmente la privatizzazione potrà risolvere il problema: dopotutto il governo corrotto che ha mal gestito l'azienda sarà lo stesso che gestirà la privatizzazione". Un monito anche per noi in Italia, dove, proprio in questi giorni, Alitalia incalza e i capitali stranieri premono.

 

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Num 66 Febbraio 2007 | politicadomani.it