Pubblicato su politicadomani Num 65 - Gennaio 2007

Primati italiani
Morti bianche e maglie nere
Siamo ai primi posti in Europa per incidenti mortali sul lavoro. I più colpiti sono i giovani, le donne e i lavoratori atipici

di Cristiano Nervegna
(S. N. Movimento Lavoratori di Azione Cattolica)

Ancora molte parole dopo la morte, in un'azienda Umbra di lavorazione di oli vegetali, di alcuni operai addetti alla manutenzione degli impianti; molte parole a commento di una situazione che ci costringe a contare 2.600 incidenti al giorno (940 mila l'anno) con 1.065 morti nel 2005 (3 al giorno). Siamo secondi, in Europa, per gli incidenti in agricoltura (63.528 ogni 100.000 occupati), elettricità e gas. Al terzo posto nei trasporti (55.155) e nell'industria manifatturiera (192.315) e al quarto nelle costruzioni (92.902).
Il 21,2% degli incidenti mortali, in Europa, tocca il nostro Paese (1 su 5 è un morto italiano). Giovani, donne e lavoratori atipici, naturalmente, i più colpiti (sotto i 34 anni abbiamo il 40% di incidenti sul totale). Aumenta del 18% il numero degli infortuni dei lavoratori precari e del 31% quello degli interinali.
A fronte di un leggero miglioramento del dato medio, rispetto agli anni precedenti, sembra questa la caratteristica principale della situazione che stiamo vivendo: l'aumento degli infortuni soprattutto per i lavoratori precari.
Queste valutazioni non tengono conto, naturalmente, del numero, difficilmente valutabile, dei lavoratori in nero. Quattro milioni, secondo l'Inail, di cui 300.000 solo in agricoltura. Gli infortuni di questi lavoratori "fantasma" non vengono mai denunciati.
Il quadro, nella sua crudezza, è così chiaro che non dovrebbe essere difficile ipotizzare soluzioni, anche a breve termine.
La prima considerazione da fare, per cercare tali soluzioni, è sulla necessità di applicare finalmente il D.Lgs. 626/94 rispettandone lo spirito e ribadendo che la sicurezza sul lavoro non è un costo per l'azienda.
È facile dimostrare, infatti, come i costi della prevenzione siano notevolmente inferiori ai costi che le imprese devono sostenere per le ore di lavoro perse a causa di incidenti.
Se a questi ultimi si aggiungono, poi, i costi delle assicurazioni e, nel caso, i costi di ri-progettazione degli impianti insicuri o danneggiati e la loro realizzazione, appare evidente come, nella realtà, la sicurezza sia, prima d'ogni altra considerazione, molto conveniente. Tale valutazione non riguarda solo l'industria ma anche il terziario, perchè i processi di sicurezza generano sempre dinamiche virtuose di "audit" interno e quindi il miglioramento continuo dei processi il cui valore aggiunto non viene, spesso, tenuto in considerazione.
Ma non c'è, naturalmente, solo l'aspetto economico.
Se si legge con attenzione il decreto legislativo appena citato emergono con chiarezza anche le implicazioni organizzative (la legge, e questa appare come una vera rivoluzione, parla di responsabilità soltanto in funzione di percorsi formativi destinati a specifiche figure professionali da creare all'interno dell'azienda per rendere efficace l'applicazione delle norme) e si può arrivare ad affermare che la normativa si muove nell'orizzonte di una coscientizzazione dei lavoratori circa i propri diritti/doveri a partire dall'esercizio di responsabilità di un datore di lavoro (unica figura per la quale la legge non ammette ignoranza) a cui si richiede, prima di ogni altro intervento, la realizzazione di un sistema unico e razionale di gestione della sicurezza che entri nei gangli della struttura aziendale senza appesantimenti né ipocrite burocratizzazioni.
È quindi l'organizzazione la prima prevenzione da realizzare.
Un altro aspetto da rilevare è che gli incidenti sul lavoro, colpendo in modo particolare i lavoratori atipici, ancora troppo deboli per pretendere il rispetto di diritti essenziali, stanno diventando una chiave di lettura essenziale di questo mercato del lavoro che sempre meno considera le persone come risorsa, e, troppo spesso, invece come semplice costo, quasi un ostacolo al raggiungimento degli obiettivi dell'azienda.
Su questa strada, mi sento di dire, piangeremo altre vittime senza diritti e progetti imprenditoriali di corto respiro.
La centralità della persona nel lavoro non deve essere considerato più un semplice slogan, ma un fattore d'umanizzazione e razionalizzazione della produzione e quindi anche di miglioramento delle performance aziendali.
Solo con il contributo d'intelligenza e responsabilità di tutti e con la capacità di trasformare esperienza in innovazione questo Paese può tornare competitivo.
In gioco, quindi, non c'è più soltanto la dignità del lavoro, che è dignità delle persone, ma la capacità di pensare un futuro soprattutto per le nostre imprese.

 

Homepage

 

   
Num 65 Gennaio 2007 | politicadomani.it