Pubblicato su politicadomani Num 65 - Gennaio 2007

Un rapporto alla "pari"
Storia e ruolo dei sindacati nella politica italiana
Dal connubio sindacati-partiti alla concertazione: ascesa e crisi delle organizzazioni sindacali

di Fabio Antonilli

È solo con l'entrata in vigore della Costituzione Repubblicana che tra pubblici poteri e sindacati viene ad instaurarsi un rapporto "tra pari", un rapporto cioè tra due entità indipendenti, ognuna portatrice di interessi diversi, la prima dell'interesse generale, la seconda degli interessi dei lavoratori. Con la Costituzione repubblicana e democratica, infatti, lo Stato riconosce che i rapporti collettivi - tra associazioni dei datori di lavoro e associazioni dei lavoratori - si pongono al di fuori dell'ambito pubblicistico, e che gli interessi di categoria non necessariamente coincidono con l'interesse nazionale, come invece imponeva il regime corporativo dello Stato fascista.
Ad un sistema fondato sul sindacato unico (fascista) subentra il pluralismo sindacale che vede come attori tre confederazioni Cgil, Cisl e Uil ognuna delle quali è ancorata ad un'area politica di riferimento.
Dopo l'entusiasmo e la fiducia immediatamente successivi alla seconda guerra mondiale la sindacalizzazione dei lavoratori iniziò a declinare soprattutto nel decennio degli anni '50.
La mobilitazione operaia era ancora troppo debole - anche a causa dei contenuti più ideologici che realistici e quindi poco realizzabili con cui si esprimeva - e troppo debole era, di conseguenza, la forza contrattuale dei sindacati. In questo contesto non era certamente di aiuto la divisione interna al fronte sindacale, esasperata - come detto - dalle varie appartenenze partitiche, e le difficoltà di questi a trovare una rappresentanza nelle aziende, ancora troppo legate a metodi autoritari e diffidenti verso una presenza sindacale nei luoghi di lavoro.
Celebre è la frase del leader storico della Cgil, Giuseppe Di Vittorio, che chiedeva che la Costituzione potesse "varcare i cancelli delle fabbriche", come a sottolineare - ed era la realtà - l'esistenza di due mondi diversi e separati che facevano fatica ad incontrarsi.
Ma è evidente, d'altronde, che le difficoltà principali di tale operazione erano dovute alla divisione del movimento sindacale, la cui reticenza verso l'unitarietà delle forze risentiva pesantemente delle condizioni del sistema politico (il "collateralismo" della Cisl rispetto alla Dc - partito di governo - e della Cgil rispetto al Pci - partito d'opposizione, anti-sistema - non faceva altro che rendere più complicate le cose), e poi allo scarso interesse delle imprese per la contrattazione collettiva. Atteggiamento quest'ultimo che aveva una propria logica: le imprese potendo far affidamento su una legislazione largamente sbilanciata a loro favore non trovavano, obiettivamente, alcun interesse verso la contrattazione collettiva preferendo a questa la negoziazione individuale degli standard lavorativi.
Nonostante timidi segnali in direzione di una "cultura della negoziazione", la contrattazione collettiva riesce gradualmente ad affermarsi soprattutto a livello interconfederale e di categoria, praticamente assente è, invece, quella aziendale.
Con gli anni '60 le cose cambiarono. Grazie ai governi del centro-sinistra (con Dc e Psi in testa) la dipendenza dei sindacati dai partiti si andò gradualmente attenuando. La prima manifestazione di relativa autonomia fu la posizione della Cgil rispetto ai tentativi di programmazione compiuti da questi governi: mentre il Pci votò contro, i parlamentari comunisti e socialisti della Cgil si astennero. Dall'altra parte, in ambienti Cisl, prendeva sempre più consistenza la convinzione che lo stretto "collateralismo" col massimo partito di governo si scontrava col modello di sindacato americano - aziendalista e contrattualista - a cui questa confederazione si andava ispirando. Il legame esistente con questo partito veniva ormai visto non solo come ostacolo all'unità sindacale, ma anche come un elemento controproducente rispetto agli obiettivi di reclutamento fra gli operai dell'industria.
A fare delle aziende dei moderni luoghi di lavoro, dove i diritti costituzionali trovano il loro riconoscimento, sarà poi lo Statuto dei lavoratori del 1970, col quale divennero legge dello Stato il diritto per i lavoratori di svolgere attività sindacale in fabbrica attraverso i loro rappresentanti, il divieto di discriminazioni, la repressione della condotta antisindacale e la reintegrazione nel posto di lavoro del lavoratore licenziato illegittimamente (il noto articolo 18).
Conseguenza di questa legislazione promozionale è il rafforzamento organizzativo e il radicamento dei sindacati nei luoghi di lavoro; elementi, questi, che costituiscono il primo importante passo verso l'affrancamento dei sindacati dalle ingerenze partitiche. Significativa in questa direzione è anche la decisione, nel 1969, di rendere incompatibili le cariche sindacali con gli incarichi politici.
Decisione che costituisce una svolta. Da questo momento in poi, infatti, i sindacati sono maggiormente in grado di offrire benefici ai lavoratori e di reclutare attivisti su basi più propriamente sindacali, prescindendo dall'appartenenza partitica che è per definizione ideologica.
Il loro maggior peso diverrà più evidente negli anni '70, quando successivamente alla crisi economica iniziarono a condividere se non addirittura a sostituirsi ai partiti - sempre più indeboliti e logorati da un sistema che ne impediva l'alternanza al potere - nelle assunzioni di responsabilità politiche. Da un'azione sindacale tutta incentrata sulle rivendicazioni aziendali o di categoria si passa ad una vera e propria azione "politica" che comporta una maggiore attenzione verso le dinamiche generali del mercato del lavoro e i livelli di occupazione. Siamo nel periodo delle ristrutturazioni industriali e dei grandi cambiamenti (in senso di maggiore flessibilità) nelle tecniche di produzione, che fanno seguito alle crisi aziendali; è il tempo in cui inizia a farsi sempre più forte la richiesta di contenimento dei costi del lavoro. Nell'intento di difendere i livelli generali dell'occupazione, anche rendendo la contrattazione collettiva funzionale agli obiettivi di politica economica, le tre confederazioni sindacali finiscono con l'accettare una negoziazione "al ribasso" delle condizioni e dei diritti acquisiti dai lavoratori nei periodi precedenti.
Si passa, così, dalla fase del cosiddetto "garantismo rigido" a quella del cosiddetto "garantismo flessibile" in cui, per eliminare quelle rigidità contenute nelle leggi (che per principio sono "inderogabili" in senso peggiorativo per i lavoratori), i pubblici poteri emanano provvedimenti legislativi, dal contenuto preventivamente concordato con le grandi centrali sindacali, in cui si attribuisce, ad esempio, agli accordi sindacali il potere di introdurre deroghe (anche peggiorative) alla disciplina stabilita dalla legge stessa. Si è parlato, a tal proposito, di una "legislazione contrattata", caratterizzata dal fatto che il potere legislativo si limita, in pratica, a recepire le intese raggiunte tra Governo e parti sociali nel corso di un procedimento negoziale, tanto informale quanto, però, politicamente decisivo.
Se una delle ragioni che spingerà i sindacati a percorrere la strada della concertazione è, come ha scritto il giuspubblicista Sergio Fois, quella di affermarsi come "contrappeso" dei contrapposti poteri politici che la grande impresa da tempo era in grado di vantare, resta pur sempre vero che la decisione di assumersi responsabilità politiche renderà sempre più difficili i rapporti con la base. La "scelta verticistica", la conseguente legittimazione dall'alto e la condivisione di provvedimenti che (ri)mettono in discussione le conquiste dei lavoratori pongono il sindacato nella spiacevole situazione di chi svende i diritti, anziché difenderli: da qui il progressivo deterioramento del rapporto con la base che sempre più trova difficoltà a sentirsi rappresentata da un vertice da cui non si sente più tutelata e col quale ha perso contatti.

Letture consigliate: Sergio Fois, "Sindacati e sistema politico", Giuffré Ed., 1978.

 

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